C’è effettivamente qualcosa di surreale nei continui attacchi che il Presidente Donald Trump subisce dai mezzi di comunicazione. Da oltre un anno viene trattato come se fosse un imbecille qualsiasi che ha vinto le elezioni americane, convincendo decine di milioni di elettori, dopo essersi costruito un impero economico non trascurabile, visto che gli ha permesso di arrivare alla massima carica politica del mondo. Nel primo anno di presidenza ha avuto contro tutti i poteri forti, e qualche volta anche il Partito repubblicano, che lo ha subìto senza mai amarlo.
Ascoltando in Italia come ne parlano i corrispondenti dagli Usa e i giornalisti nostrani viene spontaneo chiedersi di chi stanno parlando, se del Presidente americano o di quello della Nord Corea, così spesso accomunati negli ultimi mesi. E probabilmente la cosa è semplicemente voluta allo scopo di mettere sullo stesso piano l’ultimo gulag, come è stata felicemente chiamata in un libro la Corea del Nord, col Presidente oggetto di tanto odio.
Ma perché questo odio? Perché il risentimento dei giornalisti, degli attori, degli intellettuali, quasi mai sul merito delle iniziative presidenziali, ma sempre attraverso gli aspetti del Presidente diciamo “sopra le righe”, cioè attraverso i suoi modi eccessivi, non diplomatici, politicamente scorretti, che possono piacere o non piacere, ma non possono essere il metro di giudizio, o almeno l’unico metro di giudizio.
Il Presidente Trump è stato eletto rompendo inizialmente gli schemi tradizionali delle elezioni americane, basate sul confronto/scontro fra i partiti democratico e repubblicano. Poi ha recuperato almeno una parte del voto repubblicano, ma rimane un’anomalìa, che ha incontrato il favore di molti americani proprio per il suo essere estraneo e critico delle forze partitiche tradizionali e del loro modo di fare politica.
Il suo iter biografico e politico ricorda, inevitabilmente, quello di Silvio Berlusconi. Quando quest’ultimo vinse inaspettatamente le elezioni politiche del 1994 venne detto e scritto di tutto sul suo conto. Per un quarto di secolo è stato l’indiscusso protagonista della politica italiana, compiendo cose positive (in primis fermando più volte l’ascesa al potere degli ex comunisti) e altre negative (per esempio non costruendo nessuna classe dirigente e ultimamente rinunciando a quei princìpi legati al cattolicesimo che pure in altre stagioni aveva dimostrato di volere difendere e promuovere).
Entrambi però, raramente vengono giudicati per le loro opere, ma soprattutto per i loro modi, eccentrici, sopra le righe e spesso veramente inaccettabili. Ma è normale tutto questo?
Io non conosco Donald Trump. Conosco però alcuni suoi scritti, quelli che vengono tradotti su Cristianità. Parlano di Dio e di libertà, di famiglia e di patriottismo, addirittura dell’importanza della preghiera per la vita pubblica di un popolo. So bene che la prima osservazione che mi potrebbero fare è che non li ha scritti lui, che notoriamente si limita a twittare. Ma questo non significa nulla: li ha firmati e quindi fatti propri come avviene per quasi tutti i leader del mondo. Vorrei che si parlasse anche di queste cose quando si affronta il tema Trump. E’ pretendere troppo?
Forse è proprio questo il problema. Non si vuole riconoscere il proprio fallimento, di classi dirigenti, di intellettuali, di giornalisti tutti uguali, che dicono sempre le stesse cose senza riuscire a entrare in sintonia con tante persone normali, stanche del “politicamente corretto”.
Certo, da qui a costruire e proporre un’alternativa ce ne corre. Berlusconi non c’è riuscito e forse non ha nemmeno voluto provarci e quel poco che sta nascendo avviene soprattutto al di fuori del suo partito. Forse neppure Trump ci proverà, ma non è una buona ragione per continuare a parlare ossessivamente (salvo poi smentire e fare marcia indietro) del suo ego, dei litigi interni alla sua famiglia, del suo ciuffo singolare, come se i destini del mondo fossero dipendenti da queste amenità.