Giovanni Codevilla, Cristianità n. 384 (2017)
Giovanni Bensi (1938-2016)
Si è spento a Merano (Bolzano) il 6 marzo scorso Giovanni Bensi, autorevole slavista e conoscitore della Russia e dell’Europa dell’Est. Nato a Piacenza il 19 dicembre del 1938, si era laureato in Lingua e letteratura russa all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Compagno di scuola di Giovanni Cantoni, il fondatore di Alleanza Cattolica, ha partecipato al convegno nazionale Lituania, Lettonia, Estonia: il «volto meno umano» della «perestrojka» (Torino e Milano, 17 e 18 maggio 1990) e ad altre iniziative locali di Alleanza Cattolica.
Assetato di sapere e affascinato dallo studio delle lingue e delle culture, dotato di una memoria assolutamente straordinaria, già in età giovanissima, dopo avere acquisito a dodici anni un’ottima padronanza del greco antico, Giovanni affronta da autodidatta lo studio della lingua russa, che conoscerà ben presto alla perfezione.
Nello stesso tempo studia il mondo slavo meridionale e apprende rapidamente il serbo, che parlerà con la massima scioltezza: Milovan Gilas (1911-1995), Mihajlo Mihajlov (1934-2010) e gli altri intellettuali non organici al regime nei ripetuti incontri si sono dichiarati ammirati non solo della sua cultura classica, ma altresì della sua familiarità con il mondo slavo, anche se scherzosamente rilevavano un leggero accento russo nella sua colta parlata serba.
Giovanissimo, aderisce al Centro Studi Russia Cristiana nato a Milano alla fine degli anni Cinquanta ad opera di monsignor Enrico Galbiati (1914-2004), degli ex allievi del Pontificio Istituto Russicum — padre Pietro Modesto (1923-2009), padre Romano Scalfi (1923-2016), padre Ezio «Nilo» Cadonna († 1997) e don Armando Bisesti —, del sacerdote Adolfo Asnaghi (1917-2007) e della contessa Betty Ambiveri (1888-1962), e all’inizio degli anni Sessanta è già fra i docenti dei corsi di lingua, letteratura e cultura russa organizzati nel mese di agosto nella Villa Ambiveri di Seriate. Ricordo ancora, le sue memorabili e affascinanti lezioni sulle minoranze nazionali e linguistiche dell’Unione Sovietica (URSS).
Nell’estate del 1963 si reca per la prima volta in Unione Sovietica per seguire dei corsi di lingua organizzati dall’Associazione Italia-URSS: la sua perfetta conoscenza della lingua gli permette di accostare diverse persone e anche esponenti della cultura estranea al regime, fra i quali il poeta Aleksej Berdnikov. Questa libertà di movimento non piace alle autorità e il responsabile dell’associazione Italia-URSS e presidente della Casa dell’Amicizia, Lev Michajlovič Kapalet, personaggio che per le funzioni svolte non può non essere al servizio della principale agenzia di sicurezza sovietica, il KGB — sarà presto promosso addetto culturale presso l’ambasciata sovietica a Roma —, al fine d’imbrigliare la sua esuberante volontà di capire il mondo sovietico attraverso i contatti umani, gli affida l’incarico di svolgere la funzione di guida degli studenti italiani.
Nei giorni successivi al 20 luglio, Giovanni, dopo aver consumato il pranzo alla mensa del Metropol’ ed aver fatto ritorno all’hotel Jaroslavskij, situato in periferia, viene colto da un malessere, per cui la dežurnaja, una sorta di cameriera-sorvegliante presente in ogni piano degli alberghi sovietici, chiama un’autoambulanza che lo porta nella clinica per malattie infettive dell’ospedale Sokolinaja Gora, dove viene posto in isolamento con divieto di ricevere visite, come riferito da Giovanni in un lungo articolo sulla Nezavisimaja Gazeta del 24 giugno 2014. Dopo tre giorni di ricovero viene dimesso e accompagnato alla fermata dell’autobus da una collaboratrice degli organi di sicurezza. Svoltato l’angolo Giovanni viene fermato da un agente del KGB e accompagnato in auto alla sede della Lubjanka, il carcere del KGB. Viene trattenuto e interrogato per tre giorni e poi condotto alla prigione di Lefortovo: durante una sosta della vettura che lo accompagna, Giovanni vede due studentesse italiane alle quali urla di essere stato arrestato. Viene così informata l’ambasciata italiana e la notizia esce sui maggiori quotidiani nazionali. Giovanni viene accusato, senza alcuna prova, di avere svolto attività ostile nei confronti dello Stato, reato particolarmente grave. Si rifiuta, fra l’altro, di sottoscrivere i verbali sgrammaticati che gli vengono sottoposti. Grazie al paziente lavoro della diplomazia Giovanni viene liberato il 14 agosto; giunto in aereo a Milano via Praga, ai giornalisti si limita a dichiarare «Ufficialmente sono stato incarcerato per traffico di valuta. Non posso dire altro. Queste sono le istruzioni che ho ricevuto dall’Ambasciata italiana» (Cfr. La Stampa, del 14-8-1963).
I veri motivi dell’arresto diverranno chiari alcuni anni più tardi quando la Komsomol’skaja Pravda del 25 marzo 1971, ripresa dai quotidiani nazionali il giorno successivo, denuncia alcuni italiani, fra cui Giovanni Bensi, Lucio Dal Santo († 1998) e il sottoscritto, rei di aver «ficcato il naso» nelle cose sovietiche, come riferito da Berdnikov. Ho conosciuto bene quel poeta, al quale ho regalato una Bibbia, dono molto apprezzato, stante la impossibilità di reperirla in Russia, e un libro su Salvador Dalì (1904-1989), dalle cui opere era affascinato, e gli ho fatto avere tramite il compianto amico Lucio Dal Santo, autorevole studioso di Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821-1881), testi di filosofi russi, in particolare Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev (1874-1948), Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev (1874-1948) e Michail Afanas’evič Bulgakov (1891-1940). Evidentemente il KGB ha fatto visita al giovane intellettuale, trovando i libri proibiti e costringendolo a denunciare i «provocatori» stranieri. Ciò grazie anche all’aiuto di un collaboratore del KGB, un certo Aleksandr Tetjurkin, georgiano molto loquace che aveva il compito di prendere contatto con gli occidentali a Mosca per individuare potenziali nemici del regime.
Caduto il regime, Giovanni in un suo soggiorno a Mosca ha voluto incontrare Kapalet, il quale dopo la prematura morte della figlia si era convertito al cattolicesimo, per chiedere le ragioni del suo arresto nel 1963. La risposta fu molto semplice e sincera: «Così allora andavano le cose!».
Dopo la disavventura moscovita, Giovanni nel 1964 viene assunto come giornalista da L’Italia, il quotidiano cattolico allora diretto da monsignor Carlo Chiavazza (1914-1981), che prenderà poi la denominazione di Avvenire. Nel 1968 inizia a collaborare con il Centro Studi e Ricerche su problemi economici e sociali (CESES), creato da Renato Mieli (1912-1991), che edita due periodici, il primo dedicato alla traduzione di articoli apparsi sulla stampa comunista dell’Est europeo e della Russia e la rivista trimestrale L’Est, che pubblica studi di autori occidentali sul mondo comunista.
Nel 1972 si trasferisce con la moglie Angiola e i due figli, Elena e Nicola, a Monaco di Baviera, invitato a collaborare come redattore della sezione russa della Radio Free Europe-Radio Liberty. Ne approfitterà per acquisire una conoscenza perfetta anche del tedesco.
Dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan, dal 1979 al 1987 soggiorna ripetutamente a Peshawar, in Pakistan, per organizzare le trasmissioni in lingua russa indirizzate ai militari dell’Armata Rossa e ha occasione di recarsi più volte nel Paese dell’oppio, avendo modo di assistere anche agli interrogatori di prigionieri russi. La sua insaziabile sete di conoscenza lo spinge a frequentare nel tempo libero una scuola islamica e a seguire corsi di arabo, persiano, urdu e storia dell’Islam presso l’università musulmana Dar-ul-’Ulum di Peshawar.
Nel 1991 riprende la collaborazione con Avvenire come corrispondente per la Russia e per la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), che proseguirà fino al 2013. Nel 1995 si trasferisce a Praga, dove il presidente Václav Havel (1936-2011) aveva messo a disposizione per la cifra simbolica di una corona un edificio per continuare i programmi di Radio Free Europe seguita da milioni di cittadini dell’Est. Nel 2003 rientra in Italia e va ad abitare dapprima a Levico Terme e poi a Merano, attratto dalla vicinanza della figlia e dalla presenza di un centro culturale russo e di uno tedesco. A Levico è tra i soci fondatori del Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale, presieduto da Fernando Orlandi, solerte nell’attività di ricerca ed editoriale e nell’organizzazione di convegni e di conferenze. Collabora regolarmente fino al 2013 con la Nezavisimaja Gazeta, il giornale per cui lavorava Anna Stepanova Politkovskaja (1958-2006), e inoltre con la Obščaja Gazeta e Vremja Novostej di Mosca e con il Den’ di Kiev.
Giovanni Bensi è stato un intellettuale dalle competenze vastissime: i suoi interessi si sono indirizzati dapprima allo studio minuzioso e sistematico delle lingue e delle culture greca, russa e del mondo slavo, del quale conosceva le origini, la storia, la religione e la letteratura. Negli anni successivi si è appassionato al complesso tema della cultura religiosa e politica musulmana che ha potuto approfondire ad altissimo livello dopo aver acquisito la conoscenza delle lingue del ceppo cartvelico, dell’arabo e del farsi con i suoi dialetti dari e tagiko.
Oltre a una lunga serie di articoli apparsi sulla stampa italiana ed estera e su riviste specializzate, sono assai numerose le relazioni presentate a convegni di studio nazionali e internazionali: sono oltre cento gli interventi da lui firmati dal 2011 al 2015 su East Journal e su Osservatorio Balcani e Caucaso.
Le numerose monografie di Giovanni testimoniano il suo talento e le sue molteplici e straordinarie competenze, nonché la sua costante passione per il sapere. È stato uomo di scienza e di penna. I suoi lavori monografici dimostrano la vastità delle sue conoscenze e merita, pertanto, richiamarne i titoli: L’incognita jugoslava (Pan, Milano 1975); Mosca e l’eurocomunismo (La Casa di Matriona, Milano 1978); La pista sovietica. Terrorismo, violenza, guerra e propaganda nella teoria e nella prassi di Mosca (Sugarco, Milano 1983); L’Afghanistan in lotta (SPES, Roma 1987; cfr. recensione di Giovanni Cantoni, in Cristianità, anno XVI, n. 155, marzo 1988, pp. 15-16); Allah contro Gorbaciov: Azerbaigian, Afghanistan e Asia centrale: la spina nel fianco dell’Unione Sovietica (Reverdito, Gardolo di Trento 1988); Dove va la perestrojka: diritti umani, libertà dei popoli ed altri problemi dei nuovo corso di Gorbacjov (Comitato Italiano Helsinki, Roma 1989); Nazionalità in URSS. Le radici di un conflitto (Xenia, Milano 1991); La Cecenia e la polveriera del Caucaso; popoli, lingue, culture, religioni, guerre e petrolio fra il Mar Nero e il Mar Caspio (Nicolodi, Rovereto [Trento] 2005); Le religioni dell’Azerbaigian, con prefazione di Aldo Ferrari (Teti, Roma 2012).
A questi volumi si aggiungono altri pregevoli studi scaricabili dal sito del CSSEO (info@ba-csseo.org), diretto da Ferdinando Orlandi: I Taliban: storia e ideologia (2001); Georgia. La caduta di Ševardnadze (2004); Oltre la Cecenia. Gli altri conflitti del Caucaso (2004); Partu Patima: una donna contro Tamerlano. L’epos del popolo Lak. Un caso Ossian in Daghestan (2009); Il Daghestan: conflitti, religione e politica (2009). Giovanni ha continuato a lavorare fino a quando la malattia ha avuto il sopravvento: la sua ultima opera Il mito del Califfato, in uscita da Sandro Teti di Roma, affronta con rigore metodologico temi di estrema attualità e si rivela indispensabile per tutti coloro che vogliono avere una conoscenza non epidermica dell’argomento.
Una menzione meritano anche le sue traduzioni, fra le quali ricordo Voglio essere onesto di Vladimir Nikolaevič Vojnovič (Bietti, Milano 1964), Anni e guerre. 1899-1945 di Aleksandr Gorbatov (Bietti, Milano 1965) e La casa deserta di Lidija Korneevna Čukovskaja (Jaca Book, Milano 1977).
Coloro che, al pari di chi scrive, hanno avuto il privilegio di conoscerlo e di frequentarlo per oltre mezzo secolo ne ricorderanno sempre il sapere enciclopedico, il carattere mite, la passione per lo studio, la costante disponibilità a fornire spiegazioni e a risolvere dubbi nella ricerca storica e linguistica, il grande amore per la verità e l’esemplare umiltà.