Promosse dal Comitato per la Libertà dei Cristiani Libanesi
PREGHIERE PER I CATTOLICI MARONITI
Sabato 11 novembre, in una basilica milanese, è stata celebrata da padre Joseph Mahfouz, procuratore generale dell’Ordine Libanese Maronita presso la Santa Sede, una santa messa in suffragio dei caduti nel corso degli ormai quattro anni di guerra rivoluzionaria in Libano, e per propiziare una giusta pace per questa martoriata comunità cattolica.
Nel corso della cerimonia, mons. Enrico Galbiati, dottore in scienze bibliche e della Biblioteca Ambrosiana, ha tenuto l’omelia, di cui di seguito pubblichiamo ampi stralci.
* * *
Ǡ Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, meditiamo sulle glorie del Libano, sulle sue sventure presenti; commemoriamo i suoi morti, le vittime innocenti della guerriglia che insanguina il suo suolo, per indirizzare le nostre preghiere verso quelle che sono le sue speranze.
«Per chi legge assiduamente la Bibbia il nome del Libano risuona familiare, come un caro ricordo, altamente evocativo. Risuonano alla nostra memoria le parole del Cantico dei Cantici: “Vieni con me dal Libano, o sposa; con me dal Libano vieni! Osserva dalle cime dell’Amana, dalle vette del Senir e dell’Ermon” (1). E al Libano la sposa paragona la bellezza dello Sposo, che allegoricamente rappresenta Dio stesso, lo Sposo di ogni anima santa. “Il suo aspetto è quello del Libano, magnifico al pari dei cedri” (2).
Al confine della Terra Santa il Libano è esso stesso Terra Santa. Anzitutto perché Gesù in persona ebbe a visitare il Libano; anzi vi cercò un rifugio, una pausa di serenità fuori dall’ambiente galilaico, diventato opprimente per l’incomprensione del popolo e le insidie degli avversari. E come Cristo, così anche i cristiani nel corso dei secoli vi trovarono un rifugio. Prima di tutti i maroniti, che dalle fertili terre attorno al monastero di san Marone nella Siria settentrionale emigrarono verso il sud, dal secolo VII al X, adattandosi alla rude vita della montagna e adattando la montagna, fin allora silvestre, alla loro vita di agricoltori. Il Libano, così come si è conformato in mille anni di storia, è una creazione dei maroniti. Appunto ai maroniti si deve se, in mezzo a un mare di moschee e di minareti, il Libano s’innalza come un’isola popolata di campanili e di croci. Attraverso vicende eroiche, sacrifici immensi, bagni di sangue, i maroniti riuscirono a formarsi una patria cristiana. Il Libano è così l’unico paese del Medio Oriente dove il cristiano si sente in casa propria. Perché – vogliamo ben ricordarlo a coloro che non vi hanno vissuto – in questo leggendario Medio Oriente, sia esso il paese delle piramidi o del petrolio, là dove l’Islàm è religione di Stato (e tale è perfino nelle modernissime repubbliche di tendenza socialista), i cristiani sono cittadini di grado inferiore, malsicuri come ospiti indesiderati, fossero pure numerosi e radicati da millenni nel paese, come i copti, discendenti dal popolo dei faraoni. Per questo il Libano dei maroniti divenne il rifugio dei cristiani: ortodossi e greci cattolici, siriani e rifugiati ameni vi si sentirono a casa propria. Per questo il Libano divenne anche un ponte provvidenziale tra il nostro mondo occidentale e la cultura araba. Questa cultura, vivacissima nel Medioevo, dormiva da secoli svigorita sotto la pesante coltre amministrativa dell’impero ottomano, e furono proprio i libanesi a far risuonare i primi squilli del risveglio, la nahda, che portò alla fioritura della nuova letteratura araba e al sorgere della coscienza nazionale.
«Questa la gloria del Libano; ed era ben giusto che c’intrattenesse alquanto, perché possa apparire tutta la tragicità della situazione attuale e del pericolo che paurosamente sovrasta i maroniti con tutte le altre comunità cristiane. Perché finora l’unità nazionale del Libano e la libertà dei cristiani si basavano sull’equilibrio di forze confessionali […].
«Orbene questo prezioso equilibrio è stato rotto. Gruppi politici che vorrebbero trasformare il Libano in uno Stato confessionale islamico, come la Siria e l’Iraq, o addirittura distruggerlo e dissolverlo in una unità islamica più vasta, hanno colto l’occasione propizia per scatenare l’offensiva nel senso desiderato. L’occasione, come tutti sanno, è stata fornita dalla presenza sul suolo libanese di ben 600.000 profughi palestinesi, con un esercito ben equipaggiato e il sostegno politico dall’esterno. Accolti generosamente e sistemati alla periferia delle città, essi necessariamente vennero a modificare la situazione sociale e politica, ed altri ne hanno tratto profitto […] non è nostro compito in questo momento inoltrarci nel labirinto della politica e neppure descrivere le fasi di una guerriglia, degenerata in guerra civile e stabilizzatasi come una febbre ricorrente, dove con le esplosioni della furia politica agiscono terrorismi di varie provenienze; vendette private e sciacalli della delinquenza comune. Basti ricordare le migliaia di cristiani massacrati, tra cui gente inerme, vecchi, donne, bambini, collegi e monasteri devastati, monaci sgozzati nelle loro celle, chiese saccheggiate e profanate, interi villaggi maroniti, greco-cattolici e ortodossi razziati, quartieri di Beirut incendiati. È lo sterminio sistematico di una nazione fino a ieri fiorente e pacifica.
«Di fronte a tali rovine viene spontaneo l’antico lamento del profeta Geremia: “I miei occhi grondano lacrime notte e giorno senza tregua, perché da grande sventura è stata colpita la figlia del mio popolo. Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada, se percorro la città, ecco gli orrori della fame … Eppure tu sei in mezzo a noi, Signore, e noi siamo chiamati col tuo nome; non abbandonarci!” (3).
«Ed ora un pensiero alle migliaia di morti. Molti sono caduti combattendo per una causa giusta; ancora più numerose sono le vittime inermi, travolte dai bombardamenti o massacrate di proposito. Tra questi non è fuori luogo parlare di veri martiri, uccisi in odio alla loro fede cristiana, così come leggiamo nel salmo “Per te ogni giorno siamo messi a morte, stimati come pecore da macello!” (4). I martiri non hanno bisogno dei nostri suffragi. Ma migliaia di anime, passate improvvisamente e tragicamente da questa all’altra vita, sono nelle mani della misericordia di Dio, e attendono da noi l’aiuto della preghiera. Per questo le abbiamo rievocate qui, presso l’altare del sacrificio eucaristico.
«Ma le nostre preghiere s’innalzano anche per quelli che ancora sono vivi, colpiti dalla perdita delle persone care, fuggiti dalle case distrutte o dalle zone minacciate dalla guerra, senza mezzi e senza soccorsi. Giunga a loro per vie misteriose il conforto della nostra solidarietà.
Da ultimo la nostra presenza in questa chiesa vuol essere come un pellegrinaggio di pace, per la concordia delle menti più responsabili, per la pacificazione degli animi […], per la soluzione dei problemi internazionali che vi sono implicati, per una pace durevole, in una parola, per la sopravvivenza del Libano e la sua ricostruzione. Invochiamo la protezione della madre di Dio Maria, proclamata giustamente la Signora del Libano. Invochiamo l’intercessione del santo monaco maronita Sciarbel Makhluf, recentemente canonizzato. Invochiamo i martiri del Libano, antichi e recentissimi. Che il loro sangue non sia stato versato invano, e possa da tanto sangue innocente scaturire la salvezza del Libano! ».
* * *
Al termine della manifestazione, organizzata dal Comitato per la Libertà dei Cristiani Libanesi, è stato diffuso alle diverse centinaia di persone intervenute, il testo, che riportiamo, di un appello al Santo Padre.
NOTE
(1) Cant. 4, 8.
(2) Ibid. 5, 15.
(3) Ger. 14, 17-18.
(4) Sal. 43 (44), 23.