di Marco Respinti, 21 gennaio 2018
È già storia. Quello che nessun presidente degli Stati Uniti ha mai fatto, Donald J. Trump lo ha fatto venerdì 19 gennaio. Ha preso parte alla Marcia per la Vita, la 45a che si svolge negli Stati Uniti d’America da quando, il 22 gennaio 1973, con un abuso inaudito, la Corte Suprema federale abolì tutte le nome a difesa della vita vigenti nel Paese e legalizzò l’aborto a conclusione di un caso, il famoso e famigerato Roe v. Wade, che si basava su uno stupro inventato di sana pianta. Il Cielo ha poi compiuto nel cuore della protagonista di quella storia scellerata, Norma McCorvey (1947-2017), un miracolo grande, convertendola clamorosamente prima al cristianesimo protestante poi al cattolicesimo e facendone una testimone della vita.
Venerdì Trump è sceso tra i pro-lifer, si è unito a loro, si è confuso con loro. Per evidenti motivi di sicurezza e di praticabilità, non ha camminato lungo il mall che unisce il cuore di Washington al palazzo della Corte Suprema insieme alle migliaia e migliaia di manifestanti che ogni anno, da 45 anni, sfidano gelo, neve e viaggi “di fortuna” da ogni angolo del Paese per dire “sì” alla vita, ma ha compiuto un gesto equipollente. Si è collegato in diretta dal Rose Garden della Casa Bianca, che sorge a due passi dal concentramento dei pro-lifer nel mall, e ha detto parole d’importanza enorme. Lo sarebbero state anche se Trump non avesse minimamente aperto bocca. Nessun presidente della storia statunitense si è mai spinto tanto in là. Nessun presidente, anche se Ronald Reagan (1911-2004) e George W. Bush Jr. mostravano tutto il proprio appoggio parlando con i manifestanti in diretta telefonica, ci ha messo direttamente la faccia in pubblico. Portare la faccia del presidente nel cuore della Marcia per la Vita è stato infatti come entrarci dentro, assumerla su di sé, viverla.
L’anno scorso, a pochi giorni dall’insediamento ufficiale, Trump aveva compiuto un altro gesto clamoroso. Aveva inviato fisicamente la Casa Bianca alla Marcia nella persona del vicepresidente Mike Pence. Ma stavolta ha fatto ancora di più, e c’è un motivo profondo per cui lo ha fatto. Lo ha fatto perché in questo modo il presidente del Paese più importante del mondo testimonia che la lotta per la difesa della vita umana nascente non è per nulla una questione di fede, una questione “religiosa”, una questione confessionale. Combattere positivamente l’aborto, dice il gesto pubblico di Trump, è una misura di civiltà universale e ubiqua. È un gesto politico, un gesto che non solo la politica può ma anzitutto e soprattutto deve compiere. Gli uomini si danno un governo per aiutarsi a vivere meglio alcune norme minime ma invalicabili che garantiscano la loro convivenza. La prima di queste regole è il rispetto del diritto alla vita, perché senza di esso non ha più nemmeno senso parlare di convivenza e in fin dei conti nemmeno di uomo. La politica ha il compito di difendere la vita e questo Trump ha detto al mondo. Così facendo, il presidente degli Stati Uniti ha difeso l’assoluta laicità della cosa pubblica americana. Nessuna ingerenza, nessuna confusione di ruoli. Non è infatti una cosa “da preti” difendere la vita, ma compito eminente della politica. Uno Stato laico è uno Stato sufficientemente maturo e responsabile da poter essere libero nelle proprie scelte. Per questo talvolta nella storia l’autorità religiosa è dovuta intervenire anche in ambito politico con funzione di pro memoria: perché lo Stato non era sufficientemente maturo e responsabile per essere libero cioè laico. Invece lo Stato che scende tra il pubblico difendendo la prima regola base e inalienabile della politica è uno Stato che è in grado di camminare con le proprie gambe. Laico, appunto.
Trump ha ricordato al mondo intero questa semplice, basica verità.
Il suo nobile sporcarsi le mani con la difesa della vita umana nascente è venuto a soli tre giorni da un proclama fondamentale, quello con cui lo stesso Trump ha istituito la Giornata per la libertà religiosa. Siamo al principio e fondamento della civiltà. La libertà religiosa è il primo dei diritti politici della persona perché si basa sulla conditio sine qua non del diritto alla vita, perché è la prima verità inalienabile che costituisce l’essere umano creato a immagine e somiglianza di Dio. È una questione così elementare, così fondamentale e così laica da esser iscritta nel preambolo (ovvero quanto fonda tutto il resto in termini d’istituzioni) della Dichiarazione d’indipendenza del 1776 da cui sono nati gli Stati Uniti.
«La Marcia per la Vita è un movimento nato dall’amore», ha detto Trump venerdì dalla Casa Bianca ai manifestanti; «voi amate i vostri vicini, amate il vostro Paese e amate ogni bambino nato e non nato perché credete che ogni vita sia sacra, che ogni bambino sia un dono prezioso di Dio». Dio. Trump ha tirato in ballo Dio nella Casa Bianca, cuore del Paese più importante del mondo. Perché Dio è una questione assolutamente laica. Una questione di buon senso. Non “si crede” in Dio, ma a Lui s’inginocchia la ragione dell’uomo. Anche un lestofante lo riconosce. Dio è dunque anche una questione squisitamente politica. Chi non vede Dio la Scrittura lo chiama “stolto”. Non è un’offesa: è la denuncia della ragione adoperata male, in cortocircuito. Spesso sono gli stolti a governare il mondo, ma il risultato si vede. Dio invece deve tornare il centro anche della politica perché solo così la convivenza tra gli uomini può essere tanto matura e responsabile da essere libera e laica. Trump questo vuol fare degli Stati Uniti. Quanto coscientemente sul piano filosofico? Non interessa. L’importante è che lo faccia e che continui, come ha fatto nell’ultimo anno e mezzo della sua e della nostra vita, a mettersi a disposizione di quel qualcosa di più grande che nemmeno lui sa ben cosa sia e che fa girare la testa all’uomo come Dante Alighieri che di fronte alla visione della maestà divina perde i sensi.
«A causa vostra, decine di migliaia di americani sono nati e hanno raggiunto il potenziale voluto da Dio per loro, a causa vostra». È compito politico degli uomini maturi e responsabili cioè laici quello di propiziare il mondo che Dio ha voluto sin dal principio per l’uomo e che ancora vuole nonostante l’uomo faccia di tutto per mettere i bastoni tra le ruote. Trump lo dice all’americana. Ovviamente. Né potrebbe né dovrebbe fare altro. Le sue parole ai manifestanti per la vita ricordano quelle che, in altra occasione, pronunciò l’allora governatore della California e poi presidente gli Stati Uniti Reagan: «Il sogno americano è che ogni uomo debba essere libero di diventare ciò che Dio intende egli debba diventare». Ogni popolo, ogni Paese, ogni uomo ha il compito storico di tradurre queste parole americane nella propria lingua per il proprio Paese.
«La mia Amministrazione», ha ribadito Trump, «difenderà il diritto che nella Dichiarazione d’indipendenza è elencato per primo, ovvero il “diritto alla vita”». Gli Stati Uniti sono pro-life sin dal principio, è nel loro DNA. Questo ne fa non il luogo migliore del mondo, ma un luogo dove la verità non è calpestata anche quando uomini e governi ci marciano sopra con gli scarponi chiodati pensando che per vincere per sempre basti schiacciare, reprimere e lordare un po’ di volte.
Alla vigilia del suo primo anno da presidente degli Stati Uniti, certamente Trump si è guardato indietro concludendo che mai e poi mai si sarebbe immaginato di giungere a questo punto. Nessuno ci avrebbe scommesso un soldo. Eppure questi sono fatti, e nessuna illazione li potrà mai cancellare dagli annali della storia dell’uomo. Ad multos annos. Per la prima volta quest’anno è stata concessa l’indulgenza plenaria a tutti i partecipanti cattolici della Marcia per la Vita di Washington che lo abbiano fatto in spirito di penitenza e di carità, indulgenza estesa anche a chi, per impedimenti oggettivi, non abbia potuto parteciparvi fisicamente. C’è da giurarsi che in Cielo sorridano.