Giovanni Cantoni, Cristianità n. 31 (1977)
Sulla strada del “compromesso storico”
IL “COMPROMESSO CULTURALE”
IV
IL “COMPROMESSO CULTURALE” NEL “COMPROMESSO STORICO”
Il comunismo, per riuscire a trionfare in paesi di antica civiltà e tradizione cattolica, ha bisogno dell’inerzia dei cattolici. Per avere questa, ha bisogno: 1) del loro svigorimento dottrinale, o “deideologizzazione”; 2) del tradimento di chi li rappresenta; 3) dell’ “unità dei cattolici” nel farsi rappresentare politicamente da chi li tradisce.
Lo svigorimento dottrinale a cui i cattolici vengono invitati è la premessa per il «compromesso culturale», come sintesi tra verità cattolica ed errore comunista e condizione ideale per il tradimento democristiano che si compie nel «compromesso storico». La proposta comunista, e quella parallela dei progressisti, è che le gerarchie della Chiesa promuovano tra i cattolici un sempre più grave svigorimento dottrinale e veglino insieme ai comunisti sulla «unità politica dei cattolici» sotto la DC, così che il tradimento di quest’ultima possa riuscire efficace.
L’on. Enrico Berlinguer, segretario generale del PCI, ha scritto una lunga lettera a mons. Bettazzi per presentare ai cattolici italiani – Gerarchia e fedeli – l’ipotesi, data già come reale, di un partito comunista abbondantemente, se non completamente, deideologizzato, e che perciò fa riferimento al marxismo-leninismo come a lezione e non come a dogma, così rispondendo a quesiti impliciti o espliciti, in proposito formulati, di tempo in tempo e sempre più frequentemente, da esponenti del mondo ecclesiastico. Le categorie di cui si serve nel documento sono reperite, sia pure con qualche necessario aggiornamento, traendole dal vecchio arsenale cattolico-comunista di Franco Rodano, doctor in utroque, che nel caso significa «in comunismo e in cattolicesimo».
Scopo immediato della manovra, sembra, con ogni evidenza, il tentativo di giustificare il trattamento comunista riservato agli istituti assistenziali ed educativi privati, cattolici e no. Ma, qual è il suo scopo recondito? Quale il suo senso riposto? Per tentare di decifrarlo, si impone l’inquadramento della mossa comunista all’interno della strategia detta di «compromesso storico».
Il «compromesso storico» – la pratica di cui l’eurocomunismo è la teoria – è la manovra di lunga durata attraverso cui il comunismo punta al potere e al completo sovvertimento della società in paesi di antica e radicata civiltà, con particolare riguardo a quelli che hanno avuto il privilegio di fruire della civiltà cristiana, e che ne risentono ancora, nei modi più svariati, il benefico influsso, testimoniato, se non altro, da una stratificazione e da una articolazione sociale straordinariamente ricche, e che perciò riescono difficilmente «dialettizzabili» da parte degli agenti della Rivoluzione.
In questi paesi il comunismo offre e chiede collaborazione stabile ai rappresentanti politici del mondo «socialista» e di quello cattolico, perché la transizione al socialismo sia il più possibile indolore, e la resistenza cattolica si spenga lentamente, tra illusioni e delusioni, confinandosi in un limbo prima artificiale, poi fatale.
L’operazione – che interessa anche il mondo «socialista», sia pure in termini di semplice analogia – necessita della collaborazione del personale politico cattolico. Infatti, una delle condizioni del suo successo – forse la principale – sta nella perfetta, o tendenzialmente perfetta, «egemonia» del partito «cattolico» sulla base, sul mondo cattolico. Perché questa «egemonia» – capacità di rappresentazione e capacità di guida – sia perfetta, o possa legittimamente tendere alla perfezione, è necessario che questa base cattolica, questo popolo cattolico, si senta adeguatamente rappresentato dal partito che a esso si rivolge, oppure che – pur non amando questo partito e non sentendolo corrispondente né alle sue idee né alle sue reali necessità – non abbia alternative autentiche, e sia quindi costretto ad accettarlo come un male minore, né possa concepire la possibilità di costruire questa alternativa, perché in qualche modo coartato e perfino ricattato.
Se, nel corso della operazione di «compromesso storico», qualche gesto compiuto dal governo – che, con la copertura di uno «stato di necessità» più o meno artificiale, procede, a colpi di decreto, alla metodica e sostanziale «riforma di struttura» della società – scontenta in modo diretto il mondo, la base cattolica, si opera un pericoloso «scollamento» tra questa base e il partito che su di essa insiste, così che il processo, da indolore, corre il rischio di diventare molta doloroso e di produrre, nei fatti, scontri frontali e contrapposizioni tematicamente evitate e da evitare, perché aumentano la distanza fra la base e il partito «cattolico» anche dal punto di vista ideologico, e rallentano o compromettono il processo di transizione. Senza dimenticare o trascurare il rischio, sempre latente e sempre visé, che questa reazione popolare divenga in qualche modo consapevole e produca o incontri una dirigenza estranea al mondo degli «addetti ai lavori».
Quando si dia questo pericoloso «scollamento» fra la base cattolica e il personale politico che tenta di egemonizzarla – a ciò deputato in quanto, tra le forze sovversive, è a tale base il più omogeneo -, necessitano, da parte degli agenti più consapevoli della Rivoluzione, interventi tempestivi e rilevanti che, e ricostituiscano immediatamente l’intesa compromessa, e pongano le premesse per un suo rafforzamento, per metterla al riparo da ulteriori fratture.
Ora, nell’opera di sovvertimento delle strutture giuridiche e sociali – opera apparentemente disorganica, ma sostanzialmente metodica – svolta dal governo Andreotti-Berlinguer, conformemente alla sua natura di primo governo comunista d’Italia, ha trovato la sua naturale collocazione un decreto che ha colpito, forse, tutto quanto rimane, del mondo cattolico e nel mondo cattolico organizzato, di non strettamente ecclesiastico, e cioè gli istituti di assistenza e di educazione, preventivamente fatti oggetto di una adeguata aggressione scandalistica.
Una reazione, per quanto tacitata e depistata, si è manifestata. È difficile dire se è stata tutta la reazione possibile. Comunque, il lamento della base, del popolo cattolico, ha raggiunto anche esponenti dell’episcopato che, sia pure a titolo diverso e per diverse ragioni, lo hanno fatto proprio; e l’episcopato stesso ha ritenuto di manifestarsi anche collegialmente (1).
La reazione della base cattolica ha cominciato a produrre lo «scollamento» dal vertice partitico e, prima che gli smottamenti giungessero eventualmente ad assumere consistenza di frana, i comunisti sono autorevolmente e massicciamente intervenuti. E, nella sostanza, non si è trattato di un intervento affannoso e isolato, ma della messa in opera di una terapia intenzionalmente globale, intesa a scongiurare, o almeno a rimandare sine die, il temuto «scollamento» tra base cattolica e partito democristiano.
Così, raccogliendo un bandolo lanciato quindici mesi fa dal vescovo di Ivrea, mons. Luigi Bettazzi, l’on. Berlinguer ha scritto il suo lungo testo sui rapporti tra cattolici e comunisti. Secondo quanto si ricava dalla lettura del documento, dal suo contesto e da altri segni non trascurabili rilevati nel mondo cattolico, la lettera mira, a breve termine, a liberare la Democrazia Cristiana dalla pressione della sua base e a spostare l’aggressività di questa base verso il Partito Comunista stesso, diminuendo così la tensione tra il popolo cattolico e il partito democristiano. Così facendo, sempre a breve termine, si rinnova, tra l’altro, la necessaria impressione che sopravviva ancora nella nazione un autentico dibattito politico tra i partiti, o almeno tra rappresentanti di posizioni ideali, e si copre il patto rato e in via di consumazione tra i detentori più o meno ufficiali del potere, i veri e gli unici «padroni del vapore», a danno della società degli «uomini qualunque».
Nello stesso tempo, e in una prospettiva di medio termine, si incita l’episcopato a lanciare, come un riflesso condizionato, l’appello alla «unità dei cattolici», che ristabilisce, giuridicamente e coattivamente, il «primato» democristiano sul mondo cattolico.
Segue, quindi, – prima in intentione, ultima in executione – la meta perseguita a lungo termine, che si inserisce a buon titolo nella prospettiva strategica della Rivoluzione. Tale meta consiste in un sempre maggiore rafforzamento sostanziale del rapporto di dirigenza tra il partito democristiano e la base cattolica, in una relazione «egemonica» sempre più perfetta. Siccome le capacità traenti della Democrazia Cristiana sono scarsissime – anche se non mancano dichiarazioni e gesti presuntuosi in proposito -, il Partito Comunista si interessa alla sorte del suo partner e si rivolge a quello che giudica, nel suo linguaggio e quindi secondo le sue categorie, l’«intellettuale organico» del mondo cattolico, cioè il clero, e nei suoi confronti avanza la proposta di un «compromesso» di genere diverso da quello strettamente politico diretto alla Democrazia Cristiana, di un «compromesso culturale».
Il «compromesso culturale» – un «dialogo» di vertice con il clero, «intellettuale organico» del mondo cattolico (2) – consiste nel presentare una immagine del PCI sbozzata, in prospettiva, secondo le ricordate categorie del pensiero cattolico-comunista di Franco Rodano; un comunismo legato al materialismo storico, ma che al materialismo dialettico rimanda soltanto, e che, «laico e democratico, come tale non teista, non ateista e non antiteista» (3), intende presentarsi al suo interlocutore cattolico come la incarnazione dell’uomo naturale retto e privo di «dogmi filosofici», anche se non privo di idee e di ideali, ma certo non fanaticamente coerente a valori, che pure confessa di apprezzare per ragioni storiche e pratiche, di efficacia: insomma, appassionato, ma non integralista.
L’effetto che tale immagine è destinata a produrre – almeno nella intenzione dei suoi promotori – deve assolutamente superare il semplice ed eventuale miglioramento di giudizio dei cattolici sul conto del comunismo italiano e della dottrina comunista in generale. Né può esaurirsi nella «confusione» della opinione cattolica. Si tratta di conseguenze collaterali, anche se certamente presenti e non trascurate. Il risultato principale, però, deve consistere nella produzione, in campo cattolico, di un trattamento, nei confronti del proprio patrimonio culturale e ideale, analogo a quello cui sarebbe stato sottoposto il «patrimonio decisivo» marxista-leninista da parte del Partito Comunista Italiano. Tale risultato può e deve prodursi – sempre secondo la presumibile intenzione dei comunisti – e per paura, se si ha riguardo alla forza dell’avversario; e per furbizia, se si mira alla sopravvivenza anche breve; e infine, soprattutto, per imitazione, come effetto mimetico della storica, necessaria convivenza con un avversario che si giudica alla stregua di una «forza della natura» o di un «segno dei tempi».
Così, al marxismo come lezione, non come «credo ideologico», deve corrispondere un cattolicesimo che fa, sì, riferimento al Vangelo e al suo «insegnamento», ma che non ne deve organizzare i dettami in una dottrina, e tanto meno in una dottrina sociale.
Solo questo «compromesso culturale» può produrre la «deideologizzazione» della base cattolica, la scomparsa di ogni «rigidismo ideologico», e quindi il suo conseguente passaggio da resto, da residuo di società cattolica a semplice aggregazione «di ispirazione cristiana». Solo il «compromesso culturale» – introducendo il sospetto ela avversione per la coerenza «tra il dire e il fare», non soltanto in privato, ma anche in società, e bollando tale coerenza come integralismo – può fare passare la base cattolica dal cattolicesimo alla «ispirazione cristiana», può trasformare la base cattolica in una base ormai democristiana, fortemente «egemonizzata» dal partito «di ispirazione cristiana», e dunque disposta a seguirlo oltre la «non sfiducia», oltre l’«emergenza», oltre lo stesso «compromesso storico», nella transizione al socialismo.
Ma il passaggio dalla condizione di «cattolico» a quella di «cristianamente ispirato» – che il personale politico cattolico ha compiuto nel corso di una lunga storia e che è giunto alla sua realizzazione nella setta democristiana (4) -, nel caso del popolo cattolico necessita della malleveria, della mediazione e della guida del clero e – considerata la natura della Chiesa e la sua struttura gerarchica – soprattutto dell’alto clero. L’«egemonia» democristiana è assolutamente insufficiente allo scopo, e già fatica a non essere qualificata, puramente e semplicemente, come «tirannia» politica, protetta dal ricatto clericale della «unità dei cattolici», che invece è un bene in sé soltanto se fatta attorno alla verità dei principi cattolici. Né, di fatto, tale «unità» è stabilmente plausibile attorno ad altre formazioni politiche, presso le quali, dopo avere resistito alle ingiunzioni clericali, non si trovi il conforto della verità, ma solo una limitata e contingente convenienza politica. Disgrazie e trappole non minori sono costituite da prospettive di «rifondazioni» o di «rinnovamenti», che aspirano a una «attenuazione della confessionalità» della Democrazia Cristiana! (5).
Se la manovra comunista, nella sua materialità e nel suo significato riposto, è descritta in modo conveniente e sufficientemente esauriente nei termini illustrati, se ne ricava, per contrasto, quale dovrebbe essere la risposta puntuale del clero e quale sia, comunque, la risposta cattolica alla proposta comunista di «compromesso culturale».
Si chiede al popolo cattolico di esserlo meno integralmente, rinunciando, tra l’altro, alla espressione sociale della propria carità, e alla protezione e alla costruzione di ambiti in cui si formino cattolicamente le nuove generazioni.
Non si chiede al popolo cattolico di entrare nel Partito Comunista o di votarlo sic et simpliciter: si tratterebbe di un tipo di azione propagandistica che produce spesso effetti contrari a quelli desiderati, e si sconsiglia come l’aggressione (6). Chi vuole entrare nel PCI vi entra, chi lo vuole sostenere con il voto lo vota, ma si tratta ormai, per i comunisti, di acquisizioni di scarso rilievo elettorale e di peso politico non determinante, dal momento che la parte del popolo cattolico che era direttamente comunistizzabile ha già subìto il trattamento; e il «compromesso storico» si è reso necessario proprio per neutralizzare la resistenza, anche solo passiva, della parte restante. E non si chiede neppure ai cattolici, che a tutt’oggi hanno resistito alla sirena comunista, di diventare, sempre sic et simpliciter, comunisti, ma di essere meno compiutamente cattolici, così come i comunisti si dichiarano non dogmaticamente marxisti. Infatti, solo questa diminutio nella professione del cattolicesimo – diminutio che qualcuno, nelle stesse file cattoliche, si cura di presentare come la perfezione della fede e della religione – può far sì che i cattolici diventino comunisti, a causa della perdita della propria identità e della collaborazione con l’avversario.
Note:
(1) Cfr. Il comunicato del consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, in Avvenire, 14-9-1977. Di più appropriato vigore, in relazione alla legge 382, sono state talune dichiarazioni di singoli presuli. Singolarmente «aperte» a una sostanziale e generale «resa a discrezione» – pur nell’addobbo consueto di «battaglia» – sono invece le dichiarazioni fatte da padre Sorge nel corso del già citato incontro di Fossano: «I cattolici non possono rinunciare a battersi affinché, nella trasformazione istituzionale in atto, che come cristiani vedono con favore, sia sempre salva la libertà e tutto avvenga in un rispetto sicuro della legalità a vantaggio del reale bene comune. L’assenteismo e l’ostruzionismo sarebbero un atto di irresponsabilità. Data l’evoluzione socio-culturale del paese, sarà necessario che le chiese locali non si arrocchino su posizioni difensive anacronistiche verso istituzioni che sono già morte; ma, avendo come criterio fondamentale la promozione alle necessità reali di tutti, scelgano dinamicamente nuovi campi di presenza, di assistenza, di formazione, soprattutto nell’ambito familiare come in quello sociale del quartiere, del vicinato, dei gruppi-famiglia per i minori, il recupero dei drogati. Così, l’esercizio di un diritto-dovere della chiesa, sacrosanto e inalienabile, non diviene concorrenza allo Stato, ma facilita il dialogo e la testimonianza cristiana» (comunicato ANSA, 21-10-1977).
(2) Per una descrizione della categoria e della meccanica del «dialogo», cfr. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo, trad. it., Edizione de l’Alfiere, Napoli 1970.
(3) ENRICO BERLINGUER, doc. cit.
(4) Cfr. il mio La questione democristiana, in Cristianità, anno 3, n. 10, marzo-aprile 1975.
(5) Tali aspirazioni enuncia l’on. Massimo De Carolis. Cfr. Il Giornale nuovo, 10-6-1977.
(6) Di questa tattica ci dà conferma e favorevole apprezzamento padre Sorge, segnalando, da parte dell’on. Ingrao, un lodevole «richiamo all’unità dei credenti». Cfr. Famiglia cristiana, cit., p. 25.