Roberto De Mattei, Cristianità n. 43
3. A un secolo dalla morte del servo di Dio Pio IX
IL PAPA DEL VATICANO I E DELLA INFALLIBILITÀ
Mentre la setta liberale si accingeva a espropriare la Città eterna alla Cristianità, la Chiesa cattolica convocava il Concilio Vaticano I per difendere l’integrità della fede dagli errori moderni. La lotta scatenata dai cattolici liberali contro il dogma della infallibilità pontificia dimostra la lenta incubazione dell’eresia modernista all’interno della Chiesa. La necessità di porvi rimedio restaurando i fondamenti della fede con l’aiuto della retta ragione. I caratteri e le condizioni della infallibilità pontificia così come sono definiti nella stessa costituzione apostolica che la proclamò durante il Concilio Vaticano I.
Tre secoli erano trascorsi dal Concilio di Trento, quando Pio IX, il 6 dicembre 1864, due giorni prima della promulgazione della Quanta cura e del Sillabo, confidò a un gruppo di cardinali il suo progetto di convocare un nuovo concilio ecumenico, come rimedio più efficace ai gravissimi mali del tempo (1).
La stessa intenzione fu manifestata dal Pontefice nel concistoro segreto del 26 giugno 1867 agli oltre 500 vescovi giunti a Roma per celebrare il centenario del martirio degli apostoli Pietro e Paolo. Infine, il 29 giugno 1868, in occasione della stessa ricorrenza, il Papa, con la promulgazione della bolla Aeterni Patris, annunciò ufficialmente al mondo la indizione di un nuovo grande «Sacro concilio ecumenico e generale», che avrebbe dovuto aprirsi l’8 dicembre 1869, quindicesimo anniversario della Immacolata Concezione e tenersi nella basilica del Vaticano.
La bolla di convocazione del concilio chiariva che suo fine era quello di «porre rimedio ai mali del secolo presente nella Chiesa e nella società». Il concilio avrebbe dunque esaminato con la maggior cura e determinato «quel che conviene fare in tempi così calamitosi, per la maggior gloria di Dio, per l’integrità della fede, per lo splendore del culto, per la salvezza eterna degli uomini, per la disciplina e la solida istruzione del clero regolare e secolare, per l’osservazione delle leggi ecclesiastiche, per la riforma dei costumi, per l’educazione cristiana della giovinezza, per la pace generale, la concordia universale».
L’invito venne indirizzato a tutti i patriarchi, arcivescovi, vescovi, abati generali degli ordini monastici, abati nullius e ai superiori degli ordini religiosi. Due lettere apostoliche, dell’8 e del 13 settembre 1868, invitavano inoltre i prelati scismatici d’Oriente, i protestanti e gli anglicani a tornare alla unità romana, allo scopo di partecipare al concilio (2). A differenza di Trento, l’invito non fu invece esteso ai capi degli Stati cattolici, a causa della situazione di separazione della Chiesa dallo Stato in pressoché tutto il mondo.
CATTOLICI LIBERALI E MASSONERIA IN ALLARME
Nella bolla Aeterni Patris non si faceva menzione del problema della infallibilità pontificia, che già appassionava l’opinione pubblica; fu, tuttavia, attorno a questo tema che si polarizzarono subito le prime polemiche.
Quando, il 6 febbraio 1869, un articolo della Civiltà Cattolica, stampato con l’approvazione del Pontefice, avanzò infatti la possibilità che il concilio ratificasse solennemente la dottrina enunciata nel Sillabo (3) e arrivasse a definire la infallibilità del Papa «per acclamazione», i cattolici liberali decisero di uscire allo scoperto. Il primo a scendere in campo contro la Civiltà Cattolica fu mons. Dupanloup (4), vescovo di Orléans, con due articoli pubblicati il 18 e il 19 marzo dal giornale Français. L’11 novembre appariva sotto il suo nome un opuscolo intitolato Observations sur la controverse soulevée relativement à la definition de l’infallibilité au futur concile, in cui, pure non negando la verità della infallibilità, ne sosteneva la «inopportunità», lanciando così il tema attorno al quale si sarebbe raccolta la minoranza antinfallibilista. Malgrado la abilità diplomatica del vescovo di Orléans, che aveva compreso come una posizione antinfallibilista attestata sul piano dottrinale avrebbe condotto all’isolamento, era evidente l’influenza e il collegamento del Dupanloup con chi negava al Papa la prerogativa della infallibilità sul piano dei principi: in Francia mons. Maret (5), decano della facoltà di teologia di Parigi, che nel volume Du Concile général riproponeva le tesi già condannate del conciliarismo e del gallicanesimo; in Germania Ignaz von Döllinger (6), rettore della università di Monaco, che nel marzo 1869 pubblicava sull’Allgemeine Zeitung, sotto lo pseudonimo di Janus, una serie di articoli, poi raccolti in volume con il titolo Der Papst und der Konzil, in cui respingeva il dogma della infallibilità, giungendo a definire il papato «un tumore che rende deforme la Chiesa».
La Massoneria internazionale, a sua volta, su proposta del deputato Giuseppe Ricciardi, aveva deciso di rispondere all’iniziativa del Pontefice con la celebrazione di un anticoncilio massonico da aprirsi a Napoli lo stesso giorno. «I morti stessi vi parteciperanno», scriveva lo storico giacobino Jules Michelet, chiedendo che alla presidenza dell’anticoncilio venissero chiamate le ombre di Huss, di Lutero, di Galilei (7). «L’infallibilità papale è una eresia. La religione cattolica romana è una menzogna, il suo regno è un delitto» (8), scriveva il Gran Maestro dell’Oriente Torinese Timoteo Riboli; e Garibaldi, da Caprera, così si rivolgeva a Ricciardi: «Rovesciare il mostro papale, edificare sulle sue rovine la ragione e il vero […] Conclusione: eliminare il prete-bugiardo e sacrilego insegnatore di Dio – ed ostacolo primo all’unità morale delle nazioni, con la formula: Io sono della religione di Dio. Accenno e non insegno, e lascio alla sagacia dell’Anticoncilio il decidere» (9).
LA SOLENNE APERTURA DEL CONCILIO
In questo clima arroventato dalle polemiche, l’8 dicembre 1869, nel corso di una cerimonia durata quasi sette ore, alla presenza di circa 700 Padri e di oltre ventimila pellegrini, venuti da ogni parte del mondo, il Papa apriva solennemente in San Pietro il ventesimo concilio ecumenico della Cristianità (10).
La preparazione del concilio era stata meticolosa. Fin dal 1865 Pio IX aveva costituito un’apposita commissione cardinalizia e, su consiglio di questa, varie sottocommissioni o deputazioni, scegliendo come consultori i teologi più autorevoli nelle diverse discipline. La procedura fu fissata dallo stesso Pontefice nella costituzione Moltiplices inter.
Le assemblee generali dei Padri furono distinte in congregazioni generali, aventi per oggetto la discussione e il voto provvisorio degli schemi, e in sessioni pubbliche, aventi per oggetto il voto definitivo dei decreti.
Le sessioni pubbliche erano presiedute dal Papa in persona; la presidenza delle Congregazioni generali venne invece riservata da Pio IX a cinque cardinali da lui scelti: i cardinali de Luca, Bizzarri, Bilio, Capalti e von Reisach; quest’ultimo, morto all’inizio del concilio, fu sostituito dal cardinale De Angelis.
Le cinque deputazioni preparavano gli schemi da distribuire ai Padri prima della discussione nelle congregazioni generali. Quando uno schema, dopo le eventuali modifiche scaturite dal dibattito, era approvato nella congregazione generale, veniva portato alla sessione pubblica, e, dopo un nuovo voto dei Padri, promulgato dal Pontefice. Il concilio tenne 86 congregazioni generali e quattro sessioni pubbliche: la prima, l’8 dicembre 1868, in occasione dell’apertura; la seconda, il 6 gennaio 1870, dedicata alla professione di fede prescritta da Pio IV, che i padri vennero a fare ai piedi del Papa; la terza, il 24 aprile, in cui si promulgò la costituzione dogmatica Dei Filius; la quarta, il 18 luglio, in cui fu definita l’infallibilità pontificia.
Dal 28 dicembre 1869 al 10 gennaio 1870, le riunioni plenarie furono dedicate alla discussione del primo schema proposto dalla commissione dogmatica preparatoria. Si trattava dello schema della costituzione intitolata De doctrina catholica contra multiplices errores ex rationalismo derivatos, compilato dai padri Franzelin e Schrader. Un nuovo testo, redatto principalmente da padre Kleutgen, fu discusso dall’1 all’11 marzo e presentato nuovamente all’assemblea generale. La discussione sul nuovo schema, iniziata il 18 marzo, occupò quindici sedute, fino alla votazione del 12 aprile, per appello nominale. Il risultato fu di 515 placet e 83 placet juxta modum. Finalmente, nella terza sessione pubblica, il 24 aprile, l’unanimità dei presenti si pronunziò per il placet e la costituzione dogmatica fu solennemente promulgata. È la celebre costituzione De fide catholica, detta Dei Filius dalle parole iniziali (11).
La costituzione si apre con un ampio e importante prologo in cui si identifica e si colpisce come errore capitale il razionalismo, o naturalismo, nato dalle eresie proscritte dal Concilio di Trento, «che mettendosi su tutti i punti in opposizione con la religione cristiana, a causa del carattere soprannaturale di questa istituzione, si sforza in tutti i modi a bandire Gesù Cristo, nostro unico Signore e Salvatore, dal pensiero degli uomini, dalla vita e dal costume dei popoli, per stabilire il regno di quel che viene chiamata la pura ragione o la natura».
Il primo capitolo della costituzione dogmatica, dedicato a Dio creatore di ogni cosa, afferma che «la Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana crede e confessa un solo Dio vero e vivo, Creatore e Signore del Cielo e della terra, onnipotente, eterno, immenso, incomprensibile, infinito in intelligenza, volontà e ogni perfezione, che essendo una sostanza spirituale unica per natura, assolutamente semplice e immutabile, deve essere dichiarato distinto dal mondo per realtà ed essenza, beatissimo in sé stesso e per sé stesso e ineffabilmente superiore a ogni cosa che è e può concepirsi al di fuori di lui» (12).
Il secondo capitolo, sulla Rivelazione, è di estrema importanza. In esso il concilio definisce, infatti, la possibilità per la ragione umana di arrivare alla certezza della esistenza del vero Dio: «La Santa Chiesa ritiene e insegna che con la luce naturale della ragione umana, Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza per mezzo delle cose create: perché “le perfezioni invisibili di Dio, fin dalla creazione del mondo, sono rese visibili all’intelligenza degli uomini, per mezzo degli esseri che Egli stesso ha fatti” (Rom. I, 20), e che tuttavia è piaciuto a Dio, per la sua sapienza, e la sua bontà, di rivelare Sé stesso e gli eterni decreti della sua volontà, per un’altra via, via soprannaturale» (13).
Il terzo capitolo, sulla fede, la definisce come «una virtù soprannaturale, con la quale, prevenuti e aiutati dalla Grazia di Dio, noi crediamo vere le cose rivelate da Lui, non a causa della loro verità intrinseca, percepita col lume naturale della ragione, ma a causa dell’autorità di Dio rivelante, il quale non può essere ingannato né ingannarci» (14): tratta quindi del dovere di credere, degli appoggi razionali della fede e della sua necessità per la giustificazione e la salvezza.
Il quarto capitolo è dedicato, infine, ai rapporti tra la fede e la ragione, che non solamente «non possono mai essere in contrasto tra loro, ma anzi si aiutano vicendevolmente; infatti la retta ragione dimostra i fondamenti della fede, e, dal lume di questa illustrata, coltiva la scienza delle cose divine; e la fede, da parte sua, rende libera e sicura dagli errori la ragione e l’arricchisce di molte cognizioni» (15).
Seguono quindi diciotto canoni dogmatici che scomunicano chiunque sostenga gli errori opposti alle verità definite. «Pertanto – conclude il Pontefice – eseguendo il dovere del supremo Nostro ufficio pastorale, scongiuriamo – per le viscere di Gesù Cristo, tutti i fedeli di Cristo, specialmente quelli che presiedono o hanno l’ufficio di insegnare: e inoltre domandiamo loro, con l’autorità dello stesso Dio e Salvatore nostro, che mettano il loro studio e l’opera loro per allontanare ed eliminare questi errori dalla Santa Chiesa, e per spandere la luce della più pura fede».
LA LOTTA ALL’INTERNO DEL CONCILIO
Il primo schema De Ecclesia Christi fu distribuito ai Padri il 21 gennaio 1870. Questo progetto, in 15 capitoli e 21 canoni, trattava della Chiesa, del Papa, dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato. La sua indiscreta comunicazione alla stampa sollevò, tuttavia, un nugolo di polemiche. Lo schema fu rifuso e limitato a due costituzioni, l’una relativa alla Chiesa, l’altra al Papa: solo quest’ultima fu oggetto della discussione e del voto finale (16).
Attorno allo schema De Romano Pontefice ejusque infallibili magisterio, nelle trentaquattro congregazioni generali che precedettero la votazione, si sviluppò l’aspra campagna della minoranza antinfallibilista, in cui, accanto a Dupanloup e a Maret, emersero l’arcivescovo di Parigi mons. Darboy, l’arcivescovo di Vienna Rauscher, l’arcivescovo di Praga Schwarzenberg. L’ispiratore di questo vero e proprio partito organizzato continuava a essere, tuttavia, Döllinger che, grazie alle informazioni dei suoi agenti a Roma, pubblicava sull’Allgemeine Zeitung, questa volta con lo pseudonimo di Quirinus, le sue Roemische Briefe, una distorta «cronaca» del concilio.
Sul fronte infallibilista spiccavano figure illustri come mons. Pie, vescovo di Poitiers, mons. Manning, arcivescovo di Westminster, mons. Martin, vescovo di Paderborn, mons. Plantier, vescovo di Nimes, mons. Senestrey, vescovo di Ratisbona, fiancheggiati dai migliori teologi dei tempo, come i padri gesuiti Giovan Battista Franzelin, teologo papale, Matteo Liberatore, teologo dell’arcivescovo di Westminster, Joseph Kleutgen, teologo del vescovo di Paderborn, Henri Ramière, teologo del vescovo di Beauvais.
Dopo un lungo dibattito, in cui lo schema originario subì numerose modifiche e miglioramenti (furono presentati e discussi a uno a uno centosettantasette emendamenti), si arrivò alla votazione finale. Nella congregazione generale del 13 luglio, 451 prelati si pronunciarono per il placet, 88 per il non placet, 62 per il placet iuxta modum. Due giorni dopo, una delegazione di vescovi dell’opposizione si recò dal Pontefice per supplicarlo di esprimere nella costituzione che il Pontefice è infallibile per la testimonianza delle Chiese, «nixus testimonio Ecclesiarum». Pio IX volle invece ritoccare in senso opposto lo schema, facendo aggiungere alla formula «ideoque eiusmodi Romani Pontificis definitionis esse ex se irreformabiles» l’inciso «non autem ex consensu Ecclesiae», a chiarire definitivamente, contro le pretese gallicane, che l’assenso della Chiesa non costituiva assolutamente condizione per l’infallibilità.
Il 18 luglio, nel corso di una solenne sessione pubblica, alla presenza di una immensa moltitudine che affollava la basilica, i Padri conciliari furono chiamati a esprimere il voto definitivo. Il testo finale della costituzione apostolica Pastor aeternus fu approvato con 535 voti favorevoli e 2 contrari. Cinquantacinque membri della opposizione, alla vigilia del voto, avevano annunciato la loro astensione in una lettera al Papa. Immediatamente dopo il voto Pio IX promulgò solennemente, come regola di fede, la costituzione apostolica Pastor aeternus.
Una tempesta scuoteva in quelle ore Roma. Nel momento in cui Pio IX intonò il Te Deum, il sole, squarciando improvvisamente le nubi, illuminò la basilica, lasciando cadere un suo raggio sul volto commosso del Papa. Il giorno successivo, 19 luglio, la Prussia dichiarava guerra alla Francia. Si metteva in moto il processo di avvenimenti che si sarebbe concluso con la interruzione del concilio e con il 20 settembre.
LA SCONFITTA DEI CATTOLICI LIBERALI E LA COSTITUZIONE PASTOR AETERNUS
La costituzione apostolica Pastor Aeternus intende proporre «la dottrina da credersi e tenersi da tutti i fedeli, secondo l’antica e costante fede della Chiesa universale, sopra l’istituzione, la perpetuità e la natura del sacro Primato apostolico, in cui sta la forza e la solidità di tutta la Chiesa; e di proscrivere e condannare gli errori contrari, tanto dannosi per il gregge del Signore» (17). Preceduta da una breve introduzione, consta di quattro capitoli, con quattro canoni che esprimono la definizione vera e propria.
Il primo capitolo è dedicato alla istituzione del primato apostolico nel beato Pietro. Il canone relativo stabilisce che «chiunque affermerà che il beato Pietro Apostolo non fu costituito da Cristo Signore Principe di tutti gli Apostoli, e Capo visibile di tutta la Chiesa militante, oppure ch’egli ricevette dal medesimo Signore nostro Gesù Cristo direttamente e immediatamente un Primato solamente di onore, ma non una vera e propria giurisdizione: sia scomunicato».
Il secondo capitolo è dedicato alla perpetuità dei primato del beato Pietro nei Romani Pontefici. «Pertanto – stabilisce il canone – chi afferma che non è per istituzione di Cristo Signore in persona, ossia che non è per diritto divino, che il beato Pietro ha perpetui successori nel Primato su tutta la Chiesa; oppure che il Romano Pontefice non è il successore del beato Pietro nel medesimo Primato: sia scomunicato».
Il terzo capitolo tratta della forza e natura del primato del Romano Pontefice. «Pertanto, chi affermerà che il Romano Pontefice ha soltanto incarico di ispezione o di direzione, ma non piena e suprema potestà di giurisdizione su tutta la Chiesa, non soltanto nelle cose che riguardano la fede e i costumi, ma anche nelle cose che riguardano la disciplina e il governo dalla Chiesa sparsa per tutto il mondo; oppure chi affermerà che il Romano Pontefice ha soltanto le parti più importanti, ma non tutta la pienezza di questa suprema potestà: oppure chi dirà che questa sua potestà non è ordinaria e immediata, sia su tutte e singole le Chiese, sia su tutti e singoli i pastori e fedeli: sia scomunicato».
Il quarto capitolo, infine, è quello dedicato al Magistero infallibile del Romano Pontefice e si conclude con la solenne definizione: «Quanto Noi aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta nei primi tempi della fede cristiana, a gloria di Dio nostro Salvatore, ad esaltazione della religione cattolica ed a salute dei popoli cristiani, approvante il Sacro Concilio, insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato: che il Romano Pontefice, quando parla ex Cathedra, cioè quando adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i Cristiani, in virtù della sua suprema Autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la fede ed i costumi, da tenersi da tutta la Chiesa: in virtù della divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, è dotato di quella infallibilità, della quale il divino Redentore volle che fosse fornita la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede o ai costumi; e che perciò tali definizioni del Romano Pontefice, per sé stesse, e non già mediante il consenso della Chiesa, sono irreformabili».
«Se poi alcuno oserà, che Dio non lo permetta!, di contraddire a questa Nostra definizione – conclude il canone – sia anatema!».
LE CONDIZIONI DELLA INFALLIBILITA’ PONTIFICIA
La costituzione Pastor Aeternus stabilisce chiaramente quali sono le condizioni della infallibilità pontificia. Il Papa deve, in primo luogo, parlare come Dottore e Pastore universale; deve usare della pienezza della sua autorità apostolica; deve manifestare l’intenzione di «definire»; deve trattare, infine, di fede o di costumi, res fidei vel morum.
Queste condizioni, oggi conosciute da tutti i cattolici (18), furono ampiamente illustrate da mons. Vincenzo Gasser, relatore ufficiale della commissione della deputazione della fede, nel suo intervento dell’11 luglio, che può essere considerato l’interpretazione autentica della definizione (19).
Mons. Gasser si soffermò, tra l’altro, particolarmente sul soggetto della infallibilità: la persona, cioè, del Romano Pontefice. In che senso occorre dire, infatti, che la infallibilità è personale? Nel senso – spiegò mons. Gasser – che essa è prerogativa di tutti e singoli i Romani Pontefici, nessuno escluso (20); la infallibilità, precisò tuttavia il relatore, non compete al Pontefice in quanto persona privata, ma solo ed esclusivamente nella sua qualità di persona pubblica (21), in forza, cioè, del suo «ufficio di pastore e dottore di tutti i cristiani», che lo mette in relazione con la Chiesa universale.
Mons. Gasser distingue, a questo proposito, la dottrina della Chiesa da «l’opinione estrema di Alberto Pighi» (22) secondo cui «il Papa come persona particolare o come dottore privato potrebbe errare per ignoranza, ma non potrebbe mai cadere nell’eresia o insegnare l’errore». L’assistenza è, in realtà, accordata alla persona mentre esercita la funzione. «In altre parole il Papa è infallibile solo in quanto Papa, e più specialmente nell’adempimento del suo ufficio di maestro universale, cioè quando parla ex-cathedra» (23).
La proclamazione, da parte di Pio IX, del privilegio della infallibilità – nelle condizioni definite dal concilio – costituì il culmine del suo Pontificato e la solenne conferma di fronte al mondo della indefettibilità della cattedra di Pietro, contro tutti i tentativi della Rivoluzione di assalire e distorcere il deposito rivelato.
Si compiva così un voto, ardentemente auspicato da tanti valorosi difensori della causa cattolica, da san Roberto Bellarmino a Joseph de Maistre. «Quando nel 1820 De Maistre pubblicò il suo libro Du Pape – disse padre d’Alzon commentando l’avvenimento – questo ebbe una tiratura di 200 esemplari di cui molti restarono a lungo presso l’editore. Nel 1830, eravamo più numerosi, ma dopo tutto solo un pugno. Ora l’infallibilità è un dogma» (24).
«Oh santa Chiesa di Roma! – aveva scritto colui che il cardinale Pie definì “il veggente di Israele” – finché avrò lingua me ne varrò per celebrarti. Ti saluto, madre immortale del sapere e della santità. Salve magna parens! […] Saranno ben presto i tuoi Pontefici universalmente proclamati agenti supremi dell’incivilimento, creatori delle monarchie e della unità europea, conservatori delle scienze e delle arti, fondatori, proteggitori della civile libertà, distruggitori della schiavitù, nemici dal dispotismo, sostegni instancabili della sovranità, benefattori dei genere umano. Se talvolta hanno essi dato prova di esser uomini: si quid illis humanitus acciderit, ciò non fu che per brevi momenti: un vascello che solca le onde lascia minimi vestigii del suo tragitto, e niun trono del mondo arrecò giammai più gran saggezza, più sapere e più virtù. In mezzo a tutti i rovesci immaginabili, Dio ha costantemente invigilato sopra di te, o Città Eterna! Tutto ciò che poteva annientarti si è riunito a tuoi danni, e tu stai; e come fosti già il centro dell’errore, tu sei da diciotto secoli in poi il centro della verità» (25).
ROBERTO DE MATTEI
NOTE
(1) La migliore storia del Concilio Vaticano I resta quella di THEODOR GRANDERATH, Histoire du Concile du Vatican depuis sa première annonce jusq’à sa prorogation d’après des documents authentiques, Librairie Albert Dewit, Bruxelles 1913, 5 voll. Per le fonti cfr. GIOVANNI DOMENICO MANSI, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, H. Welter, Arnhem e Lipsia 1923-1927, voll. 49-53, (continuati da LUDOVICO PETIT) e Acta et decreta Sacrosanti Oecumenici Concilii Vaticani, in Collectio Lacensis vol. VII, Herder, Friburgo in Brisgovia 1892.
(2) Nel breve Per ephemerides accepimus, all’arcivescovo di Westminster, che aveva chiesto al Pontefice se i dissidenti avrebbero potuto presentare i loro argomenti al concilio, il Papa chiariva ulteriormente che «Noi non abbiamo voluto invitare i non-cattolici ad una discussione, ma solo li abbiamo esortati “ad approfittare dell’opportunità offerta da questo Concilio, in cui la Chiesa cattolica, alla quale i loro antenati appartenevano, dà una nuova prova della sua intima unità e della sua invincibile vitalità, ed a provvedere così ai bisogni delle loro anime, abbandonando una situazione nella quale non possono essere sicuri della loro salvezza”. Quando, per opera della divina grazia, essi venissero a conoscere il pericolo in cui sono, e cercassero Dio con tutto il loro cuore, non sarebbe loro difficile liberarsi da tutte le opinioni preconcette ed avverse; lasciando da parte ogni desiderio di disputa, ritornerebbero al Padre, da cui per mala sorte si sono allontanati da tanto tempo» (PIO IX, Breve Per ephemerides accepimus, a mons. Enrico Edoardo Manning, arcivescovo di Westminster, del 4-9-1869, in La Chiesa, insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1967, vol. I, p. 260). In un successivo breve allo stesso Manning il Papa concesse ai dissidenti di esporre le loro difficoltà a una commissione di teologi cattolici, ma al di fuori del concilio.
(3) Ci aiuta a penetrare le reali intenzioni del Pontefice l’importante diario di padre GIOVANNI GIUSEPPE FRANCO S. J., Appunti storici sopra il Concilio Vaticano, a cura di Giacomo Martina S. J., Università Gregoriana Editrice, Roma 1972. In data 12 gennaio 1870 Franco riferisce di un incontro del Papa con padre Piccirillo, direttore della Civiltà Cattolica: «Disse anche [Pio IX] essere sua intenzione che il Sillabo passasse nel Concilio e tutto intero; e che quando fosse passato questo e il decreto sulla infallibilità, la Civiltà Cattolica avrebbe riportato un pieno trionfo. A che, dicendo il P. Piccirillo, il trionfo essere del papa e di Santa Chiesa – Eh via, neanche a voi, soggiunge, non dispiacerà» (p. 161).
(4) «Un vescovo francese, Mgr. Pie, mi disse che la lettera famosa del Dupanloup [si riferisce alle Observations, cit., n.d.a.] era stata lavorata sopra un quinterno di note avute da un dottore tedesco, le quali parvero meravigliose al Dupanloup, perché uomo di pochi studi ecclesiastici. Questo spiegherebbe come varii opuscoli tutti colle stessissime idee, e talvolta colle stesse parole sieno comparsi in Inghilterra, Francia, Spugna, Italia. Le note passarono alle mani di varii uomini del partito che le lavorarono a modo loro, ma ritennero la sostanza. Ciò fece conoscere che vi era partito e cospirazione. Nocque moltissimo alla reputazione del Dupanloup il concerto di laudi, onde l’onorarono i giornali ostili alla chiesa, e gli empii dichiarati. Fu chiamato De-pavone-lupus» (GIOVANNI GIUSEPPE FRANCO S. J., op. cit., p. 79).
(5) Padre Franco nel suo diario, in data 30 dicembre 1869, riferisce questo giudizio di Pio IX, a proposito di una udienza chiesta da Maret: «Parlò di Mgr. Maret, e disse di non averlo voluto ricevere perché era un’anima fredda, ma una vipera, e che lo giudicava scismatico: se lo riceveva cortesemente, se ne sarebbe fatto un aroma per nuocere: se lo riceveva con avvertirlo del suo mal fare, si sarebbe ostinato nella sua malizia» (G. G. FRANCO S. J., op. cit., p. 137).
(6) «Il suo nome resterà nella storia legato al Concilio Vaticano, come quelli di Ario, di Nestorio, di Eutiche, restano legati rispettivamente ai Concilii di Nicea, di Efeso, di Calcedonia» (EMILIO CAMPANA, Il Concilio Vaticano. Il clima del Concilio, Grassi, Lugano-Bellinzona 1926, vol. I, p. 159). Campana riscontra punti di contatto tra Döllinger e Tertulliano: «Vivido ed ardente in entrambi l’ingegno, vasta l’erudizione, immensa la venerazione per il passato, congiunta ad una sfrenata indipendenza di giudizio nei riguardi del presente, indomabile l’ardire, casta la vita, ma sconfinato l’orgoglio, ed implacabile il puntiglio per la ferita suscettibilità dell’amor proprio. Anche il recente dotto tedesco, come l’antico apologista africano, del cattolicesimo fu traditore freddo e impassibile, accanito e irremovibile, dopo di esserne stato uno dei soldati più coraggiosi ed attivi, dei più illuminati e dei più temuti dell’avversario» (ibid., p. 161).
(7) Cfr. ALDO ALESSANDRO MOLA, Storia della Massoneria italiana dall’Unità alla Repubblica, Bompiani, Milano 1976, n. 114.
(8) Cit. in ROSARIO F. ESPOSITO, La Massoneria e l’Italia dal 1800 ai nostri giorni, Edizioni Paoline, Roma 1969, p. 133.
(9) Ibid., p. 134. L’Anticoncilio massonico, apertosi il 9 dicembre al teatro San Ferdinando, si concluse con una mozione, varata il 16 dicembre su proposta di Ricciardi, in cui si chiedeva: 1) libertà religiosa e dei modi per renderla piena e sicura; 2) separazione assoluta tra Chiesa e Stato: 3) necessità di una morale indipendente dalle credenze religiose: 4) ordinamento di una associazione internazionale che promuovesse il benessere economico e morale del popolo. A un secolo di distanza tali obiettivi sembrano essere stati tutt’altro che disattesi; non si comprende, dunque, come Esposito voglia minimizzare come «buffa adunata» e «chitarronata» (cfr. op. cit., nn. 134-135) la sinistra iniziativa.
(10) «In data 14 dicembre 1869, vale a dire otto giorni dopo la seduta di apertura, si contavano residenti o venuti a Roma e riuniti nell’Aula conciliare: 51 cardinali, 9 patriarchi, 653 primati, arcivescovi, vescovi e abati nullius, 21 abati mitrati, 28 generali di ordini, ossia 762 Padri conciliari. […] La ripartizione dei Padri per nazioni era la seguente: 224 italiani, 81 francesi, 40 spagnoli, 43 austro-ungheresi, 16 tedeschi, 27 inglesi, 19 irlandesi, 40 americani degli Stati Uniti, 9 canadesi, 30 americani dell’America del Sud, 19 europei di piccoli Stati, 42 orientali, 112 vescovi in partibus, ecc. […]. (J. BRUGERETTE e E. AMANN, voce Vatican (Conc. du), in Dictionnaire de Théologie catholique, col. 2549).
(11) Sulla costituzione Dei Filius è fondamentale lo studio di JEAN-MICHEL-ALFRED VACANT, Etudes théologiques sur les constitutions du Concile du Vatican d’après les actes du Concile, Delhomme et Briguet, Parigi-Lione 1895, 2 voll. «La Costituzione Dei Filius è come una eco delle dichiarazioni che la Santa Sede opponeva da cinquant’anni alle aberrazioni dello spirito moderno. È un secondo Sillabo» (VACANT, op. cit., I, pag. 39).
(12) DENZ. 1782.
(13) DENZ. 1785. Il giuramento antimodernista prescritto da Papa Pio X col Motu proprio Sacrorum antistitum, del 1° settembre 1910 (DENZ. 2145), ha spiegato e precisato questa definizione affermando «Ammetto fermamente e ritengo (firmiter amplector et recipio) tutte le verità che sono state definite, confermate e dichiarate dal magistero infallibile della Chiesa, e in particolare i punti della dottrina che si oppongono direttamente agli errori del nostro tempo. E anzitutto professo (profiteor) che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto in modo certo e anche dimostrato con la luce naturale della ragione per mezzo degli esseri ch’egli ha fatti, cioè per mezzo delle opere visibili della creazione, come la causa è conosciuta e si dimostra dai suoi effetti».
(14) DENZ. 1789. «In particolare per i rapporti fra ragione e fede il Concilio ha solennemente dichiarato: 1. L’esistenza di un duplice ordine di conoscenza, l’uno facente capo alla ragione naturale, l’altro alla divina Rivelazione (DENZ-U, 1795 e 1816). 2. La ragione naturale può giovare alla fede mostrando il nesso che hanno fra loro i misteri della fede e le analogie con le verità create, pur rimanendo inaccessibili nella loro intima natura (DENZ-U, 1976). 3. È impossibile quindi un’opposizione reale fra fede e ragione, avendo ambedue per comune principio Dio stesso (ibid., 1797-98 e 1817). 4. Anzi fede e ragione si possono insieme aiutare, la ragione preparando l’adesione della fede e la fede preservando la ragione dall’errore. 5. Il senso genuino dei dogmi della fede è custodito dal magistero della Chiesa e non abbandonato alle mutevoli vicende della ragione e della scienza (ibid., 1808)» (CORNELIO FABRO, voce Fede, in Enciclopedia Cattolica, vol. V, coll. 1100-1101).
(15) DENZ. 1799.
(16) Per l’andamento del dibattito, si rimanda al GRANDERATH, cit. sulla elaborazione dottrinale della costituzione Pastor Aeternus interessanti contributi in AA. VV., De doctrina Concilii Vaticani primi, Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano 1969.
(17) Testo italiano in La Chiesa, insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, cit., p. 281.
(18) Su questo punto, esemplare per chiarezza, ARNALDO VIDIGAL XAVIER DA SILVEIRA, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari, in Cristianità, anno III, n. 9, gennaio-febbraio 1975, pp. 3-7.
(19) Per la relazione di Mons. Passu cfr. Collectio Lacensis, cit., coll. 388-422. Cfr. anche T. GRANDERATH, op. cit., pp. 90-118. Il Granderath la definisce «un des rapports le plus remarquables qu’in ait intendus au Concile» (p. 91).
(20) «L’infallibilità è nel Papa prerogativa personale, non perché come persona privata egli sia garantito da errore o da eresia, questione libera, ma nel senso che è infallibile ciascuno dei successori di Pietro, senza eccezione, e non la sola serie, o la Sede Romana, considerata come ente morale, secondo le pretese di certi gallicani» (FEDERICO DELL’ADDOLORATA, voce Infallibilità, in Enciclopedia Cattolica, vol. VI, col. 1923).
(21) «Hinc non loquimur de infallibilitate personali, quamvis personae romani pontificis eam vindicemus, sed non quatenus est persona singularis, sed quatenus est persona Romani Pontificis, seu persona publica» (MANSI, col. 1213 A). «Ma in che senso l’infallibilità è inerente alla persona del Papa? Diciamo subito che essa non ha niente a che fare con l’immunità da errore in quanto persona privata, in forza della quale egli sarebbe impeccabile di diritto (impeccabilità) o di fatto (santità). E sebbene ripugni al pio sentire dei fedeli, non è un’esigenza della fede escludere che in questa condizione egli possa cadere anche in eresia, perché ciò non sarebbe altro che ritenere il Papa impeccabile in questo genere di colpe» (UMBERTO BETTI O. F. M., Dottrina della Costituzione Dommatica “Pastor Aeternus”, in De doctrina Concilii Vaticani primi, cit., p. 346). «Si deve anche tener presente – aggiunge in nota Betti – che l’infallibilità si riferisce soltanto al magistero che fa del Papa il vertice della Chiesa docente. Essa quindi lo preserva dal proporre una dottrina eretica perché in questo caso il suo errore macchierebbe tutta la Chiesa. Ma di per sé non è data per preservarlo anche dalla negazione di un domma già definito, perché in ciò il Papa appartiene alla Chiesa discente come ogni altro fedele, e tutti in questo caso disporrebbero dei criteri sicuri per giudicare del suo errore». «L’infallibilità – nota ancora, a sua volta, padre Federico dell’Addolorata – non è dunque l’onniscienza, l’impeccabilità, la taumaturgia abituale del Papa, né l’unzione ipostatica di tutti i vescovi con lo Spirito Santo come non raramente viene presentata dai protestanti» (ibidem).
(22) Alberto Pighi, teologo olandese del secolo XVI, nella sua opera Hierarchiae ecclesiasticae assertio, sembra essere stato il primo difensore della opinione secondo cui Dio non permetterebbe mai che un Papa cada nell’eresia. Durante il concilio si discusse del caso di Papa Onorio, condannato dal terzo concilio di Costantinopoli (680-681) e successivamente da Papa san Leone II per avere favorito l’eresia monotelita: «Noi condanniamo pure Onorio il quale non ha cercato di far risplendere con la dottrina apostolica la Chiesa di Roma, ma ha lasciato col suo tradimento che questa Chiesa senza macchia fosse esposta al sovvertimento» (MANSI, II, col. 733). L’ipotesi teologica del Papa eretico è comunemente ammessa dai più vigorosi sostenitori della infallibilità, come san Roberto Bellarmino.
(23) Cfr. U. BETTI, op. cit., p. 347.
(24) R. P. SIMON VAILHE, Vie du P. Emmanuel d’Alzon, Maison de la Bonne Presse, Parigi 1934, vol. II, p. 566.
(25) JOSEPH DE MAISTRE, Del Papa, prima trad. it. di Girolamo Papotti imolese, con note di monsignor Giovanni Marchetti, presso Giuseppe Benacci, Imola, vol. II, pp. 228-229.