di Michele Brambilla
Si rinnova, alla recita dell’Angelus di domenica 16 luglio, l’appello del Papa per la pace in Venezuela dal quale continuano ad arrivare notizie di scontri di piazza e di difficile , ma tenace resistenza al progressivo instaurarsi di un regime marxista . Ancora una volta Papa Francesco si rivolge ai venezuelani a partire dalla loro fede (dice «comunità cattolica venezuelana»), «[…] rinnovando la preghiera per il vostro amato Paese». Per questo tramite, il Pontefice parla del resto ai cattolici di tutto il mondo come pastore universale, rendendo tangibile quanto afferma il prefazio del Messale Ambrosiano di domenica: «il Signore Gesù da tutte le genti trasse un’unica Chiesa e a lei misticamente si unì con amore sponsale».
Il cuore della predicazione di Francesco è la parabola del seminatore (cfr. Mt 13,1-23), che costituisce la pagina di Vangelo della XV domenica del Tempo ordinario: «Gesù, quando parlava, usava un linguaggio semplice e si serviva anche di immagini, che erano esempi tratti dalla vita quotidiana, in modo da poter essere compreso facilmente da tutti». È un monito metodologico anche per i cristiani di oggi, tentati dall’adottare verso i contemporanei peccatori il linguaggio «[…] che usavano i dottori della Legge del tempo, che non si capiva bene, ma che era pieno di rigidità e allontanava la gente». Ad allontanarsi da Dio non è solo il peccatore intimorito da questo linguaggio, ma anche il censore spietato, che si ritrova con un cuore sempre più freddo e si rifiuta di convivere, nella comunità, con l’imperfezione umana.
Diverso invece l’atteggiamento del seminatore della parabola, che getta il seme sia sulla strada sia sul terreno buono, a indicare la libertà di Dio nel distribuire i propri doni e nell’accettare la risposta dell’uomo. «Tra il terreno buono e la strada, l’asfalto – se noi buttiamo un seme sui “sanpietrini” non cresce niente – ci sono però due terreni intermedi che, in diverse misure, possiamo avere in noi. Il primo, dice Gesù, è quello sassoso. […] Così è il cuore superficiale, che accoglie il Signore, vuole pregare, amare e testimoniare, ma non persevera, si stanca e non “decolla” mai. […] Ma chi accoglie il Signore solo quando gli va, non porta frutto». L’altro terreno è quello spinoso, in cui prosperano «[…] i vizi che fanno a pugni con Dio, che ne soffocano la presenza». In entrambi casi si coglie nel recettore quell’illusione di onnipotenza (usando un’espressione teologica greca si chiamerebbe autosoteria, cioè “presunzione dell’auto-salvezza”) che è una delle matrici della Rivoluzione anticristiana e che porta tanti a ritagliare dal Magistero solo ciò che corrisponde alle proprie convinzioni mondane.
Segue ancora una volta l’appello a “tuffarsi” con fiducia nei confessionali per accogliere la misericordia del Signore e discernere il nostro vissuto alla Sua luce. «Cari fratelli e sorelle, Gesù ci invita oggi a guardarci dentro: a ringraziare per il nostro terreno buono e a lavorare sui terreni non ancora buoni. […] Troviamo il coraggio di fare una bella bonifica del terreno, una bella bonifica del nostro cuore, portando al Signore nella Confessione e nella preghiera i nostri sassi e i nostri rovi. Così facendo, Gesù, buon seminatore, sarà felice di compiere un lavoro aggiuntivo: purificare il nostro cuore, togliendo i sassi e le spine che soffocano la Parola».