La Turchia di Erdogan verso una fase di incertezza interna
Molte cose si possono dire di Recep Tayyip Erdogan ma non che manchi di spirito di iniziativa o che non persegua con perseveranza i propri progetti. Lunedì 9 gennaio, in una Turchia stretta dalla morsa del gelo, è iniziata nel Parlamento di Ankara la discussione sul progetto di riforma costituzionale presentata dal partito del Presidente, l’AKP, agli inizi di dicembre.
Il progetto riguarda 21 articoli della costituzione e sancisce di fatto il passaggio della Turchia ad un sistema politico di tipo marcatamente presidenzialista. E’ un vecchio sogno di Erdogan che, con la concentrazione di gran parte dei poteri nelle proprie mani, si appresta a sancire costituzionalmente il suo ruolo di Sultano. La riforma costituirebbe la base istituzionale per quel progetto neo-ottomano che prefigura una Turchia egemone sia in Medio Oriente che nelle terre turcofone dell’Asia centrale.
Punti salienti della riforma sono: il Presidente assume i poteri che già furono del Primo Ministro e ha la facoltà di sciogliere il Parlamento in ogni momento; nomina 12 dei 15 membri della Corte Costituzionale; nomina la maggioranza dei membri del Consiglio Supremo dei Giudici e dei Pubblici Ministeri che, a sua volta, nomina tutti i giudici del paese. Questo accentramento di poteri, se combinato con lo stato di emergenza dichiarato dopo il tentato golpe di luglio, potrebbe permettere al Presidente di assumere anche la carica di capo delle forze armate, con un semplice decreto del Presidente stesso.
La procedura di modifica costituzionale prevede che se la riforma otterrà più di 367 voti – su 550 parlamentari – entrerà immediatamente in vigore. Se otterrà almeno 330 voti dovrà essere sottoposta a referendum popolare confermativo, che si terrebbe prima dell’estate. In ogni caso i tempi non saranno lunghi: la fine della discussione parlamentare e la relativa votazione è prevista per fine gennaio.
L’AKP ha oggi 317 seggi parlamentari (in realtà 316 perché il presidente dell’assemblea non partecipa al voto), insufficienti anche per raggiungere la soglia minima che consentirebbe alla riforma di arrivare almeno al referendum. Per raggiungere la maggioranza necessaria Erdogan e i suoi hanno cercato, ed ottenuto verosimilmente a caro prezzo, l’appoggio del Partito Nazionalista Turco MHP che, con i suoi 40 seggi, garantirebbe il passaggio parlamentare verso il referendum.
Con questa mossa il Sultano ha scelto di calare l’asso ma il percorso non sarà privo di ostacoli. Nell’AKP e nell’MHP la riforma ha generato più di un malcontento e perfino i fedelissimi di Erdogan vedono i rischi connessi all’idea di un uomo solo al comando, oltre – naturalmente – a temere una perdita di posizioni personali di potere. La Turchia sembra quindi destinata ad attraversare un periodo di forti tensioni sul piano della politica interna.
In caso di insuccesso, poi, le conseguenze sono imprevedibili ma comunque problematiche: da un lato Erdogan potrebbe essere tentato da un nuovo e più violento giro di vite interno e dall’altro i suoi avversari vecchi (il PKK) e nuovi (Daesh/Isis e compari) potrebbero voler ostacolare il suo cammino verso la “Sublime Porta” con una nuova raffica di attentati.
Inevitabili saranno anche le ripercussioni sul piano internazionale. Ricordo due fattori critici: il ruolo primario che la Turchia sta ricoprendo nella crisi siriana e la presenza “provvisoria” di tre milioni di profughi siriani (e non solo) sul territorio turco. Il ripiegamento di Ankara su questioni interne potrebbe portare ad un rinnovato attivismo dell’ultra-fondamentalismo islamico in Siria e convincere una parte dei profughi ad intraprendere la via dell’Europa, più lontana da casa ma più tranquilla. Due carte del caos che Erdogan, messo alle strette, potrebbe anche decidere di giocare volontariamente. Comunque vada sarà una nuova grana alle porte dell’Europa.
Una situazione che conviene tenere sotto controllo almeno fino all’estate. Ho cercato la notizia sui media mainstream ma ho trovato solo fiumi di inchiostro versati sul possibile cambio di gruppo degli europarlamentari del Movimento 5 Stelle: una questione che sarebbe esagerato anche solo definire “di lana caprina”, quella che non ripara dal freddo.
Valter Maccantelli