Sono passati soltanto pochi giorni dalla strage in Egitto che ha ucciso quasi 50 cristiani, colpiti mentre pregavano all’interno di due chiese, a Tanta e ad Alessandria. Era la Domenica delle Palme e già mercoledì della Settimana Santa i media non ne parlavano più. Eppure, per giornali e tg abituati a rincorrere l’emozione, c’erano tutti gli elementi per dare risalto all’odio pazzesco e vigliacco di due terroristi che scelgono di farsi saltare nei banchi dove pregano donne e bambini. Invece scarne notizie, tutti a interessarsi degli agnelli del povero Berlusconi (povero sul serio, visto il triste tramonto) o delle vicende del papà di Renzi.
Peraltro ci sarebbero anche motivi meno emozionali per interessarsi dei cristiani copti, che come pochi sanno, sono i cristiani originari dell’Egitto, diventati una minoranza dopo l’islamizzazione del Paese e praticamente, da allora, sempre perseguitati o discriminati, nei periodi migliori. I terroristi islamici li colpirebbero perché sono una minoranza importante che ha sostenuto il generale al Sisi nella sua lotta contro i Fratelli musulmani, sotto il cui regime i copti erano sistematicamente perseguitati. Così facendo, il terrore islamista vuole colpire anche la possibile convivenza fra musulmani e cristiani, garantita da una presenza pubblica cristiana, come avviene in Libano, proprio perché i cristiani sono un antidoto al fondamentalismo e quindi a coloro che vogliono l’eliminazione delle comunità che professano religioni diverse dalla loro. Ha scritto padre Bernardo Cervellera su Asia News: «Da tempo l’ex generale al Sisi preme per una società egiziana in cui cristiani e musulmani abbiano stessi diritti e stessi doveri; in cui le procedure per costruire chiese e moschee siano le stesse; in cui vi siano stesse possibilità di carriera nella società e nell’esercito per i fedeli delle due religioni. Un successo di al Sisi in questo campo sarebbe una rivoluzione nel mondo arabo, data l’importanza dell’Egitto, dal punto di vista numerico e culturale».
L’odio che sta alla base del terrorismo e che ha colpito la Chiesa copta dovrebbe farci riflettere e ricordarci l’odio ideologico che ha accompagnato i nostri anni Settanta, simile nella sua fredda determinazione.
Ma accanto al loro odio c’è la nostra indifferenza. Non soltanto quella dei media e della classe politica, internazionale e nazionale, perché forse sarebbe pretendere troppo da una qualità così bassa, ma anche nelle nostre comunità cristiane il silenzio genera sconcerto e preoccupazione. Quando i Pontefici ricordano che il nostro è un tempo di martiri come mai nella storia della Chiesa, forse non vengono capiti, soprattutto in Italia, dove la reazione è ancora minore che nelle comunità cristiane di altri Paesi. Eppure non ci vorrebbe molto per fare celebrare Messe per i cristiani perseguitati in ogni parrocchia, per organizzare incontri al fine di farne conoscere il dramma, magari utilizzando testimoni che non mancano in Italia, dove per esempio vivono decine di migliaia di fedeli copti.
L’odio e l’indifferenza stanno distruggendo più noi dei perseguitati, perché penetrano all’interno dei cuori e spengono il senso di solidarietà.
Ma non è soltanto questo il problema. Accanto a odio e indifferenza c’è anche una certa complicità. Quando Papa Francesco, all’Angelus della Domenica delle Palme, ricordando quanto appena accaduto in Egitto, ha chiesto di pregare per la conversione dei terroristi e di coloro «che fanno e trafficano le armi», non parlava a caso, ma si riferiva a coloro che vendono le armi a chi poi le “gira” ai terroristi, come ricorda sempre padre Cervellera:«Nel 2015, l’Arabia saudita ha registrato un incremento del 275% delle importazioni di armi rispetto al 2006-2010; il Qatar un incremento del 279%. Entrambi questi due Paesi – insieme ad altri – sono noti per il loro sostegno alla “ribellione” ad Assad e quindi ad al Qaeda e Daesh».
Marco Invernizzi