La proprietà privata e le classi sociali sono contro la famiglia ?
RISPARMIARE PER I FIGLI È ANTISOCIALE?
Sostanzialmente utilizzando un opuscolo pubblicato dalla TFP argentina, offriamo ai nostri lettori un dialoghetto – che ai più ricorderà gli scritti del conte Monaldo Leopardi – nel quale diversi temi della dottrina sociale naturale e cristiana sono presentati con un linguaggio estremamente semplice e corrente, proprio delle conversazioni quotidiane.
In questo modo sono messi alla portata di tutti, in una forma accessibile e attraente, argomenti che, esposti in modo diverso, sarebbero difficilmente abbordabili per i più.
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Interlocutori:
SIGNORA DE NICOLA: una giovane nonna, che vive un conflitto di coscienza tra i suoi sentimenti di sposa e di madre di famiglia, e certe idee socialiste apprese nel periodo dei suoi studi.
GENERALE MAZZONI: un generale in pensione, di solida formazione anticomunista.
BERNARDI: un modesto rappresentante di commercio, con idee chiare sulla proprietà e sul lavoro.
La sala d’aspetto della stazione di Roma è quasi vuota. All’infuori di alcuni pochi funzionari che passano rapidamente, vi sono solo una ventina di passeggeri, abbondantemente infagottati, che attendono l’annuncio di partenza dei treni, i cui orari sono sconvolti dai «postumi» di uno sciopero. Nell’attesa, ciascuno inganna il tempo come può. Alcuni dormono sulle poltrone, altri passeggiano. La noia ha fatto morire tutte le conversazioni. Solo due persone conversano animatamente, ora camminando, ora fermandosi, nei momenti in cui la conversazione si fa più animata. Data la vivacità di entrambi, non è difficile capire che stanno discutendo.
La signora De Nicola, che porta bene i suoi sessant’anni, torna lieta a Firenze, dove abita, desiderosa di occuparsi di nuovo delle sue faccende di casa, In questa città ella vive felice con il marito, direttore di un ufficio dell’amministrazione provinciale.
Alla stazione di Firenze è attesa da sua figlia, che la condurrà in automobile a casa sua e, massima attrattiva, già pregusta le manifestazioni di affetto dei suoi tre nipoti, che sono in sorridente attesa dei suoi regali.
Il suo interlocutore ha un portamento virile e una costituzione eccezionalmente robusta. Qualcosa in lui denota una seconda natura abituata al comando e alla combattività. La voce forte comporta inflessioni piacevoli e cortesi. Sulla cartella che porta in mano si può leggere il suo nome: generale E. Mazzoni. Anche lui torna a Firenze, dove risiede con i suoi da quando è andato in pensione.
Entrambi si sono salutati cordialmente, quando hanno avuto la sorpresa di incontrarsi, dal momento che aspettano lo stesso treno di ritorno. Ma la conversazione, nata dal commento a un fatto del giorno, ha preso il tono inatteso di una discussione a sfondo dottrinale.
Proprietà e famiglia
GENERALE MAZZONI. Insomma, signora, sono spaventato nel vedere fino a che punto Lei è contraria alla proprietà privata. Ma, soprattutto, mi sorprende vedere una così brava madre di famiglia affermare, come Lei ha appena finito di fare, che l’istituto della famiglia non ha niente da perdere da una riforma della proprietà privata. Perchè una riforma come quella che Lei auspica, si concluderà inevitabilmente in una quasi soppressione della famiglia.
SIGNORA DE NICOLA (sorridendo). È quello che mi dice sempre mio marito. Egli non capisce come faccio a economizzare per i nostri figli e a essere, nello stesso tempo, una così accesa sostenitrice di una riforma radicale della proprietà. Il fatto è, però, che non ho dimenticato le lezioni che ho seguito all’università, a Milano, nella facoltà di giurisprudenza. Ancora oggi vive sotto l’influenza ideologica di quei socialisti dai tratti aristocratici. Non posso dimenticare quello che insegnavano sulla proprietà, considerata come un ostacolo per l’uguaglianza sociale ed economica. Da parte mia non vedo contraddizione tra questa posizione e l’istituto della famiglia, poichè sono consapevole di essere, allo stesso tempo, una sposa e una madre molto affettuosa.
Il diritto della famiglia sul patrimonio familiare
GENERALE MAZZONI. Lei ammette che suo marito e i suoi figli possiedano un diritto alla sua assistenza e al suo aiuto, in caso di necessità, superiore a quello di qualsiasi altra persona? Sono sicuro di sì, poichè se Lei dovesse una solidarietà uguale a tutti, la famiglia perderebbe la sua ragione di essere.
SIGNORA DE NICOLA. Senza dubbio: però questo non significa che la proprietà privata, come attualmente esiste, debba essere legata alla famiglia.
Il lavoro servile e il lavoro personale
GENERALE MAZZONI. Se Lei mi permette di affrontare l’argomento un passo dopo l’altro, forse giungerà ad una conclusione diversa. Le faccio un’altra domanda. Lei ammette anche che suo marito abbia un diritto personale sul prodotto del suo lavoro? Certamente lo ammette, poichè chi non ha questo diritto è uno schiavo. È proprio il modo con il quale si distingue lo schiavo dall’uomo libero, poichè l’uomo libero produce per sé e lo schiavo per il suo padrone.
SIGNORA DE NICOLA. Lo ammetto, generale, però ancora una volta non vedo dove vuole arrivare.
GENERALE MAZZONI. È facile, signora; se il prodotto del suo lavoro è suo, suo marito e Lei sono liberi di usarlo o di risparmiare. Anche questi risparmi sono suoi.
Se Lei si fosse vista costretta a rinunciare ai suoi risparmi a favore del Comune, è molto probabile che, invece di tornare a Firenze, avrebbe invitato il signor De Nicola a trascorrere ancora un po’ di giorni a Roma; altrimenti quel piccolo capitale accumulato sarebbe passato a riempire le casse del Comune di Firenze, senza nessun beneficio per Lei.
SIGNORA DE NICOLA (ridendo). Certamente; saremmo già sulla strada per Cortina.
GENERALE MAZZONI. Allora, perché Lei fa economia?
SIGNORA DE NICOLA. Per garantire la nostra vecchiaia, educare i nostri figli nel miglior modo possibile e assicurare loro una sommetta per affrontare la vita.
La formazione del patrimonio e l’ascesa sociale
GENERALE MAZZONI. Vede, il suo cuore di sposa e di madre Le ha dato una nozione molto più realistica, benché in modo subcosciente, delle relazioni tra la famiglia e la proprietà, delle lezioni piene di elucubrazioni teoriche dei professori della sua università. La sommetta che Lei mette da parte è la proprietà privata nel suo aspetto più simpatico, nata cioè dalla famiglia e diretta verso la famiglia. Vede, con tutte le sue energie affettive e con tutte le solidarietà naturali che crea, la famiglia tende a condensare il salario per trasformarlo in proprietà. Essa opera come un piccolo istituto di assicurazioni a beneficio dei propri membri. E cerca di preparare la ascesa graduale della stirpe attraverso gli anni, portando ciascuna generazione a preparare un futuro migliore per le altre.
L’eredità e le false obiezioni dell’ugualitarismo
SIGNORA DE NICOLA. Guardando le cose da questo punto di vista, non posso negare che la proprietà sia simpatica a me, madre di famiglia; però, nel mio spirito, udendola parlare, nascono molte obiezioni: quante famiglie ricevono un misero salario, che non permette loro di fare economie? E la colpa di ciò, di chi è, se non dei proprietari che accaparrano nelle loro mani tutti i profitti? Inoltre, è giusto che io pensi all’ascesa sociale dei miei, quando di fatto la giustizia consiste nella completa uguaglianza? Infine, il desiderio di una educazione migliore e di un punto di partenza più facile nella vita per i miei figli, non deriva da un egoismo materno, più sottile, più mascherato, ma proprio per questo più feroce, dello stesso egoismo individuale?
Ah, generale! Tocchiamo una questione fondamentale. L’eredità, non sarà l’espressione di un grande egoismo, l’egoismo di una famiglia che è tanto ingiusto quanto l’egoismo individuale, del quale Le parlavo poco fa? Non pensi che tutto questo fosse contenuto nelle lezioni universitarie. Sono cose che mi sono messa a pensare nel corso di questi anni. Non Le nascondo che vivo in una specie di crisi di coscienza, che adesso Le sto rivelando.
GENERALE MAZZONI. La sua crisi non mi sorprende. Ho visto che sta lentamente minando non poche signore che non hanno avuto docenti socialisti, ma che hanno letto un poco Maritain e seguono la stampa progressista. Non è in nome di qualche professore socialista, ma fondandosi su di una autorità ben diversa e molto più alta, che esse si mettono a dubitare. Parlano di testi di Giovanni XXIII e di Paolo VI, si richiamano al Concilio …
SIGNORA DE NICOLA. E Lei?
GENERALE MAZZONI. Io mi permetto di difenderle contro questa deformazione ideologica per cui queste signore, e Lei fra loro, si riducono ad accusare ingiustamente se stesse. Le difendo contro se stesse. Difendo in loro uno dei tratti più simpatici della personalità, che è l’amore alla famiglia e al focolare portati agli estremi limiti delle loro conseguenze legittime. E le difendo basandomi non certamente su professori socialisti, ma sulle encicliche e sui concili.
SIGNORA DE NICOLA. Questo è ciò che sono curiosa di conoscere.
Legittimità dell’amore alla famiglia
GENERALE MAZZONI. Cominciamo dalla sua prima domanda. Famiglie buone, quelle che fanno tutto il possibile per i loro figli nell’ordine religioso, intellettuale e materiale! Se tutte le famiglie italiane facessero tutto per i loro figli, l’Italia diventerebbe rapidamente una delle maggiori nazioni del mondo. Come vede, non c’è miglior mezzo di servire il bene comune, che soddisfare le aspirazioni di quello che Lei chiama «egoismo familiare».
In realtà, non si tratta qui dell’«egoismo paterno», che è un’espressione peggiorativa ingiusta, L’amore paterno, sentimento sacro che porta i padri a prendersi cura dei loro figli, moltiplica in loro la capacità di lavorare e di risparmiare. È conforme alle leggi della natura che un padre e una madre normali non riescono mai a fare per i figli degli altri neanche una piccola parte di quello che fanno per i propri figli. In tale modo, l’amore paterno è un fermento potente che lavora in favore del bene comune, e non contro di esso. Più ancora, senza l’amore paterno il bene comune perirebbe irrimediabilmente.
SIGNORA DE NICOLA. Ah, generale! Come mi fa piacere udire tutto questo! Già vedo l’eredità con altri occhi. Però non riesco a smettere di pensare a tanti bambini che non erediteranno altro che miseria.
Uguaglianza ed eredità
GENERALE MAZZONI. Anch’io ho compassione di quei bambini. Ma non posso smettere di pensare che, se la soppressione dell’eredità fa decadere tutta l’energia della produzione, non andrà a beneficio di quei bambini che non ereditano nulla, ma danneggerà soltanto quelli che ereditano qualcosa, aumentando il numero dei diseredati.
SIGNORA DE NICOLA. Lasciamo da parte, per il momento, le considerazioni economiche. Non pensa che sia in gioco una questione di dignità, di cui si deve tenere conto? L’eredità costituisce classi sociali diverse. Orbene, Dio ha creato gli uomini liberi e uguali. Non le sembra che la diversità delle classi sociali sia un insulto fatto al Creatore?
Uguaglianza di natura e disuguaglianze naturali
GENERALE MAZZONE. È tutto il contrario, signora, e sono lieto che abbia esposto questa difficoltà, perchè molte persone cadono proprio qui. Per natura tutti gli uomini sono uguali, ma soltanto in un senso. In un altro senso non lo sono. Sono uguali perchè sono creature di Dio, dotate di corpo e di anima, redente da Nostro Signore Gesù Cristo. E per questo ogni uomo, per la sua dignità di essere umano, ha diritto a ciò che gli è proprio: diritto alla vita, alla salute, al lavoro, all’unica vera religione, alla famiglia, al progresso intellettuale, ecc. Ma, all’infuori di questa uguaglianza essenziale, vi sono tra gli uomini disuguaglianze accidentali poste da Dio: differenze di virtù, di intelligenza, di capacità di lavoro, di attitudini, di psicologia, e molte altre. Sono tutte disuguaglianze naturali che si riflettono nella società, e fanno si che i più capaci, quelli che si impegnano di più, possano progredire. Una società deve rispettare l’ordine profondo delle cose, e per questo si compone di diverse classi sociali che formano una immensa gerarchia. Queste disuguaglianze non sono un insulto fatto al Creatore, ma sono state poste da Lui stesso a vantaggio di tutto il corpo sociale. Lei sa, signora, quale ideologia propugna la distruzione delle classi sociali?
SIGNORA DE NICOLA. Il comunismo…
Il comunismo vuole distruggere le classi sociali
GENERALE MAZZONI. Esattamente. Ma questa distruzione delle classi sociali è tanto contraria all’ordine naturale delle cose, che, per ottenerla in tutta la misura del possibile, il comunismo deve schiavizzare gli uomini, imponendo il terrore.
SIGNORA DE NICOLA. Mi permetta, generale, un’altra domanda che ho sulla punta della lingua. La carità, non comanda di distribuire tutto quello che uno ha?
Carità e diritto all’uso dei propri beni
GENERALE MAZZONI. No, signora. Nessuno è obbligato ad alleviare i bisogni del prossimo, privandosi di ciò che è necessario per lui o per la sua famiglia. E neppure di quanto ha bisogno per provvedere ai suo decoro personale. Questo perchè nessuno è tenuto a vivere in un modo sconveniente.
SIGNORA DE NICOLA. Ma, allora, in che cosa consiste la carità?
GENERALE MAZZONI. La carità sta nel fatto che, quando uno ha provveduto sufficientemente alle sue necessità e al suo decoro, ha l’obbligo di dare il superfluo ai poveri: infatti, come dice la saggezza popolare, «la carità bene intesa comincia in casa». Quest’obbligo di carità si può assolvere in diversi modi.
SIGNORA DE NICOLA. Ma molti, generale, non vogliono compiere questo dovere. Lo Stato, allora, dovrebbe togliere i beni ai proprietari egoisti, per consegnarli ai poveri?
GENERALE MAZZONI. No assolutamente. Lo Stato, signora, non può esigere i doveri di carità. Esige l’obbligo di giustizia tra i cittadini, e di questi di fronte allo Stato, ma non gli obblighi di carità.
Dal momento che non si tratta di doveri di stretta giustizia, che lo Stato potrebbe esigere per legge, gli obblighi di carità sono riservati al giudizio di Dio. Volere altro, significa pretendere che lo Stato si trasformi nell’arbitro delle fortune e delle vite dei privati. Tutti i totalitarismi, dal nazismo al comunismo, passando per le varie gamme del socialismo vogliono in fondo soltanto questo: divinizzare lo Stato e dargli tutti i poteri, con il pretesto dell’amore per i poveri … Certamente non è il suo caso, signora …
SIGNORA DE NICOLA (un po’ confusa). Va bene generale …
In quel momento, attraverso gli altoparlanti, si fa udire una voce ed è annunciato in partenza il rapido per Firenze. Si pregano i signori viaggiatori di presentarsi al treno. Tutti si dirigono verso il binario e poco dopo il rapido è in viaggio.
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Nello scompartimento, la discussione continua. Questa volta, però, con la partecipazione di un giovane rappresentante di commercio di nome Bernardi, dall’ampia fronte, dallo sguardo vivace, e dalla parola pronta. Seduto vicino alla signora De Nicola e al generale, ha sentito la signora dire:
Qual è la vera miseria
SIGNORA DE NICOLA. Anche così, generale, dica quello che vuole, lo spettacolo dei bambini miserabili che non ereditano nulla, getta nel mio spirito un’ombra sull’azione benefica della proprietà per la vita della famiglia.
GENERALE MAZZONI. Prima di tutto, mi permetta di fare una distinzione. È molto desiderabile che le condizioni economiche della società siano tali che il maggior numero possibile di padri lasci qualche eredità ai propri figli. Tuttavia, non si può per questo definire «miserabile» ogni bambino che non eredita nulla. Siccome riceve dai suoi genitori una formazione religiosa, morale e fisica che gli permette di affrontare la lotta per la vita, tale bambino non può essere definito «miserabile». È miserabile il bambino che manca di principi religiosi e morali, che ha una salute carente per il lavoro. Bisogna convenire che niente commuove di più dello stato di miseria di questo bambino. Ma deve riconoscere che in Italia, il bambino miserabile costituisce una eccezione.
A questo punto, il rappresentante chiede il permesso di intervenire.
BERNARDI. Signori, i miei genitori erano modesti operai. Persone temperanti e timorate di Dio, che mi lasciarono come beni la salute e le convinzioni religiose. Con questo, ricevetti una eredità che i figli dei ricchi non sempre ricevono. Ho potuto studiare un poco e mi sono dedicato a una professione che è dura, ma attraente e redditizia. Certamente, una professione che loro giudicavano invidiabile. La mia famiglia, con tutta la sua limitatezza economica, non mi ha lasciato una eredità, ma la capacità di diventare proprietario e di lasciare una eredità ai miei figli.
L’illusione della suddivisione delle grandi proprietà
SIGNORA DE NICOLA. Ma se si frazionassero le grandi proprietà e le grandi imprese, non crescerebbe il numero dei proprietari?
BERNARDI. Mi perdoni, ma la sua domanda mi fa, in certo qual modo, lo stesso effetto di uno che chiedesse: «Se si tagliassero a pezzi gli animali grandi, non crescerebbero gli animali piccoli?» La taglia di un animale è in funzione della sua natura, e non è possibile né desiderabile aumentarla o diminuirla oltre le proporzioni richieste dal suo stesso essere. La fine degli elefanti non farebbe più grandi né più felici le formiche.
Così, le proporzioni di un’impresa, sono la risultante combinata della sua natura, del ramo in cui opera, delle condizioni del lavoro che svolge, e della capacità di coloro che la dirigono. A cosa serve, per il bene comune, ridurre un’impresa che è a carico di un proprietario e di una équipe privata di persone capaci? A cosa serve aumentare una impresa piccola, il cui ramo non permette uno sviluppo maggiore ? A cosa serve porre una media impresa nelle mani di una persona capace di dirigere soltanto una piccola impresa?
Partecipazione alla proprietà, agli utili e alla gestione di un’impresa
GENERALE MAZZONI. Sono d’accordo con Lei, ma mi permetta un’argomentazione incidentale a favore della signora. Non si tratta tanto di dividere le imprese ma di trasferirne la proprietà, la gestione e gli utili, almeno in grande parte, ai lavoratori.
BERNARDI. Non sono un teorico, ma cerco di risolvere le cose dal punto di vista pratico. Se tale trasferimento fosse utile al bene comune, varrebbe la pena di chiedersi se sia giusto. Ma, anzitutto, mi sembra assolutamente controindicato dal punto di vista pratico. So che forse molti dei miei colleghi non sono d’accordo su questo. Ma ho dalla mia parte un’autorità assai poco sospetta, quella di Mao Tse-tung. Ho appena letto in una rivista, che egli cercò di mantenere il maggior numero possibile di ex-proprietari alla direzione delle imprese confiscate dallo Stato. Questo significa che il regime della libera iniziativa ha distillato fra la popolazione cinese tutta una classe di autentici dirigenti, che nessun funzionario di carriera, nessun capo comunista, nessun lavoratore manuale è riuscito a uguagliare.
Il trasferimento della proprietà delle imprese a politici sindacalisti, funzionari pubblici, o capi degli operai, avrebbe significato, sembra, un abbassamento notevole della produzione. Questo è nella natura delle cose, poichè le cariche direttive presuppongono valore, iniziativa, e perfino amore del rischio. Generalmente, sono gli audaci che le conquistano, oppure, di necessità, esse insegnano una certa audacia a quanti le occupano.
SIGNORA DE NICOLA. Generale, questo giovane proviene da una categoria modesta. Tuttavia, pensa e parla come una persona che abbia ricevuto una istruzione accurata. In una società con classi sociali stratificate, non potrebbe essere niente più di un operaio. Lei ha davanti a sé la prova vivente dell’ingiustizia del regime delle classi.
Armoniosa mobilità tra le classi
GENERALE MAZZONI. Le classi sociali non sono quello che Lei immagina, signora. Non sono circoli ristretti o chiusi, in cui non si può entrare e da cui non si può uscire. È tutto il contrario; sono qualcosa di vivo, perché nascono dalla natura stessa e come tutto ciò che ha vita, tendono a crescere incessantemente. Guardi questo giovane. Viene da una famiglia umile, che tuttavia gli ha dato i mezzi per ascendere nella scala sociale. E grazie al suo sforzo e al suo sacrificio personali, domani potrà lasciare in eredità ai suoi figli una situazione ancora migliore della sua di oggi. E se i suoi figli avranno cura di questo patrimonio spirituale e materiale, continueranno a progredire e a elevarsi maggiormente. Al contrario, se questo giovane avesse sciupato tutto quanto i suoi genitori gli hanno dato, sia dal punto di vista religioso e morale, che da quello fisico, oggi non occuperebbe nella società il posto che ha: sarebbe decaduto, o si sarebbe arrestato. Orbene, signora, l’elevazione della condizione sociale di una famiglia, non è cosa che si faccia da un giorno all’altro. Ogni progresso costa sacrifici, è graduale, ma si rende sensibile col passare del tempo e delle successive generazioni, e in una società organica questa elevazione ordinata degli individui e delle famiglie viene favorita.
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La discussione ferve, ma il rapido sta già rallentando e non tarda a entrare in stazione. Quando la signora De Nicola può abbracciare i suoi nipoti una gioia particolare le invade l’anima. Si sente riconciliata con se stessa. La sua ragione dà piena giustificazione a tutto quanto, spinta dall’affetto, fa per i suoi cari. Ringrazia il generale Mazzoni con una stretta di mano particolarmente amichevole, ed entrambi si separano da Bernardi, il rappresentante, che continua il suo viaggio in automobile, e gli augurano di fondare una famiglia felice e di accumulare un buon patrimonio, che possa essere il punto di partenza di una grande tradizione familiare, per il suo bene personale e per il bene comune.