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«C’è fato e fato»: il fato nel linguaggio corrente e il fato secondo etimologia

29 Giugno 2006 - Autore: Alleanza Cattolica

Sant’Aurelio Agostino, Cristianità n. 335 (2006)

De civitate Dei, libro V, 9, 3, trad. it., La città di Dio, vol. I (Libri I-X), testo latino dell’edizione maurina confrontato con il Corpus Christianorum, introduzione di Agostino Trapè O.S.A. (1915-1987), Robert P. Russel O.S.A. (1910-1985), Sergio Cotta, traduzione di Domenico Gentili, Città Nuova, Roma 1978, pp. 345 e 347. Titolo redazionale.

Noi […] sosteniamo che Dio conosce tutte le cose prima che avvengano e che noi facciamo con la nostra volontà tutte le azioni che abbiamo coscienza e conoscenza di fare soltanto perché lo vogliamo. Non affermiamo che tutti gli eventi si verifichino fatalmente, anzi affermiamo che nessuno di essi si verifica fatalmente. Sosteniamo appunto che il concetto di fato, come si considera nel linguaggio usuale, cioè attraverso la combinazione degli astri, nel concepimento e nascita degli individui, viene affermato senza alcuna prova ed è quindi insignificante. Non neghiamo però la serie delle cause, sulla quale l’azione di Dio è determinante e non la chiamiamo fato, a meno che fato non s’intenda etimologicamente derivato da fari, cioè parlare [Varrone, De lingua lat. 6, 52; cf. Platone, Politeia 617c; Plotino, Enn. 2, 3, 7, 4-7; 3, 1, 6, 18-24]. Non possiamo negare che nella sacra Scrittura è stato scritto: Dio ha parlato una sola volta ma io ho ascoltato queste due cose, che Dio ha il potere e che tu, o Signore, hai la bontà, perché rendi a ciascuno secondo le sue azioni [Ps 61, 12-13]. Il concetto: ha parlato una sola volta significa che ha parlato senza muoversi, cioè senza porsi nel divenire. Ha parlato, come conosce senza divenire tutti gli eventi che si verificheranno e che porterà a compimento. In questo senso potremmo derivare fato da fari, se la parola non fosse già intesa con un altro concetto, al quale noi non vogliamo che il cuore umano sia favorevole. Non è conseguenziale che, se per Dio è determinata la serie delle cause, per noi ne derivi la negazione del libero arbitrio della volontà. Anche la nostra volontà rientra nella serie delle cause che per Dio è determinata ed è compresa nella sua prescienza perché anche la volontà umana è causa di azioni umane. Così Egli che ha avuto prescienza delle cause di tutti gli avvenimenti non ha potuto certamente non conoscere in quelle cause anche la nostra volontà di cui sapeva per prescienza che sarebbe stata causa delle nostre azioni.

Sant’Aurelio Agostino (354-430)

 

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