di Michele Brambilla
Un tempo, nella festa della SS. Trinità, il sacerdote ometteva l’omelia perché l’intimità dei rapporti tra le Persone divine non è descrivibile con parole umane, se non tramite quelle, accuratamente cesellate, dei dogmi cristologici promulgati nei concili ecumenici di Nicea (325), Costantinopoli (381), Efeso (431) e Calcedonia (441). Lo dice anche Papa Francesco alla recita dell’Angelus del 27 maggio: «Oggi, domenica dopo Pentecoste, celebriamo la festa della Santissima Trinità. Una festa per contemplare e lodare il mistero del Dio di Gesù Cristo, che è Uno nella comunione di tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo», mistero che supera di gran lunga le possibilità della ragione filosofica.
Ciò che conosciamo della SS. Trinità lo dobbiamo al Figlio, che, proseguendo l’opera del Padre con Israele, ha originato la Chiesa come comunità degli appartenenti a Dio al di là dello stato di vita che abbracciano. Citando i brani della Scrittura prescritti per la solennità corrente nel ciclo B del Lezionario Romano (cfr. Dt 4,32-40; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20), il Papa avverte che «le Letture bibliche di oggi ci fanno capire come Dio non voglia tanto rivelarci che Lui esiste, quanto piuttosto che è il “Dio con noi”, vicino a noi, che ci ama, che cammina con noi, è interessato alla nostra storia personale e si prende cura di ognuno, a partire dai più piccoli e bisognosi». Precisazione da connettere a quanto già detto dal Pontefice in difesa della vita nascente e morente alla recita del Regina Coeli del 6 maggio e che suona ora ancora più pregnante dopo il referendum che il 25 maggio ha legalizzato l’aborto in Irlanda.
La Lettera ai Romani «[…] ci comunica il […] desiderio [del Signore] di essere chiamato Padre, anzi “Papà” ‒ Dio è “Papà nostro” ‒, con la totale confidenza di un bimbo che si abbandona nelle braccia di chi gli ha dato la vita. Lo Spirito Santo […] agendo in noi fa sì che Gesù Cristo non si riduca a un personaggio del passato, no, ma che lo sentiamo vicino, nostro contemporaneo», oggetto oggi come allora della nostra obbedienza. Lo si vede bene nella vita dei martiri, motivo per cui il Papa, dopo l’Angelus, ricorda la beatificazione, avvenuta il 26 maggio a Piacenza, di suor Leonella Sgorbati (1940-2006), che, dopo una vita passata al servizio degli ultimi della Somalia, è stata uccisa da un fanatico musulmano nel quadro della reazione violenta del mondo islamico al “discorso di Ratisbona” di Benedetto XVI. «La sua vita spesa per il Vangelo e al servizio dei poveri, come pure il suo martirio, rappresentano un pegno di speranza per l’Africa e per il mondo intero».
«Noi siamo popolo: il popolo di Dio», ma ce ne accorgiamo solo quando partecipiamo alla vita concreta della comunità che Cristo stesso ci ha dato per incontrarLo: la Chiesa. «Il cristiano non è una persona isolata, appartiene ad un popolo […]. Non si può essere cristiano senza tale appartenenza e comunione». Scrive il servo di Dio mons. Luigi Giussani (1922-2005) in Perché la Chiesa (Rizzoli, Milano 2003, p. 156): «La Chiesa è il prolungamento nella storia, nel tempo e nello spazio di Cristo. Ed essendo tale prolungamento, è in essa la modalità con cui Cristo continua ad essere particolarmente presente nella storia, e dunque essa è il metodo con cui lo Spirito di Cristo mobilita il mondo verso la verità, la giustizia e la felicità». Non è quindi possibile distinguere la Chiesa né da Cristo, né dal Mistero trinitario, poiché è solo tramite la comunità ecclesiale che Cristo e la Trinità, invece che farsi astrazioni, continuano a interpellare la libertà degli uomini di ogni epoca.