Si accostino i fatti che hanno portato al decesso del piccolo e la norma sul fine vita approvata alla Camera. Non hanno nulla in comune?
Di ideologia si muore, e non è una novità: le vicende del XX secolo e dell’inizio del secolo in corso lo documentano nel modo più drammatico. Ma sarebbe sbagliato pensare che le tragedie della storia più recente siano la conseguenza esclusiva di sistemi totalitari che hanno basi ideologiche, come il comunismo o il nazionalsocialismo: la morte corre pure sui binari di dogmi ideologici in apparenza inoffensivi, e che anzi si presentano come tesi al tuo bene.
A Cagli, in provincia di Pesaro, un bambino di 7 anni muore non perché un nemico bombarda la sua abitazione o uno shahid si fa esplodere vicino a lui, ma perché, avendo l’otite, i genitori gli negano l’antibiotico. E ciò fanno seguendo alla lettera le indicazioni dell’omeopata nel quale hanno riposto fiducia. Seguendo, cioè, input simili a quelli che inducono altri genitori a impedire la vaccinazione dei propri figli, e quindi a esporli a malattie che sembravano sconfitte; o altri ancora a instradare i propri bambini sulle vie del veganesimo, e quindi a privarli di componenti essenziali per la loro crescita sana.
L’antidoto all’ideologia è, come sempre, il ritorno all’antropologia, l’umile ma impegnativa conoscenza della natura dell’uomo, la convinzione che il creato ha leggi che vanno rispettate. Ma questo vale sempre, non soltanto per una otite non trattata o per un morbillo contagiato; sarebbe il caso che i deputati che hanno approvato qualche settimana fa la legge sulle dat e i senatori che si apprestano a votarla – gli uni e gli altri certamente turbati dalla vicenda di Cagli – mettessero a fianco la sequela di fatti che ha portato alla morte del piccolo Francesco e le disposizioni contenute nella legge da loro votata, in particolare quelle che riguardano i minori. Non hanno nulla in comune? Ne siamo proprio convinti? Non cogliamo il medesimo tratto, più o meno consapevole, della prevalenza del condizionamento ideologico sulla legge di natura?
Nell’un caso l’ideologia convince che la medicina ufficiale è deleteria, al punto da far morire il figlio pur di non somministrargli il composto chimico che probabilmente lo avrebbe guarito. Nella legge sulle dat l’ideologia convince che una vita di sofferenza non è degna di essere vissuta. In entrambi i casi rivive quel jus vitae necisque del genitore sul figlio che un paio di millenni di civiltà cristiana avevano superato.
Esagerazioni? Forzature? Rileggiamo l’articolo 3 del disegno di legge oggi all’esame del Senato. Certo, l’applicazione letterale del comma 1 («la persona minore o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione») imporrebbe al medico di ricostruire una volontà anche per il bambino di pochi anni di vita: in realtà carica il medico di ulteriore responsabilità, poiché lo chiama addirittura a relazionarsi con la formazione del consenso di un bambino, o comunque di una persona fortemente suggestionabile. Ma il comma 2 conferisce un rilevante potere decisionale ai genitori, in ordine alla accettazione o al rifiuto dell’accertamento diagnostico e/o del trattamento sanitario, e in ordine alla revoca del consenso prima prestato, con conseguente interruzione del trattamento.
Senza bisgono dei giudici
Alla fine, la volontà del minore non produce reale effetto: ciò che conta è il “consenso”, espresso o rifiutato o revocato, del suo legale rappresentante. È ben vero che per l’articolo 3 comma 5 in caso di dissenso fra rappresentante del minore e medico – il primo rifiuta le cure e il secondo le ritiene appropriate e necessarie – decide il giudice tutelare su ricorso o dell’uno o dell’altro. Ma per cogliere il mutamento che questa disposizione introduce è sufficiente richiamare la vicenda di Eluana Englaro: per determinare la conclusione della sua vita furono necessari la determinazione del tutore di non farla più assistere, una serie di pronunce giudiziarie e la disponibilità di una struttura sanitaria diversa dalla casa di cura nella quale ella si trovava per dare esecuzione alla volontà del padre, sancita da decreti e sentenze. Con questa legge non sarà necessario far intervenire il giudice: sarà sufficiente il tutore e un medico d’accordo con lui, che il tutore stesso provvederà a scegliere (ovviamente andando da quello più in sintonia).
I genitori di Francesco sono indagati per omicidio colposo. Cari parlamentari, vi rendete conto che con la legge sulle dat avrebbero semplicemente esercitato una facoltà loro (da voi) riconosciuta?
Alfredo Mantovano
Da “Tempi” del 3 giugno 2017. Foto da articolo