di Giuliano Rovere
Molto suggestivi sono i riti della Pasqua, che i bizantini considerano la festa delle feste. Per tutta la notte risuona il saluto: «Cristo è risorto!» a cui si risponde: «È veramente risorto», un distico ripetuto più volte, a ritmo incalzante, con la certezza gioiosa di un annuncio di vittoria che dal giorno in cui avvenne fisicamente e storicamente ha cambiato e continua a cambiare la vita di ogni uomo.
Un’ora prima della mezzanotte, nella chiesa semibuia, illuminato dalla fioca luce di qualche cero, un lettore declama gli Atti degli apostoli” mentre i fedeli, in silenzio, in mano un cero spento, prendono posto per ascoltare le origini di quella stessa Chiesa, che attraverso due millenni di storia, è giunta a noi. Appena prima della mezzanotte inizia l’ufficio liturgico. Durante il canone, il celebrante incensa la plashchanitsa, un telo con ricamata l’effigie del corpo del Salvatore deposto dalla Croce, corrispondente alla Sindone, che viene trasportata nel presbiterio e deposta sull’altare. Giunge così la mezzanotte e ai primi rintocchi delle campane inizia la processione: in testa la Croce, l’icona della Risurrezione, l’icona della Madre di Dio, i portatori dei ceri, il diacono con l’evangelario e i sacerdoti che reggono la Croce e il trichirion, il candelabro a tre ceri che simboleggia la Santissima Trinità. Seguono il coro e i fedeli. La processione gira attorno alla chiesa, mentre i fedeli accendono i propri ceri dalla fiamma di quello dei celebranti. Cantando «Cristo è risorto dai morti, con la sua morte ha calpestato la morte, donando la vita a coloro che erano nel sepolcro», il corteo sacro giunge alle porte della chiesa, che ancora sono chiuse. Il celebrante le incensa, dicendo: «Cristo è risorto». Dunque apre le porte e inizia l’ufficio del mattutino.
Quando la liturgia volge al termine, cominciando dal più giovane, i celebranti si scambiano il triplice abbraccio pasquale ancora una volta con il saluto «Cristo è risorto». Poi i fedeli abbracciano i sacerdoti. Alla fine un sacerdote legge il sermone pasquale di san Giovanni Crisostomo (344/354-407) in cui il grande vescovo di Costantinopoli, dottore della Chiesa indivisa, commenta alla luce della sapienza pasquale la difficile parabola degli operai dell’XI ora (cfr. Mt 20,1-16): «Chi è pio e amico di Dio goda di questa bella e luminosa solennità. Chi è servo fedele entri gioioso nel gaudio del suo Signore. Chi ha lavorato dalla I ora riceva ora il giusto salario. Se qualcuno è venuto dopo la III ora, faccia festa con riconoscenza. E colui che è giunto alla VI ora non dubiti: nulla sarà trattenuto del suo salario. Si appressi senza esitare l’operaio che ha tardato fino alla IX ora. Se qualcuno è arrivato soltanto alla XI ora non tema per la sua negligenza: il Signore infatti è generoso, riceve l’ultimo come il primo; fa riposare l’operaio della XI ora come quello della I ora; dell’ultimo si prende compassione, del primo si prende cura; a questo dà e a quello regala; riceve le opere e accoglie l’intenzione; onora l’azione e loda il proposito. Così dunque entrate tutti nel gaudio del vostro Signore; sia i primi come gli ultimi ricevete la ricompensa! Ricchi e poveri tripudiate insieme. Astinenti e pigri onorate questo giorno. Chi ha digiunato e chi non ha digiunato rallegratevi oggi. Partecipate con delizia al banchetto della fede; gustate tutti la ricchezza della misericordia. Nessuno lamenti la povertà, perché è apparso il nostro comune regno; nessuno si rattristi per le cadute, perché il perdono è scaturito dal sepolcro; nessuno abbia paura della morte, perché la morte del Salvatore ci ha liberato; Egli l’ha estinta dopo essere stato afferrato da essa. […] Cristo è risorto e demoni sono caduti. Cristo è risorto e gli angeli si rallegrano; Cristo è risorto e vige la vita; Cristo è risorto e non c’è più un morto nella tomba, perché Cristo, risorto dai morti è diventato primizia dei defunti. A Lui gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen».
Segue dunque la divina liturgia di Pasqua.
31 marzo 2018, sabato Santo