“Non lasciatevi rubare la speranza, per favore, non lasciatevi mai rubare la speranza“, così Papa Francesco, eletto da poche settimane, nel suo primo discorso ai giovani, la domenica delle Palme del 2013, domenica dedicata alla Giornata della gioventù nelle singole diocesi. Quasi continuando idealmente un discorso iniziato dal suo predecessore, il Papa Emerito Benedetto XVI, autore nel 2007 dell’enciclica Spe Salvi, invitava i giovani a porre ogni loro impegno nell’essere uomini e donne di speranza, portatori della gioia e del sorriso che nasce dalla fiducia, meglio dalla certezza, dell’infinito. Il detto popolare ha insegnato a generazioni che “La speranza è l’ultima a morire”, ma dovrebbe essere rimodulato con “La speranza non muore mai” perché la speranza è Cristo, la vita stessa che non può mai avere fine.
E sulla speranza il Papa è tornato oggi, nell’udienza generale del mercoledì, proponendo la figura di Abramo, padre nella fede e nella speranza. Abramo è il grande padre delle tre fedi monoteiste del Medio Oriente: ebraismo, cristianesimo, islam. E’ colui che ha creduto nel Dio unico che si era rivelato, ma soprattutto è colui che ha sperato oltre ogni possibile speranza e per questo Dio lo ha ricompensato.
Per Papa Francesco Abramo è il vecchio che ha sperato fino all’ultimo nell’adempimento della promessa divina. E’ colui che ha creduto nonostante la promessa fosse fuori ogni possibilità umana: avere un figlio a cent’anni da una donna vecchia e sterile. Per questo san Paolo dice di lui: «Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli» (Rm 4,18); e il santo Padre aggiunge «“saldo nella speranza contro ogni speranza”. Questo concetto è forte: anche quando non c’è speranza, io spero.»
La speranza è il perno intorno a cui ruota il mondo. Noi ci alziamo tutte le mattine perché speriamo di lavorare per poter vivere decorosamente; i bambini giocano per la speranza di essere felici; ci sposiamo nella speranza di condividere una storia con qualcuno; ci curiamo per la speranza di guarire; mettiamo al mondo dei figli nella speranza di renderli felici e contribuire al bene dell’umanità…La speranza è come l’ossigeno, senza speranza l’uomo soffoca, dove non c’è speranza, c’è solo morte. Sempre il Papa dice «essa è la capacità di andare al di là dei ragionamenti umani, della saggezza e della prudenza del mondo, al di là di ciò che è normalmente ritenuto buonsenso, per credere nell’impossibile. La speranza apre nuovi orizzonti, rende capaci di sognare ciò che non è neppure immaginabile.»
Ma la speranza solo umana ha un orizzonte limitato alle forze umane, si esaurisce con le capacità e le doti personali. Sul mio inginocchiatoio da anni c’è un’immaginetta devozionale che raffigura Maria, con in braccio Gesù Bambino, identificata come Mater Sanctae Spei. Confesso che a lungo l’ho compresa come una della tante definizioni della Vergine, al pari di Aiuto dei cristiani, Torre d’avorio o Regina della famiglia, ma era un errore. Maria è madre della speranza perché è fisicamente, materialmente madre di Cristo. Con Cristo la speranza vera, quella dagli orizzonti infiniti, quella che ci fa intravedere la pochezza di questa vita facendo brillare, forse solo a sprazzi, un’altra vita, più reale della vita “reale”, è entrata nel mondo.
Sperare però è comunque difficile, mette a dura prova noi stessi e, dice il Papa, « è un cammino difficile. E viene il momento, anche per Abramo, della crisi di sconforto […] non dico che perda la pazienza, ma si lamenta con il Signore. Anche questo impariamo dal nostro padre Abramo: lamentarsi con il Signore è un modo di pregare.» Di fronte al lamento, Dio non rimprovera Abramo ma lo invita a uscire, al buio, di notte, perché «anche nel cuore di Abramo c’è il buio della delusione, dello scoraggiamento, della difficoltà nel continuare a sperare in qualcosa di impossibile».
E ancora Papa Francesco ci aiuta a comprendere le nostre difficoltà: «La fede non è solo silenzio che tutto accetta senza replicare, la speranza non è certezza che ti mette al sicuro dal dubbio e dalla perplessità. Ma tante volte, la speranza è buio; ma è lì la speranza … che ti porta avanti. Fede è anche lottare con Dio, mostrargli la nostra amarezza, senza “pie” finzioni.»
Abramo si lamenta, ma questo lamentarsi è un chiedere a Dio un aiuto per poter continuare a sperare e infatti Lui gli fa ammirare il cielo stellato e « “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle”; e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza”. E Abramo un’altra volta credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia» (Gen 15,2-6).
E da quella discendenza, pochi giorni fa, è nato per noi il Salvatore, la vera speranza per il mondo e per ogni uomo.
Ma se Cristo è gioia, è certezza di infinito, perché i volti cupi, le facce tristi che Papa Francesco ha spesso rimproverato ai cristiani? Perché, ci dice Benedetto nella Spe salvi, l’Europa e l’Occidente, dopo aver accolto la Luce del cristianesimo, ne hanno con un lento cammino durato secoli, offuscato la bellezza, frapponendo ideologie, tecniche, prospettive “umane, troppo umane”, per dirla con Nietzsche, e così siamo tornati alla speranza limitata degli antichi. Ma Cristo, risorto, non muore più, non abbandona l’uomo, resta lì, con le braccia aperte, come le aveva sulla croce per richiamare tutti e donarsi a tutti. Si potrebbe dire che Cristo tiene la braccia spalancate per tenere aperte le porte della misericordia del Padre in modo che per tutti ci sia la speranza di potervi entrare.
Con questa certezza nel cuore nessuno può piangere sulla crisi dei tempi moderni, nessuno può perdere tempo a lamentarsi, l’unica via è correre gioiosamente incontro alla misericordia e alla speranza per farne gli strumenti primi della vita quotidiana nella nuova evangelizzazione che ci aspetta.
Scriveva Charles Péguy, “Questo mondo moderno non è solamente un mondo di cattivo cristianesimo, questo non sarebbe nulla, ma un mondo incristiano, scristianizzato. Ciò che è precisamente il disastro è che le nostre stesse miserie non sono più cristiane. C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere ed interpellare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Egli non si mise ad incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo”(Véronique).
E questa fu anche l’esperienza di Maria sul Calvario. Sotto la croce si poteva pensare che il regno di Cristo fosse “finito prima di cominciare”, invece era esattamente il contrario: attorno alla Vergine Maria, Madre della speranza, il regno “iniziava in quell’ora e non avrebbe avuto mai fine” (Spe Salvi, n. 50) .
Silvia Scaranari