Confronto a distanza ospitato dal quotidiano cattolico Avvenire che, sul tema del fine vita, pubblica anche un articolo del Dg dell’Aifa Mario Melazzini: “Non si possono o si devono creare le condizioni per l’abbandono di tanti malati e delle loro famiglie. È inaccettabile avallare l’idea che alcune condizioni di salute rendano indegna la vita e trasformino il malato o la persona con disabilità in un peso sociale”.
Il disegno di legge sul testamento biologico, approdato ormai da alcune settimane in Aula alla Camera, continua a dividere. Anche i cattolici.
Con due interventi pubblicati dal quotidiano della Cei Avvenire si confrontano a distanza due autorevolissime prese di posizione del mondo cattolico: quella di Francesco D’Agostino, Presidente dell’Unione giuristi cattolici e presidente emerito del Comitato nazionale per la bioetica che invita a superare paure e diffidenze verso un testo che “non è in alcun modo finalizzato all’eutanasia” e quella del Centro Studi Livatino che ha promosso un appello sottoscritto da oltre 250 giuristi, che stronca la legge in discussione e ne richiama il rischio sotteso di un contenuto “nella sostanza eutanasico”.
Scrive D’Agostino: “Il disegno di legge non è in alcun modo finalizzato a introdurre in Italia una normativa che legalizzi l’eutanasia. Questo è ciò che invece sostengono alcuni tra i suoi avversari, ma per farlo devono interpretarlo in modo forzato. Onestà vuole che una legge vada valutata per ciò che dice e non per ciò che potrebbe farle dire un interprete subdolo o malevolo”.
Parole forti alle quali fanno da contraltare quelle altrettanto decise dell’appello promosso dal Centro Studi Livatino: “La proposta di legge, pur non adoperando mai il termine eutanasia, ha un contenuto nella sostanza eutanasico. Rispetto al testo sul “fine vita” approvato nella 16ª Legislatura dalla Camera dei Deputati il 12 luglio 2011, del quale è poi mancata l’approvazione definitiva da parte del Senato, sono scomparsi il riconoscimento del diritto inviolabile della vita umana, il divieto di qualunque forma di eutanasia, di omicidio del consenziente e di aiuto al suicidio, e ciò pone la p.d.l. in contrasto diretto con quel diritto alla vita che è il fondamento di tutti gli altri (art. 2 Cost.)”.
D’Agostino non nega in realtà che ci possa essere la possibilità di una simile interpretazione, una volta approvata la legge, “ma se ci lasciamo condizionare da questi timori – scrive – finiamo per pietrificare il nostro ordinamento e sostenere (contro ogni ragionevolezza) che è meglio non toccarlo affatto, lasciare le cose come stanno, quasi che il nostro diritto vigente sia perfetto e non abbia assolutamente bisogno di essere ‘rivisto’ (ovviamente secondo giustizia!). Non è così. Un intervento legislativo in tema di fine vita, intelligente e consapevole dello spessore dei problemi, è opportuno, anzi necessario, se non vogliamo chiudere gli occhi, pigramente e colpevolmente, davanti a una realtà che sta mutando a velocità vorticosa“.
Più nel dettaglio, analizzando il contenuto del provvedimento in tema di DAT, D’Agostino spiega: “In materia sanitaria i rischi ci sono sempre e una buona legge non deve ignorarli, ma gestirli con intelligenza, stabilendo ad esempio rigidi requisiti per la validità formale delle Dat. Estremamente opportuna, in tal senso, mi sembra l’indicazione, entrata nel disegno di legge, secondo la quale il paziente non può esigere trattamenti sanitari che vadano contro la legge, le buone pratiche cliniche o la deontologia professionale degli operatori sanitari. Una simile norma dovrebbe tranquillizzare molti critici della nuova normativa“.
Ciononostante, il D’Agostino non nega che sia necessario introdurre alcune modifiche al testo, sottolineando tuttavia che “presentarlo all’opinione pubblica come finalizzato a far entrare nel nostro ordinamento un’eutanasia mascherata, non rende onore alla verità delle cose, serve solo ad esasperare una conflittualità biogiuridica che in passato ha portato a far approvare leggi mediocri e a favorire a loro carico interventi correttivi (ahimè, anche essi spesso mediocri) della Corte costituzionale. La storia ci impone di avere coraggio, di abbandonare in parte (solo in piccola parte!) il vecchio paradigma della medicina ippocratica e di contribuire alla costruzione di un paradigma nuovo e molto più complesso. E chi perde gli appuntamenti con la storia sarà costretto, prima o poi, a pentirsene amaramente“.
Di parere opposto, l’appello dei giuristi firmatari dell’appello del Centro Studi Livatino, nel quale si sottolinea innanzitutto come in questa proposta di legge siano “scomparsi il riconoscimento del diritto inviolabile della vita umana, il divieto di qualunque forma di eutanasia, di omicidio del consenziente e di aiuto al suicidio“. Anzi, “la nutrizione e l’idratazione artificiali sono qualificati trattamenti sanitari: così quella che è una forma – anche temporanea – di disabilità in ordine alle modalità di sostentamento fisico diventa causa della interruzione della somministrazione, e quindi di morte“.
“Poiché – prosegue il documento – mancano per definizione di attualità e hanno a oggetto un bene indisponibile come la vita, le “disposizioni anticipate di trattamento” sono ben diverse dal consenso informato: rappresentano il riconoscimento del “diritto” al suicidio, che non ha nulla a che vedere con la libertà di non essere curati. A esso, come per ogni diritto, corrisponderà un dovere: quello del medico di assecondare la volontà suicidiaria: anche per questo la p.d.l. stravolge il senso e il profilo della professione del medico“.
E infine l’appello al legislatore: “Auspichiamo che il Parlamento italiano affronti le reali emergenze sanitarie, derivanti da tagli sempre più consistenti al bilancio relativo alla salute e dalla irragionevole allocazione delle risorse – tali da rendere un mero enunciato l’art. 32 Cost. -, abbandonando proposte che avrebbero anche l’effetto di rendere ancora più complicato l’esercizio della professione medica, con un prevedibile incremento del contenzioso: esito di norme generiche, confuse e contraddittorie, oltre che oggettivamente sbagliate”, concludono i giuristi firmatari dell’appello.
Sempre sul tema della malattia e del fine vita Avvenire ospitato oggi anche un intervento del Direttore generale dell’Aifa, Mario Melazzini: “La medicina, i servizi sociosanitari e, più in generale, la società – scrive Melazzini – forniscono quotidianamente delle risposte ai differenti problemi posti dal dolore e dalla sofferenza: risposte che vanno e devono essere implementate e potenziate e che sono l’esplicita negazione dell’eutanasia, del suicidio assistito e di ogni forma di abbandono terapeutico“.
“Non si possono o si devono creare le condizioni per l’abbandono di tanti malati e delle loro famiglie. È inaccettabile avallare l’idea che alcune condizioni di salute rendano indegna la vita e trasformino il malato o la persona con disabilità in un peso sociale. Ciò che manca – conclude il Dg dell’Aifa – è una reale presa in carico del malato, la corretta informazione sulla malattia e sulle sue problematiche, la comunicazione personalizzata con la condivisione familiare per poter ‘spianare’ il percorso della consapevolezza per poter facilitare e applicare concretamente le decisioni condivise durante la progressione della malattia. Non si può chiedere a nessuno di uccidere. Una civiltà non si può costruire su un simile falso presupposto“.
Giovanni Rodriquez
Da “Quotidiano Sanità” del 31 marzo 2017. Foto da UDC Italia