Chiara Mantovani, Cristianità n. 382 (2016)
Un tempo arrivavano a cavallo, armati di spadoni, un po’ puzzolenti, con la carne sotto la sella — così dopo qualche ora era pronta per essere mangiata, á la tartare, appunto — e seminavano morte e distruzione. Barbari, perché non tenevano in nessun conto la dignità delle singole persone e avevano a cuore la conquista di un mondo: terre, beni, popoli da assoggettare. Si regolavano con la legge del più forte, ma quella della realtà almeno la conoscevano. Non erano cultori del lògos, non ne sapevano nulla, ma, arrivati davanti alla bellezza del cristianesimo e a un Papa vecchiotto ma Magno, come san Leone I (440-461), seppero fermarsi.
Oggi arrivano in aereo, più veloci ed efficaci, più funzionali a una conquista molto più sottile e decisiva: l’ethos di una civiltà. Sono i nuovi barbari, tanto puliti da essere asettici e profumati di disinfettante e di progresso.
È la fecondazione artificiale, baratro di utilitarismo e delirio tecnocratico: quel che si riesce a fare, si faccia. E possibilmente ci si guadagni. Caduta la percezione ragionevole che i bambini si «hanno» e non si «fanno», caduto in Italia il divieto di fecondazione eterologa, si è logicamente aperto il mercato dei gameti.
Se era prevedibile che la ovodonazione senza remunerazione avrebbe incontrato ostacoli naturali, a causa della sua complessità e pericolosità per le donne, meno prevedibile era la scarsità anche di donazione di spermatozoi, oggettivamente meno impegnativa per gli uomini. Ma dal settembre del 2014 al marzo del 2015 soltanto dodici uomini si sono fatti avanti all’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze e appena uno di loro ha superato tutti i test di selezione. E neanche una donna. Un bel problema per tutte le strutture che dopo la sentenza della Corte di Cassazione del 10 aprile 2014 speravano di riempire i freezer — adeguati, questa volta — di ovuli, spermatozoi ed embrioni. Sembra che ci sarà bisogno di un ulteriore sfrondamento di quel poco che rimane della legge n. 40 del 2004, che si tolga il divieto di remunerazione per i gameti donati, insomma che si conceda un premio per il «disturbo».
Lo scorso anno, la dottoressa Elisabetta Coccia — che dirige il centro di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) del policlinico Careggi — chiedeva un intervento legislativo per «[…] individuare, a livello istituzionale, un premio di solidarietà per la donna che dona. [L’ovodonazione] è un percorso invasivo, comporta in media due settimane, oltre alla fase diagnostica» (1). La donatrice, o aspirante tale, «[…] deve presentarsi sei, sette volte, per colloqui, ecografie, dosaggi ormonali, esami genetici, esami infettivologici, e così via. Dopodiché è indispensabile un trattamento farmacologico con punture quotidiane per circa 12 giorni, e venire personalmente a fare i controlli ecografici fino a che gli ovuli si sono sviluppati al punto da poter sottoporsi all’intervento chirurgico» di prelievo degli ovociti maturi. «È un impegno forte, e composto di una parte invasiva». Eppure, dichiarava, «nessuno pensa a compravendita […], donare gameti è atto di solidarietà vero» (2). Ma il 25 marzo 2015 l’acquisizione di gameti all’estero per la fecondazione assistita è stata sbloccata dalla Regione Toscana con una delibera e l’ospedale di Careggi ha potuto quindi iniziare i trattamenti alle pazienti che hanno bisogno di una donatrice, dopo aver concluso gli accordi con le banche estere e selezionato circa ottanta coppie sterili: ecco la prima struttura pubblica ad avvalersi di ovociti donati in altri Paesi europei.
Il 9 marzo del 2015, la nascita dei primi due gemelli italiani frutto di fecondazione eterologa innescò la polemica sul rimborso di milleduecento euro alla donatrice. In Europa si va dagli zero euro della Francia ai duemila del Belgio. Da uno studio condotto dalla European Society of Human Reproduction and Embriology (ESHRE) in sessanta cliniche di undici Paesi europei emerge che il 42 per cento ammette di donare anche o solo per motivi economici (3).
Negli Stati Uniti, una donatrice di ovuli può ricevere da quattromila a diecimila dollari o anche di più per chi, come si legge sul sito Egg Donor America (4), si sia già sottoposta a un ciclo di donazione o i cui ovuli abbiano qualità eccezionali.
Oltre la triste contabilità, vi è un ulteriore passaggio che necessita di essere evidenziato: l’uso di gameti estranei alla coppia richiedente è ancora più devastante, in quanto è anche il primo gradino di una ulteriore deriva.
La mentalità tecnocratica non si ferma a una mancanza, quella dei gameti, ma — totalizzante come tutte le rivoluzioni — penetra fino in fondo: e se manca la donna, ovvero l’utero? La soluzione non è un’altra mamma, come nel caso dell’adozione o dell’orfanità, ma un altro succedaneo di funzione, ossia un altro organo adatto-necessario allo scopo: un altro utero. Non una persona — una mamma —, ma una funzione: una incubatrice. Ecco l’«utero in affitto» o, come si dice adesso, la «gestazione per altri» (GPA). L’umano ridotto alla propria fisiologia, in un meccanicismo che non è rispettoso del senso, ma solo della funzione. Un rispetto, peraltro, che a sua volta sta già cercando il modo di essere superato, perché al momento è dettato solo dall’impossibilità di fare diversamente. L’utero artificiale è la prossima frontiera già immaginata. Se la fecondazione eterologa spezza il legame familiare, l’utero «di altra», che non viene riconosciuta come madre — tutt’al più come «fattrice» —, sancisce la scissione fra maternità e parto.
Tutto ciò mostra l’evidenza di un mercato dell’umano, che sembra però più preoccupato di non cedere porzioni ai soliti stranieri intraprendenti, come quelli che dalla Spagna, per via aerea, stanno portando a Milano e altrove le «loro» cliniche della fertilità, come intitola l’articolo di Simona Ravizza nel Corriere della Sera del 26 settembre 2016: «Cliniche e banche di ovuli spagnole alla conquista dell’eterologa in Italia. Ieri esportavano i gameti, ora i big della fecondazione aprono a Milano e Modena».
Forse si è iniziato sempre così: apri una trattoria qui, una là, poi ti accorgi che la gente gradisce, apri una catena di alta ristorazione e poi vai all’estero…
La gente continuerà a gradire, fino a quando le persone non proveranno sulla loro pelle la tragedia in cui si traduce una fecondazione artificiale, il dolore, le lacrime, i soldi, la frustrazione, ma soprattutto il costo di vite umane. Riferisco qui solo due dati, pochi, perché appena si realizza che non si tratta di successi-fallimenti, ma di bambini prodotti-bambini morti, allora la ragione ha le vertigini. Con una premessa che dovrebbe tacitare l’annosa questione se si possano considerare gli embrioni dei bambini: chi si lascia introdurre embrioni in utero — e persino in utero altrui — non ha dubbi che siano bambini, li reclama come suoi alla nascita, ne chiede il risarcimento quando — sommando disgrazia a disgrazia — qualcuno sbaglia e li dà ad altri o li «perde» nel freezer difettoso.
I reali risultati della fecondazione artificiale in termini di gravidanze a termine sono fermi al 14,7 per cento in Italia e al 21-22 in Europa. Stando alle cifre, riferite nella relazione inviata nel 2015 dal ministro della Salute al Parlamento sull’applicazione della legge n. 40 del 2004, a fronte di 114.276 embrioni formati ne sono stati trasferiti 91.720 e sono nati 9.814 bambini (5). Dunque più del 90 per cento degli embrioni formati viene «perso». Non sono dati sostanzialmente diversi da quelli degli anni 2004-2005.
Non si impara dai propri errori, se non si cambia sostanzialmente strada. Se non ci si arrende alla verità, almeno a quella dei fatti. Gli antichi barbari seppero riconoscere il bello e il vero e giunsero al giusto.
«Questa è per me la condizione post-moderna — ha osservato Hartmut Rosa, sociologo tedesco dell’università di Jena, in Germania —: non andiamo più verso un avvenire radioso ma corriamo per non cadere nell’abisso alle nostre spalle» (6).
Note:
(1) Eterologa, a Firenze in 6 mesi 1 donatore e nessuna donatrice, in Askanews, del 17-3-2015, nel sito web <http://www.askanews.it/ regioni/ toscana/ eterologa-a-firenze-in-6-mesi-1-donatore-e-nessuna-donatrice_711375408.htm>. Tutti i siti web citati nelle note al testo sono stati consultati il 30-11-2016.
(2) Eterologa, responsabile Careggi: «nessuno pensa a compravendita», del 17-3-2015, nel sito web <http://www.askanews.it/ regioni/ toscana/ eterologa-responsabile-careggi-nessuno-pensa-a-compravendita_711375425.htm>.
(3) Cfr. una sintesi del rapporto nel sito web <https://www.eshre.eu/ londen2013/ media/ releases/ guido-pennings.aspx>.
(4) Cfr. il sito web <www.eggdonoramerica.com>, di una chiarezza esemplare.
(5) Il testo della relazione è nel sito web <http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2379_allegato.pdf>.
(6) Hartmut Rosa, «Andiamo da nessuna parte ma sempre più in fretta», intervista di Claudio Gallo, in La Stampa, Torino 5-6-2015, nel sito web <http://www.lastampa.it/ 2015/06/05/ cultura/ andiamo-da-nessuna-parte-ma-sempre-pi-in-fretta-xZwfpNbPCh3a2feuHfsGjP/ premium.html>, consultato il 30-11-2016.