Oscar Sanguinetti, Cristianità n. 325 (2004)
Relazione d’apertura, riveduta e annotata, della conferenza stampa internazionale di presentazione della cerimonia di beatificazione di Carlo d’Austria (1887-1922) — svoltasi poi il 3 ottobre in piazza San Pietro —, organizzata il 30 settembre 2004, a Roma, nella Sala Marconi di Radio Vaticana, dalla postulazione della causa e dalla famiglia Asburgo.
1. Il 1° aprile 1922, a pochi giorni dalla Pasqua, si spegneva Carlo, ultimo imperatore di Austria-Ungheria e ultimo degli Asburgo sul trono.
Aveva regnato solo tre anni, dalla morte, nel 1916, del vecchio imperatore Francesco Giuseppe I d’Asburgo-Lorena (1830-1916) fino alla drammatica conclusione del primo conflitto mondiale, nell’ottobre del 1918. Con lui si chiudeva la lunga storia della dinastia degli Asburgo, apparsa sulla scena europea nel corso del secolo XI e, due secoli dopo, insignita della suprema magistratura laica della cristianità, ovvero la corona del Sacro Romano Impero (1), aprendo così il terzo ciclo — dopo quello carolingio del secolo IX e quello sassone-svevo dei secoli dal X al XIII — dello sforzo di rifondazione dell’Impero Romano, che era stato l’ideale e, in certa misura, anche un frutto concreto della Cristianità occidentale in epoca medievale (2).
Nel 1806 il Sacro Romano Impero aveva però dovuto piegarsi davanti agli eserciti di Napoleone Bonaparte (1769-1821) ed era stato soppresso definitivamente. La dinastia asburgica si era così trovata a governare una delle più estese monarchie europee, priva però di ogni carattere che la distinguesse dalle altre. Essa, tuttavia, conservò a lungo impresso nella sua architettura politica e, soprattutto, nella cultura dei suoi governanti e di chi ne era suddito, l’antico ideale cristiano e, fino alle soglie del secolo XX, continuò a sentirsi investita di una missione integratrice e civilizzatrice di nuovi popoli (3).
2. Carlo, ultimo esponente di questa tradizione dinastica, nasce nel 1887 a Persenbeug sul Danubio, nell’Austria Inferiore, figlio primogenito — avrà solo un fratello, Maximilian Eugen (1895-1952) — dell’arciduca Otto d’Asburgo-Lorena (1865-1906) e della principessa Maria Josefa di Sassonia-Wettin (1867-1944), figlia di re Giorgio II di Sassonia (1826-1914) (4). Suo nonno è Carlo Lodovico (1833-1896), fratello terzogenito di Francesco Giuseppe, che, dunque, è suo prozio. Il piccolo Asburgo riceve la tipica educazione dei principi del sangue e si dimostra fin da subito intelligente e docile. La madre, molto religiosa, buoni e severi istitutori, insieme a pii catechisti daranno un’impronta marcatamente cristiana alla sua personalità. La sua adolescenza non è diversa da quella degli altri giovani rampolli delle famiglie della nobiltà di corte: egli è solo più riservato e maturo dei coetanei, dai quali peraltro non si isola affatto. Carlo acquisisce ben presto familiarità con l’orazione e con la meditazione, vive con particolare intensità i sacramenti della penitenza, dell’eucaristia e della cresima — da poco aperti anche ai fanciulli — e, sotto la direzione dei gesuiti viennesi — soprattutto di padre Karl Maria von Andlau (1865-1935), prefetto della Compagnia di Gesù a Vienna e noto predicatore, che gli sarà a lungo vicino —, inizia a coltivare devozioni, come quella al Sacro Cuore, all’Eucaristia e alla Vergine, che lo accompagneranno e lo sosterranno per tutta la breve vita. A diciotto anni iniziano per lui contemporaneamente la carriera delle armi e gli studi universitari a Praga.
Nel 1911, dopo un fidanzamento-lampo, sposa Zita di Borbone-Parma (1892-1989): entrambi abbracciano il nuovo stato di vita con realismo cristiano, vedendo in esso un ulteriore e privilegiato mezzo di santificazione. Zita darà a Carlo ben otto figli, che egli educherà — escluso l’ultimo, nato postumo — con premura e con piena coscienza dell’importanza del loro destino eterno.
Dopo l’assassinio dell’erede al trono, nonché suo zio e tutore, l’arciduca Francesco Ferdinando di Asburgo-Este (1863-1914), a Sarajevo, in Bosnia, nel 1914, Carlo si prepara a succedere all’imperatore, ormai al crepuscolo della vita. Allo scoppio del conflitto — che il Kaiser, più che volere, subisce — Carlo, anch’egli scettico sul coinvolgimento austriaco in una guerra, che stava più a cuore all’altro Kaiser, il tedesco Guglielmo II di Hohenzollern (1859-1941), che agli Asburgo, combatte con valore sul fronte orientale contro i russi e i rumeni, e, dal marzo del 1916, riceve il comando di un corpo d’armata sul fronte italiano.
Alla morte di Francesco Giuseppe il giovane Carlo riceve l’investitura imperiale in ginocchio, con il rosario fra le mani. La sua ascesa al trono è preceduta dalla simpatia del popolo, ma anche da una fama d’inesperienza e di eccessiva austerità. Egli, tuttavia, sia come sovrano, sia in veste di comandante delle armate imperial-regie, saprà farsi apprezzare e, anzi, il suo stile di governo aprirà nuovi e originali scenari di sviluppo per l’antica monarchia danubiana. Carlo, salito al trono durante uno spaventoso conflitto, si muove in una condizione del tutto eccezionale e questo va costantemente tenuto presente nel giudicarne le azioni. Nonostante ciò, fin dal 1917, per scongiurare la minaccia nazionalista, egli cercherà di attuare un disegno di riforma in senso federale della monarchia; varerà leggi contro la scristianizzazione della società e contro l’immoralità; darà segni di voler attenuare il giuseppinismo — l’interventismo nella vita interna della Chiesa — dello Stato asburgico; vieterà il duello ai funzionari dello Stato e ai militari; promulgherà un’amnistia generale, che includerà i delitti politici; si sforzerà di dar sollievo al disagio sociale, che lo sforzo bellico ingigantisce; si preoccuperà dei sempre più numerosi orfani e vedove, senza trascurare le migliaia di prigionieri di entrambi gli schieramenti. Ma, soprattutto, si prodigherà con ogni mezzo per far cessare un conflitto sempre più sanguinoso e imbarbarito, in cui trova la sua ecatombe la migliore gioventù europea.
Nella guida dei suoi popoli durante il tragico conflitto Carlo metterà in luce doti tutt’altro che scialbe. Sarà capace di tenere a bada il difficile alleato tedesco, rivale di sempre, diffidente nei suoi confronti e poco amante del cattolicesimo asburgico. Attraverso il suo atteggiamento anticonformista, privo di odio verso il nemico e alieno da ogni alterigia verso i subordinati, dei quali condividerà la vita di trincea, il medesimo rancio e gli stessi rischi, saprà infondere nel suo esercito una grande fiducia, ed esso lo ricambierà fino all’ultimo con una fedeltà ammirevole, nonostante lo sforzo terribile della guerra su due fronti.
3. Il suo carisma, l’aperta e integra professione delle sue convinzioni religiose, le sue iniziative innovatrici suscitano ammirazione e affetto nei popoli della monarchia, ma vengono accolti anche con ostilità. Il nemico in guerra vedrà nella sua abituale schiettezza e nel suo sforzo di porre freno alla barbarie della guerra una debolezza. L’arrogante militarismo tedesco lo considererà una minaccia. Gli avversari ideologici del cattolicesimo e della monarchia temeranno invece che la sua sincera devozione, non solo personale, a Papa Benedetto XV (1914-1922) porti a una svolta filo- romana della politica imperiale, un rischio che il suo fascino — unito a quello di Zita — e il consenso popolare rendevano ancor più tangibile. Anche per questo, oltre che per essere l’ultimo se pur pallido riflesso del Sacro Romano Impero, la monarchia austro-ungarica non sarà trattata, durante e dopo il conflitto, come uno Stato “normale”. Sarà invece “condannata a morte” e poi, dopo la sconfitta, disintegrata, sconvolta nella sua antica costituzione dai tratti tutt’altro che autoritari, se mai, paternalistici; gli Asburgo verranno deposti e Carlo sarà diffamato, ridotto all’impotenza e poi confinato in un’isola lontana (5). Ma la caduta dell’Austria-Ungheria lascerà al centro dell’Europa un vuoto, un “buco nero”, che, dopo le dittature fra le due guerre, l’effimera e sanguinosa parentesi del Reich nazionalsocialista e la lunga notte dei regimi comunisti, genera ancor oggi instabilità nell’area danubiana (6).
4. Carlo, incoraggiato dai legittimisti ungheresi e dal Papa, che vedeva nella monarchia o, comunque, in un regno cattolico al centro dell’Europa Orientale un ostacolo contro l’espansione del bolscevismo sovietico, non si rassegnerà a uscire di scena, ma tenterà per due volte, nel corso del 1921, di riguadagnare almeno la corona reale ungherese. Tuttavia, bloccato dal veto delle potenze alleate, illuso e tradito dal sedicente “reggente” al trono, l’ammiraglio Miklós Horthy de Nagybánya (1868-1957), dovrà abbandonare definitivamente ogni progetto di restaurazione. Non abdicherà comunque mai ai suoi diritti regali e, per questo, finirà esiliato nell’isola atlantica di Madera, dove morirà precocemente nei disagi, stroncato da una polmonite, che nulla riesce a curare.
5. In questi anni di dure prove, soprattutto durante l’esilio, solo l’intensa fede e l’affetto dei suoi cari varranno a sorreggerlo. Carlo, in un clima di odio che si fa sempre più palpabile, sottoposto a molteplici ingiustizie e tradimenti da parte degli amici e dei collaboratori, continuerà a praticare, come negli anni felici, le beatitudini cristiane: per questo egli sarà venerato fin da subito come un santo e viene oggi dichiarato beato. Si legge nella Lettera di san Giacomo (5, 11): “Ecco, noi chiamiamo beati quelli che hanno sopportato con pazienza”. E questa è forse la beatitudine più genuinamente riferibile a Carlo. Egli è beato, perché, nei suoi molteplici ruoli — di sposo, di padre, di uomo d’armi e di sovrano — ha avuto pazienza, una pazienza infinita, sopportando tutto quello che gli veniva inflitto, perdonando chi lo faceva soffrire e offrendo le sue sofferenze come sacrificio per il bene dei suoi popoli. E il Signore gli concederà di chiudere gli occhi, quasi a suggello della sua multiforme santità, accanto al primogenito Otto, fra le braccia della sposa e in contemplazione dell’Eucaristia.
6. Carlo è l’ultimo sfolgorante bagliore di una grande tradizione dinastica, che si chiude quando inizia il “secolo del male” (7), il secolo XX. Ed è, nel contempo, l’ultima e, forse, più riuscita e inattesa incarnazione dell’ideale di sovrano cristiano. Ultimo re — insieme forse a Baldovino I di Sassonia-Coburgo (1930-1993), re dei Belgi dal 1951 — a vivere con spirito di cavalleria la sua regalità, il beato Carlo, agli esordi del terzo millennio cristiano, nonostante il suo stato di vita poco comune, ci sta dinnanzi anche come modello di compiuta vocazione laicale, valido per ciascuno, ma soprattutto per l’uomo politico cattolico, il quale, attraverso il suo esempio, viene invitato alla coerenza con la fede cristiana, alla lotta fino alla consumazione per il bene comune e al rifiuto di ogni ideologia che anteponga a Dio un idolo, sia esso, di volta in volta, la nazione, la razza, la classe o il partito. E il suo disegno politico — il rinnovamento, perseguito con passione e con abnegazione, di un antico organismo culturale e civile, in armonia con la sua storia, in coerenza con i princìpi naturali della politica e con i cardini spirituali dell’Occidente —, che mai riuscì a coronare, contiene più di uno spunto d’interesse nell’ora presente, in cui sta faticosamente prendendo corpo una nuova Europa.
Oscar Sanguinetti
Note:
(1) Cfr. Friedrich Heer, Il Sacro Romano Impero. Mille anni di storia d’Europa, trad. it., Newton & Compton, Roma 1999.
(2) Sugli Asburgo cfr., Adam Wandruszka (1914-1997), Gli Asburgo, trad. it., 4a ed., TEA, Milano 1999; e Andrew Wheatcroft, Gli Asburgo. Incarnazione dell’Impero, trad. it., Laterza, Roma-Bari 2002.
(3) Cfr. Gonzague de Reynold (1880-1970), D’òu vient l’Allemagne?, cap. III, § VI, Les Habsbourg, Plon, Parigi 1939, pp. 134-148.
(4) Cfr. elementi biografici di Carlo — e della moglie — nel mio, con Ivo Musajo Somma, Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d’Asburgo, con invito alla lettura di don Luigi Negri e prefazione di Marco Invernizzi, D’Ettoris, Crotone 2004; cfr. pure Giuseppe dalla Torre, Carlo d’Austria. Ritratto spirituale, Àncora, Milano 2004; Romana de Carli Szabados, Carlo I d’Asburgo imperatore d’Austria e re d’Ungheria. Finis Austriae, LINT, Trieste 1992; Ambrogio Eszer O.P., Carlo d’Asburgo, in Bibliotheca Sanctorum, Appendice Parte Prima, Città Nuova, Roma 1987, coll. 261-265 (col. 262); e Paolo Mattei, Carlo d’Asburgo, l’ultimo imperatore cattolico, in 30 Giorni nella Chiesa e nel mondo, anno XXI, n. 6, Milano giugno 2003, pp. 72-77.
(5) Cfr., sulla finis Austriae, Jean Berénger, Storia dell’impero asburgico. 1700-1918, trad. it., il Mulino, Bologna 2003; e François Fejtö, Requiem per un impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-ungarico, trad. it., Mondadori, Milano 1990; sul tema del crepuscolo dell’impero e della nostalgia che lascia la sua fine, cfr. la letteratura, di cui fa stato Claudio Magris, Il mito absburgico nella letteratura austriaca moderna, 3a ed., Einaudi, Torino 1996.
(6) Cfr. la tesi e l’espressione, mutuata dall’astronomia, in Giorgio Rumi, L’11 settembre del 1914, intervista a cura di Luca Geronico, in Avvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica, Milano 25-6-2004.
(7) Cfr. Alain Besançon, Novecento, il secolo del male. Nazismo, comunismo, Shoah, trad. it., con una prefazione di Vittorio Mathieu, Ideazione, Roma 2000.