Da Il Tempo del 04/04/2018. Foto da unioneconsulenti.it
Per Alfredo Mantovano – magistrato, vicepresidente del Centro studi Livatino ed esponente autorevole del mondo pro-life – la decisione del governo di costituirsi in giudizio davanti alla Consulta in difesa della legge contro l’aiuto al fine vita «è un segnale politico importante».
Per quale motivo?
«Intanto risponde a una prassi che vede quasi sempre il governo difendere la costituzionalità della norma impugnata davanti alla Consulta anche a prescindere dal merito. Per un governo che è in carica per il disbrigo degli affari correnti e più conforme alla prassi costituirsi mentre sarebbe stata una grave deroga non costituirsi: un’assunzione di responsabilità molto forte».
Al di fuori del tecnicismo che cosa si intende tutelare?
«La questione è molto circoscritta: non stiamo parlando né di Disposizioni anticipate di
trattamento né di interventi di sostegno vitale che a un certo punto vengono eliminati. Qui stiamo parlando di suicidio vero e proprio e di aiuto al suicidio. Far venire meno un principio di questo tipo è qualcosa che sconvolge l’intero ordinamento. Per cui ha fatto bene il governo a fare questo passo, al di là del rispetto della prassi, anche nel merito e adesso speriamo che la Corte Costituzionale si muova di conseguenza. E incoraggiante come diverse associazioni, tra le quali il Centro Studi Livatino, hanno fatto quest’atto di intervento ponendo degli argomenti a sostegno della permanenza della norma».
Darsi la morte non è un diritto né si può essere aiutati su questo. E ciò che è stato sancito?
«Questo lo sancirà, speriamo, la Corte Costituzionale. Oggi si sono portati degli argomenti in questa direzione. Qui non stiamo parlando di questioni che sono
state o sono controverse. Qui stiamo parlando di una questione molto più specifica: se noi arriviamo al punto in cui vorrebbe arrvare la Corte d’Assise di Milano cioè al riconoscimento del diritto al suicidio – significa che se uno ha un diritto vuol dire che qualcun altro ha il dovere di farglielo realizzare. Se uno rivendica il diritto a darsi la morte e non ce la fa da solo, bisognerà capire chi ha il dovere di permettergli di ottenere questo diritto: questo è solo il primo problema che si pone».
Con l’introduzione della legge sul fine vita non rischia di essere inutile questa presa di posizione?
«Certamente la legge sul fine vita è una norma che indebolisce, per come è stata realizzata, la salvaguardia della vita. E una legge che dà elementi di disponibilità della vita stessa ma non con quest’effetto così grave e dirompente come l’eliminazione dell’articolo del codice penale impugnato. Diciamo che la linea di tendenza è la stessa ma questo va oltre. L’auspicio, allora, è che la Corte Costituzionale non faccia un ragionamento del tipo “se è stato disciplinato in quel modo il fine vita allora si può fare
anche questo”: perché il passaggio è molto più impegnativo»
Alfredo Mantovano