La speranza, tema delle ultime tredici udienze generali, è stata inserita nel contesto della Quaresima appena iniziata.
La Quaresima, istituita dalla Chiesa come tempo di preparazione alla Pasqua, riprende simbolicamente i 40 anni di cammino nel deserto compiuto dal popolo ebraico e i 40 giorni di digiuno che precedono la missione pubblica di Gesù. Esodo e digiuno sono preludio di una grande gioia: il raggiungimento della Terra promessa, la morte e resurrezione di Cristo, strumento di salvezza per tutti gli uomini. Per questo la Quaresima “prende luce dal mistero pasquale”, sottolinea il Santo Padre, e “il Signore Risorto ci chiama ad uscire dalle nostre tenebre e noi ci mettiamo in cammino verso di Lui, che è la Luce”.
“Il cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» (Gl 2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre” aveva già sottolineato il Papa nel suo Messaggio per la Quaresima dello scorso 18 ottobre 2016, pubblicato il 7 febbraio. Nel Messaggio prende spunto dalla parabola del ricco e del povero Lazzaro per indicare i primi elementi che possono concedere la conversione del cuore e della mente: digiuno, preghiera, elemosina e Parola di Dio, letta e meditata. Il povero è un rifiuto umano, però ha un nome, Lazzaro, che vuol dire “Dio aiuta”, cioè l’altro, l’uomo che abbiamo di fronte è un aiuto, uno strumento che Dio offre per arrivare a Lui. Al contrario, il ricco ha una personalità che “si realizza nelle apparenze, nel far vedere agli altri ciò che lui può permettersi. Ma l’apparenza maschera il vuoto interiore. La sua vita è prigioniera dell’esteriorità, della dimensione più superficiale ed effimera dell’esistenza” e per questo non ha neanche un nome. Entrambi muoiono, non portano nulla con loro, né la ricchezza, né le piaghe, ma ottengono l’uno la dannazione, l’altro la gioia. Di fronte al dolore, il ricco si ricorda dei propri fratelli che, come lui, non ascoltano la parola di Mosè. Qui è la radice della condanna, sottolinea il Papa, “la radice dei suoi mali è il non prestare ascolto alla Parola di Dio; questo lo ha portato a non amare più Dio”.
Finché siamo su questa terra Dio ha misericordia del peccatore, continua a proporgli la conversione e, per questo, nell’imporre sulla fronte le Ceneri, il sacerdote dice “Convertiti e credi al Vangelo”.
Dio ha visto la condizione di schiavitù in cui era ridotto il popolo ebraico e ne ha avuto compassione, lo ha chiamato ad uscire verso una vita libera; Dio vede la triste condizione dell’uomo schiavo del peccato, ne ha compassione e ci chiama ad uscire verso il Suo Amore. L’Esodo è lungo, travagliato, così anche noi “conosciamo la tentazione di tornare indietro” perché camminare sulla strada è faticoso, la via sembra non avere fine, non offrire ristoro, “anche per tutti noi un’uscita dalla schiavitù, dal peccato” spesso è dolorosa, costa rinunce, ferite, ma il Signore è fedele e “quella povera gente, guidata da Mosè, arriva alla Terra promessa”.
L’incontro con Dio “è costato tutto il suo sangue e grazie a Lui noi siamo salvati dalla schiavitù del peccato”. Dio non rimangia la Sua parola, ci ha salvati ma “questo non vuol dire che Lui ha fatto tutto e noi non dobbiamo fare nulla, che Lui è passato attraverso la croce e noi ‘andiamo in paradiso in carrozza’. La nostra salvezza è certamente dono suo, ma, poiché è una storia d’amore, richiede il nostro ‘sì’ e la nostra partecipazione al suo amore, come ci dimostra la nostra Madre Maria”.
Cristo ha vinto la morte per noi, ma noi dobbiamo “con Lui affrontare le tentazioni e superarle. Lui ci dona l’acqua viva del suo Spirito e a noi spetta attingere alla sua fonte e bere, nei Sacramenti, nella preghiera, nell’adorazione”.
“La fatica di attraversare il deserto – tutte le prove, le tentazioni, le illusioni, i miraggi… –, tutto questo vale a forgiare una speranza forte” per approdare ad una felicità più forte perché senza fine.
Silvia Scaranari