Vagamente iettatorio, lo sport praticato da non pochi media nostrani, dopo attentati terroristici di matrice islamica fuori dai confini nazionali, è chiedersi perché finora un evento di portata devastante non è accaduto pure in Italia: quasi sia frutto del caso o – versione complottista – costituisca l’esito di accordi sottobanco del governo, qualcosa di simile ai patti non dichiarati con le organizzazioni palestinesi negli anni 1970. Ipotizzare accordi con l’Isis rivela ignoranza completa delle caratteristiche del terrorismo di oggi, per la impossibilità di identificare chi sia in grado di trattare e di garantire l’attuazione di quanto concordato, e perché minacce contro Roma e contro l’Italia, per quello che hanno e che rappresentano, sono una costante della propaganda genericamente qualificabile Isis. Ma la spiegazione non è nemmeno il caso; l’Italia ha dalla sua una esperienza consolidata di prevenzione e contrasto del terrorismo, ha in materia le leggi più adeguate al mondo, ha strumenti di raccordo nel sistema sicurezza che obbligano al lavoro di squadra, ha istituti che permettono di intervenire pur in assenza di provvedimenti giudiziari, ha forze di polizia competenti e preparate, non ha necessità dell’interprete nelle comunicazioni fra proprie articolazioni, come è fra Barcellona e Madrid o fra le due parti del Belgio. La domanda giusta è un’altra: perché, visti i risultati, l’Ue non rende omogenei fra tutti gli Stati membri l’esperienza positiva italiana? E perché L’Italia non esige con forza che ciò avvenga?