Marco Invernizzi, Cristianità n. 389 (2018)
Da Carlo a Carlo. Il Sacro Romano Impero e il «sogno» di un’altra politica
Perché parlare di Sacro Romano Impero oggi?
Il tema potrebbe apparire esotico oppure intellettualistico, per esempio legato alla pubblicazione di un libro importante come quello dello storico e uomo politico inglese James Bryce (1838-1922) (1).
E invece per la famiglia spirituale di Alleanza Cattolica non è così. Certamente l’occasione è data da un’opera di valore come quella appena pubblicata dalla D’Ettoris Editori, forse la più importante sul tema. Ma si tratta solo di un libro, fra l’altro scritto da un protestante liberale, certamente né cattolico né contro-rivoluzionario, sebbene si sia rivelato un cantore del Sacro Romano Impero. Se poi si leggono le conclusioni dell’opera, la parte relativa al nuovo impero tedesco nato nel secolo XIX e le riflessioni dell’autore sul processo di unificazione italiana, ci si rende facilmente conto di come sia diverso il suo giudizio su quelle due pagine storiche che noi invece associamo alle rivoluzioni nazionaliste e liberali. Ma come dicevo il libro è solo un’occasione propizia per trattare un tema di particolare importanza per il nostro apostolato.
Proverò a raccontare questa storia cominciando dalla fine, dalla morte in esilio, a Madera, del beato Carlo d’Asburgo (1887-1922), l’ultimo imperatore di quell’Austria-Ungheria erede, almeno nella memoria dei suoi sovrani, del Sacro Romano Impero medioevale. Sono passati quasi cento anni da allora e di impero non si parla più se non in un senso negativo: quando qualcuno fa riferimento a un impero, ai più viene in mente l’Unione Sovietica, che in un certo senso fu effettivamente un impero, ma un «impero del male» (2), come venne correttamente definito dal presidente degli Stati Uniti d’America Ronald Wilson Reagan (1911-2004) in un discorso pronunciato l’8 marzo 1983 davanti alla National Association of Evangelicals a Orlando, in Florida.
Questo è il primo problema. Ma poi, come mostrare l’aspetto positivo di quella concezione della politica che fonda l’ideale universale e cristiano di un santo impero, cioè di un mondo pacificato sotto la guida di un’autorità cristiana, strettamente legata alla Chiesa di Roma?
L’impero e la pace
Proprio dalla pace dobbiamo cominciare. La pace è stata l’ultima speranza del beato Carlo. Accortosi della tragedia della Grande Guerra (1914-1918), nella quale era stato coinvolto il prozio imperatore Francesco Giuseppe (1830-1916), cercò di fare in modo che l’impero che aveva ereditato ne uscisse quanto prima possibile, senza peraltro subire conseguenze troppo gravi. Il suo proposito venne impedito dal militarismo e dal nazionalismo tedesco, dalla componente filogermanica all’interno del suo stesso impero, dalla massoneria che voleva la cancellazione dell’ultimo impero cattolico, dai governanti dell’Intesa — specialmente dal Regno d’Italia — che forse pregustavano la vittoria totale e non volevano concedere trattamenti migliori all’Austria-Ungheria (3).
Il tentativo di Carlo d’Austria
Il beato imperatore, fin dalla sua ascesa al trono, prende sul serio, unico fra i governanti di allora, i ripetuti appelli alla pace di Papa Benedetto XV (1914-1922), specialmente — ma non solo — quello, celebre, contenuto nella Lettera dell’agosto del 1917 sulla «inutile strage» (4) e cerca di metterli in pratica veramente, non solo a parole, operando concretamente perché il suo impero potesse uscire dal conflitto senza essere distrutto (5). In pratica si rendeva conto che niente poteva giustificare quella guerra ormai diventata mondiale, che coinvolgeva le popolazioni civili, che lasciava conseguenze psichiatriche drammatiche sui combattenti dopo anni di trincea, che insomma era una «guerra rivoluzionaria», dove torti e ragioni erano presenti in entrambi gli schieramenti.
Carlo non riesce nel suo intento, ma ricorda al mondo che la prospettiva degli imperi cristiani è la pace, la tranquillità nell’ordine, il riconoscimento della Signoria di Dio sulle nazioni, che appunto porta alla pace. Così si conclude l’opera di Bryce sull’impero cristiano: «Se negli anni a venire si costruirà gradualmente un nuovo corso di idee e di convinzioni capace di soddisfare il bisogno che gli uomini hanno di trovare una consacrazione per il potere e un vincolo che li leghi assieme e che rappresenti le aspirazioni dell’umanità nel suo complesso, la forma che queste convinzioni prenderanno dovrà differire ampiamente nell’aspetto esteriore da quella in cui trovò soddisfacimento il Medioevo. Essa tuttavia può incarnare una qualche parte di quella che fu l’anima e l’essenza del Sacro Impero: l’amore della pace, il senso della fratellanza dell’umanità, il riconoscimento della sacralità e della supremazia della vita spirituale» (6).
Contemporaneamente, l’ultimo imperatore mostra al mondo, cioè a chi vuole e vorrà vedere, chi sono i nemici della pace e quali le ideologie che li guidano.
L’ideologia nazionalista
Il nazionalismo sta per disgregare tre imperi, anzi quattro. Il tedesco, il russo, quello di Carlo e anche l’impero ottomano che pur con tutte le sue durezze verso i cristiani non avrebbe mai permesso il genocidio degli armeni e degli altri popoli cristiani, voluto dai Giovani Turchi, nazionalisti e massoni, che si apprestavano a sostituire il sultano con il presidente Mustafa Kemal Atatürk (1881-1938).
Il nazionalismo era già penetrato all’interno dello stesso Impero austro-ungarico mettendo in contrapposizione fra loro le diverse componenti nazionali, gli ungheresi, gli austriaci, gli italiani e gli slavi. Carlo intuisce il pericolo e cerca di rimediarvi, per esempio attraverso l’incoronazione a re d’Ungheria, avvenuta poche settimane dopo la sua successione a Francesco Giuseppe e in piena guerra, proprio per mostrare la sua attenzione al popolo magiaro, ma non avrà il tempo sufficiente.
Il nazionalismo nulla ha a che fare con l’amore per la propria patria, che non solo è legittimo ma doveroso, come prolungamento dell’amore di sé e della propria famiglia, quindi della prima comunità civile, per poi culminare, appunto, nell’amore per la patria comune (7). Lo storico Federico Chabod (1901-1960) ha spiegato come nel secolo XIX il nazionalismo si sostituisca alla religione quale oggetto di fede «laica», che attrae soprattutto i giovani portandoli a donarsi per una causa, appunto quella nazionale, che ha la propria «liturgia» e i propri contenuti intellettuali, riuscendo così a prendere il posto della liturgia e della dottrina insegnate dalla Chiesa (8). Un bene relativo, secondario e parziale diventa assoluto, così come avviene per ogni ideologia.
La pace nel Magistero dei Pontefici
Se la pace era stata la preoccupazione di Carlo ciò non avveniva per caso. Una delle principali minacce contro la pace veniva in quell’epoca dalla volontà di costituire Stati nazionali attraverso la disgregazione degli imperi. Lo Stato nazionale è il contrario di un impero. Mentre quest’ultimo accoglie e cerca di armonizzare nazionalità, culture e anche religioni diverse, lo Stato nazionale è figlio del razionalismo moderno, che non accetta le differenze se non in una prospettiva dialettica di contrapposizione. Così chi apparteneva a una minoranza etnica, che trovava — o comunque avrebbe dovuto trovare — protezione e rispetto all’interno degli imperi, diventava un cittadino «di serie B» negli Stati nazionali, quando non ne veniva espulso.
La ricerca della pace fra i popoli è sempre stata una grande preoccupazione della Chiesa, che attraverso il suo Magistero e la sua azione pastorale ha cercato di costruirla e di proporla, anche attraverso le istituzioni politiche. «La pace non si riduce a un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento d’un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini» (9): con queste parole, il beato Paolo VI (1963-1978) legava la pace all’ordine, intendendo con questa parola la conformità della società al progetto originario di Dio, che è l’obiettivo specifico della politica.
Ma chi promuove questo ordine, chi lo garantisce e chi lo difende? Fino alle guerre di religione (1559-1648) era compito dell’Impero assolvere questo compito nelle relazioni internazionali. Poi l’ordine sacro-imperiale va in frantumi, certamente per una decadenza interna alla cristianità e soprattutto per i peccati dei cristiani, a cominciare dalle divisioni ecclesiali, ma anche perché qualcuno soffia sul fuoco e sfrutta queste debolezze per trasformarle in un profondo rancore, una sorta di odio ideologico contro le stesse istituzioni cristiane, fra cui appunto l’Impero.
Quando gli imperi cessano di esistere, dopo la Grande Guerra, prima la Società delle Nazioni e poi, dopo la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), cercano di colmare il vuoto istituzionale venutosi a creare con la scomparsa degli imperi e di risolvere il problema della conflittualità fra gli Stati nazionali dominati dall’ideologia nazionalistica.
Il Magistero dei Pontefici guarderà positivamente a questo tentativo, che non aveva alternative, per cercare di conquistare la pace fra i popoli e di scongiurare altri conflitti tremendi, come quelli successivi alla Grande Guerra (10), nonché il secondo conflitto mondiale e quelli dell’epoca della Guerra Fredda (1947-1989). Papa Paolo VI scriverà: «Questa collaborazione internazionale a vocazione mondiale postula delle istituzioni che la preparino, la coordinino e la reggano, fino a costituire un ordine giuridico universalmente riconosciuto. Di tutto cuore Noi incoraggiamo le organizzazioni che hanno preso in mano questa collaborazione allo sviluppo, e auspichiamo che la loro autorità s’accresca. “La vostra vocazione — dicevamo ai rappresentanti delle Nazioni Unite a New York — è di far fraternizzare, non già alcuni popoli, ma tutti i popoli… Chi non vede la necessità di arrivare in tal modo progressivamente a instaurare una autorità mondiale in grado d’agire efficacemente sul piano giuridico e politico?”» (11).
La Santa Sede partecipa alla vita dell’ONU come Osservatore permanente e tutti i recenti Pontefici, dal beato Paolo VI, a san Giovanni Paolo II (1978-2005), a Benedetto XVI (2005-2013) e infine a Papa Francesco, sono intervenuti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ma l’ONU non è riuscita a risolvere i problemi geopolitici dell’epoca successiva alla Seconda Guerra Mondiale e oltretutto ha promosso, a partire dagli Anni Sessanta del secolo scorso, un’interpretazione dei diritti umani piegata su posizioni sempre più secolaristiche, come si è potuto vedere in particolare in occasione delle Conferenze mondiali promosse dall’ONU a Il Cairo nel 1994 e a Pechino l’anno successivo, su Popolazione e sviluppo la prima e sul tema della donna la seconda. In entrambe le occasioni si assisterà a un intenso scontro verbale nel corso dei lavori (12).
Conclusa l’esperienza dell’Unione Sovietica nel 1991 dopo l’abbattimento del Muro di Berlino nel 1989, al posto del conflitto ideologico che aveva diviso il mondo fra comunisti e anticomunisti dopo la Rivoluzione russa del 1917 emersero dal profondo della storia i conflitti etnici e culturali che si credevano scomparsi (13). Il mondo non trovò l’auspicata pace ma nuovi conflitti nella ex-Jugoslavia (1991-2001), in Africa nella regione dei Grandi Laghi (1990-1993), in Ucraina, assistendo altresì al risorgere dell’espansionismo islamistico, spesso con l’aiuto di gruppi terroristici, di cui è terminus a quo la rivoluzione khomeinista del 1979 in Iran. Dal conflitto ideologico si passò agli scontri di civiltà, con la possibilità concreta di drammatici conflitti nucleari (14).
L’analogia con la pace interiore intesa come sommo bene per la persona è evidente. La pace del cuore è lo stato al quale tende tutta la vita spirituale di una persona, frutto della preghiera che aiuta all’abbandono fiducioso nella Provvidenza divina. Lungi dall’essere una forma di quietismo, la lotta per la pace è fondamentale e presuppone la fiducia personale nel Signore, al quale in sostanza ci si deve abbandonare, cercando e accettando la Sua volontà anche quando non coincide con i nostri desideri.
Come nella vita personale la pace è un dono gratuito di Dio al quale ci dobbiamo predisporre con la preghiera fiduciosa e con le nostre azioni, così la pace interna e la pace fra le nazioni sono un dono divino da propiziare con la preghiera anche pubblica, con la costruzione del bene comune (la politica interna) e con l’opera della diplomazia (la politica estera).
Consapevole del rischio di un terzo conflitto mondiale, la Chiesa ha indetto dal 1968 una Giornata mondiale per la pace con un relativo Messaggio pontificio, letto il 1° gennaio di ogni anno (15), e chiamerà più volte a radunarsi — dopo il primo incontro, convocato nel 1986 ad Assisi da Papa san Giovanni Paolo II — esponenti di tutte le religioni del mondo, appunto per chiedere a Dio, ciascuno a suo modo, il dono della pace. La pace non c’entra con l’ideologia pacifista, che fu diffusa specialmente negli ambienti cattolici e cristiani negli anni Sessanta e Settanta per demoralizzare la resistenza al comunismo nel mondo, creando una mentalità ostile ai valori della vita militare. A esso si opporrà lo stesso beato Paolo VI: «Così, da ultimo, sarà da auspicare che la esaltazione dell’ideale della pace non debba favorire l’ignavia di coloro che temono di dover dare la vita al servizio del proprio Paese e dei propri fratelli quando questi sono impegnati nella difesa della giustizia e della libertà, ma cercano solamente la fuga della responsabilità, dei rischi necessari per il compimento di grandi doveri e di imprese generose.
«Pace non è pacifismo, non nasconde una concezione vile e pigra della vita, ma proclama i più alti ed universali valori della vita; la verità, la giustizia, la libertà, l’amore.
«Ed è per la tutela di questi valori che Noi li poniamo sotto il vessillo della pace, e che invitiamo uomini e Nazioni, e innalzare, all’alba dell’anno nuovo, questo vessillo, che deve guidare la nave della civiltà, attraverso le inevitabili tempeste della storia, al porto delle sue più alte mete» (16).
Dai longobardi a Carlo Magno
Ma come è nato questo desiderio della Chiesa di perseguire la pace attraverso le istituzioni politiche, preposte appunto a tentare di raggiungere questo obiettivo?
Come nella vita personale la pace può essere minacciata da fattori interni o esterni, così nella vita pubblica essa presuppone l’ordine interno e la difesa dai pericoli esterni.
L’ordine interno viene garantito nella misura in cui si riescono a incarnare in istituzioni quei princìpi elementari della dottrina sociale della Chiesa, che sono altresì inscritti nella natura umana, anche se non facili da cogliere dopo il peccato originale; quei princìpi e quei valori confermati e sublimati dalla Rivelazione e che, se applicati, possono donare — per quanto possibile in hac lacrimarum valle — la pace interna alle nazioni e propiziare quella esterna evitando o addolcendo i conflitti generati dal di fuori: le guerre fra gli Stati o il terrorismo portato all’interno dei confini statali da centrali situate all’estero.
Fu la Provvidenza che portò il messaggio di Cristo dalla Palestina a Roma, da dove poté più facilmente arrivare in tutto il mondo civile, che allora coincideva con l’impero romano, ma anche assumere una mentalità «cattolica», ossia universale, adattandosi alle diverse culture e forme di civiltà che la fede incontrava.
Si dice che vi siano stati imperatori cristiani già prima di Costantino, come per esempio Filippo l’Arabo (204-249) (17), ma indubbiamente toccherà a Costantino e al meno conosciuto e celebrato suo predecessore Gaio Galerio (260-311), che nel 311 riconobbe ufficialmente il cristianesimo, a dare una svolta alla prima evangelizzazione, permettendo la predicazione del Vangelo all’interno dei confini dell’impero con l’Editto di Milano del 313. Da qui è nato quel rapporto fra Chiesa e Impero che scandalizza quei cattolici che accuseranno la Chiesa «costantiniana» di appoggiarsi ai poteri terreni sacrificando la «purezza» evangelica.
Ottenuta la libertà, comincerà l’inculturazione della fede, cioè nascerà la «prima evangelizzazione», con cui la fede passerà dalle famiglie e dai monasteri al corpo sociale, ancora in gran parte pagano. Era prevedibile che questo vivace processo di inculturazione sarebbe sfociato in istituzioni e dalla fede diventata cultura sarebbe nata una nuova civiltà.
Un problema fu quello della libertà religiosa, divenuto evidente con l’imperatore Teodosio (347-395), che erigerà il cristianesimo a religione di Stato con l’Editto di Tessalonica del 380, ponendo così fine al modello di Stato, certamente più rispettoso della libertà religiosa, del periodo di Costantino. Questo periodo «rappresenta un equilibrio ideale che difficilmente una situazione storica, con i suoi molteplici condizionamenti concreti, riesce a conservare» (18). Infatti, l’impero di Costantino «delinea l’immagine di uno stato che si definisce religioso e ritiene anzi il suo rapporto con la divinità fondamentale problema politico e si proclama nello stesso tempo aconfessionale, non in nome di un razionalismo scettico, ma in nome della sua confessata incompetenza a decidere, in quanto Stato, la natura teologica della divinità, il quicquid est divinitatis in sede caelesti, di uno Stato in cui il rapporto tra religione e politica nasce non dalla legge scritta, ma dalla legge non scritta, e il diritto della divinità ad essere adorata come vuole fonda la libertà di tutti a praticare il proprio culto e la propria fede religiosa secondo coscienza» (19).
Spiega bene questo passaggio Gabrio Lombardi (1913-1994) nella sua storia della libertà religiosa (20), mostrando come il principio secondo cui la persona deve poter scegliere liberamente la religione da professare senza ingerenze e pressioni da parte dello Stato sia cresciuto lentamente e progressivamente dentro la Chiesa, fino ad arrivare a una completa esplicitazione con il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) e la Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae (21).
Marta Sordi invece spiega come l’assunzione del cristianesimo a religione dell’impero sia stata una conseguenza della cultura politico-giuridica romana, che desiderava anzitutto il favor deorum e quindi riteneva che esso si dovesse ottenere solo tributando onori unici ed esclusivi alla vera divinità, che gli imperatori avevano iniziato a riconoscere nel Dio cristiano, dopo la conversione di Costantino: «Questo era nella logica degli imperatori del III e IV secolo, nella logica della più arcaica pietas romana, per la quale la religione era innanzitutto una alleanza fra Roma e la divinità, per la salvezza di Roma e del suo impero» (22).
Indubbiamente sarebbe sbagliato giudicare il passato con le categorie odierne, specialmente la complessità della situazione culturale e politica di quell’epoca di cambiamenti importanti che segnò il passaggio dalla tarda antichità al Medioevo, segnato dalla diffusione del cristianesimo. Il problema non era e non è la confessionalità dello Stato, che come afferma la Dichiarazione Dignitatis humanae (n. 6) ripresa dal Catechismo della Chiesa Cattolica (23), si può dare in determinate condizioni storiche, ma la possibilità per singoli e comunità di professare liberamente la religione scelta, senza interferenze e pressioni da parte dello Stato. Nel secolo IV, evidentemente, la società era ancora in maggioranza pagana e una scelta confessionale a favore del cristianesimo avrebbe probabilmente provocato gli stessi problemi, seppure a parti invertite, che si erano verificati nei primi tre secoli, quando erano i cristiani a essere perseguitati.
La caduta dell’impero e la speranza di restaurarlo
Quando nel 476 cadrà — almeno convenzionalmente — l’impero romano d’Occidente in seguito alla deposizione di Romolo Augustolo (461 ca.-dopo il 511) da parte del generale ostrogoto Odoacre (435-493), le insegne imperiali saranno trasportate e conservate a Costantinopoli, dove l’impero romano-cristiano continuerà a esistere ancora per mille anni.
Da una parte dunque l’impero non verrà meno nel cuore dei cristiani come punto di riferimento e anche come desiderio di quella unità e di quella concordia che il sistema imperiale in qualche modo rappresentava, ma dall’altra parte non si spegnerà il desiderio che l’impero tornasse a manifestarsi visibilmente nella Città Eterna, la capitale della cristianità, dove risiedeva il successore di Pietro, che allora, nel primo millennio, anche gli ortodossi riconoscevano come Capo della Chiesa.
Queste due consapevolezze rimasero per secoli presenti nel comune sentire: se, da un lato l’impero cristiano continuerà a esistere a Costantinopoli, dall’altro lato Costantinopoli è molto lontana e tenderà a diversificarsi sempre più dal punto di vista culturale e politico, oltre che religioso. L’Impero Romano d’Oriente dovrà difendersi dai persiani e dai musulmani e forse anche per questo non potrà difendere adeguatamente il papato dalle «invasioni barbariche», nella prima fase alleandosi con l’Impero Romano cristiano e, poi, dopo la fine di quest’ultimo, salvaguardando la libertà della Chiesa e di ciò che rimaneva della civiltà romana.
Sta di fatto che i Pontefici, davanti ai barbari sempre più protagonisti della scena politica oltre che di quella militare, davanti allo scarso gradimento per il dominio longobardo in Italia — dovuto anche al fatto che molti longobardi aderivano all’eresia ariana — e davanti alle debolezze e alle ambiguità degli imperatori orientali, decideranno di rivolgersi a Occidente, dove era cresciuto nel frattempo il Regno dei Franchi, l’unica tribù rimasta sempre fedele al cattolicesimo romano a partire dal battesimo del re Clodoveo (466 ca.-511) nel 496.
Ciò non significa che la Chiesa abbandoni il popolo longobardo. Al contrario, la Chiesa latina svilupperà una pastorale ben precisa per la conversione di quest’ultimo dall’arianesimo e anche per preservarlo dalla ricorrente tentazione di rifluire nel paganesimo delle origini (24): aiutata dall’opera preziosa di missionari orientali, questa conversione si svolgerà nell’Italia settentrionale — dove la sede episcopale di Pavia sarà utilizzata come centro propulsore e organizzatore dell’opera missionaria guidata dal vescovo locale — e nei ducati longobardi di Spoleto e di Benevento. La conversione del popolo longobardo al cattolicesimo sarà sancita nel 698: «Con il sinodo pavese del 698 ed il ripudio dell’Arianesimo i Longobardi avevano fatto definitiva professione di fede cattolica e in effetti, a partire da quest’epoca, si ha un grande sviluppo nella fondazione di chiese e di monasteri da parte di sovrani, di duchi e di milites appartenenti a quel popolo» (25).
Fu in questo contesto che vennero gettate le basi del Sacro Romano Impero, cioè della renovatio imperii, del ritorno dell’Impero anche in Occidente.
La nascita di un mondo nuovo
La rinascita dell’Impero d’Occidente — che si compie accanto alla fioritura di quello ormai detto «bizantino» —, avvenuta con la scelta «politica» della Santa Sede a favore del popolo franco come proprio protettore, quando la stessa Chiesa è attraversata da conflitti interni non propriamente edificanti e anche da scismi, non deve far dimenticare che l’opera di evangelizzazione dell’Europa continuerà, a partire dal basso, a opera delle famiglie e dei monasteri soprattutto, quasi incurante delle peripezie politiche e diplomatiche sovrastanti. Mentre il Papa diventerà anche il sovrano di uno Stato sempre più importante, che si estendeva al centro della Penisola italiana, la fede cristiana penetrava nella società e lentamente la trasformava, facendo assumere alle popolazioni barbare dell’Alto Medioevo i costumi individuali e collettivi caratteristici del cristianesimo: la mitezza, la fedeltà coniugale, la disponibilità al perdono, la misericordia accanto alla giustizia, il migliorato ruolo e la più apprezzata dignità della donna. Dentro un mondo che muore nasce un mondo nuovo e i protagonisti di quella straordinaria avventura saranno i santi, sia gli uomini e le donne riconosciuti come tali dalla Chiesa e che oggi veneriamo, sia quelli anonimi, che probabilmente saranno molto superiori di numero. Tanti li conosciamo per nome — Ambrogio (339/340-397), Agostino (354-430), Papa Leone Magno (440-461), Benedetto (480 ca.-547), Papa Gregorio Magno (540-604), Severino Boezio (480 ca.-524) ed anche Aurelio Cassiodoro (485 ca.-580 ca.), la cui fama di santità è diffusa dal Medioevo — oppure per categorie, come i Padri apostolici, gli apologisti, i Padri greci e latini. Tanti altri invece li conosceremo soltanto quando saremo in Cielo perché non hanno avuto biografi o biografi adeguati.
Ciò che però importa comprendere è che il Sacro Romano Impero non sarà il risultato dell’imposizione dall’alto di una ideologia di conquista, bensì il frutto di una lenta ma tenace opera di apostolato personale e collettivo, culturale e materiale, che unirà popoli di culture diverse e si svilupperà all’interno di un quadro politico e militare certamente complesso e non privo di ombre; queste ultime non devono però far dimenticare i grandi risultati umani e cristiani, civili, culturali e artistici, prodotti da questa straordinaria opera d’inculturazione della fede in Gesù Cristo.
Marco Invernizzi
Note:
(1) Cfr. James Bryce, Il Sacro Romano Impero, trad. it., a cura di Paolo Mazzeranghi, D’Ettoris, Crotone 2017.
(2) Il testo del discorso è reperibile sul sito web della Ronald Reagan Presidential Library, alla pagina <https://www.reaganlibrary.gov/sites/default/files/archives/speeches/1983/30883b.htm>, consultata il 2-2-2018). Cfr. la traduzione italiana in Marco Respinti, (a cura di), Ronald. W. Reagan. Un americano alla Casa Bianca, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2005, pp. 51-67 (p. 64).
(3) Cfr. François Fejtő (1909-2008), Requiem per un impero defunto. La dissoluzione dell’impero austro-ungarico, trad. it., Mondadori, Milano 1999.
(4) Benedetto XV, Lettera ai capi dei popoli belligeranti, del 1°-8-1917.
(5) Cfr. Oscar Sanguinetti e Ivo Musajo Somma, Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d’Asburgo, D’Ettoris, Crotone 2004.
(6) J. Bryce, op. cit., p. 532.
(7) Cfr. Mauro Ronco, Sull’amor di patria, in Cristianità, anno XXVII, n. 285-286, gennaio-febbraio 1999, pp. 11-13.
(8) Cfr. Federico Chabod, L’idea di nazione, Laterza, Roma-Bari 2008, e Cristopher Dawson (1889-1970), Gli dei della rivoluzione, trad. it., a cura di P. Mazzeranghi, prefazione di mons. Luigi Negri, D’Ettoris, Crotone 2015.
(9) Paolo VI, Enciclica «Populorum Progressio» sullo sviluppo dei popoli, del 26-3-1967, n. 76.
(10) Su questo tema, ancora poco studiato, cfr. Robert Gerwarth, La rabbia dei vinti. La guerra dopo la guerra. 1917-1923, trad. it., Laterza, Roma-Bari 2017.
(11) Paolo VI, enciclica cit., n. 78.
(12) Cfr. Dale O’Leary, La guerra del gender, ed. it. a cura di Dina Nerozzi, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2017, e Gabriele Kuby, La Rivoluzione sessuale globale. Distruzione della libertà nel nome della libertà, trad. it., introduzione del card. Carlo Caffarra (1938-2017), prefazione di Robert Spaemann, postfazione di Toni Brandi, Sugarco, Milano 2017.
(13) Cfr. Giovanni Cantoni, Dopo il Martedì Nero, un passo verso il «reincanto» del mondo, in Cristianità, anno XXX, n. 309, gennaio-febbraio 2002, pp. 3-4.
(14) Cfr. Samuel P. Huntington (1927-2008), Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Il futuro geopolitico del pianeta, trad. it., Garzanti, Milano 2000.
(15) Cfr. il numero speciale di Cristianità, anno XXVIII, n. 300, luglio-agosto 2000.
(16) Paolo VI, Messaggio per la I Giornata della pace dell’1 gennaio 1968, dell’8-12-1967.
(17) «Filippo (244-249) porta di nuovo la pace religiosa e aggiunge anzi un sentimento di simpatia per il cristianesimo, tanto che nasce ben presto la fama (o la leggenda) secondo cui egli sarebbe stato il primo imperatore a convertirsi e a dimostrare coi fatti la sua fede» (Paolo Siniscalco, Il cammino di Cristo nell’Impero romano, nuova ed. ampliata, Laterza, Roma-Bari 2009, p. 87).
(18) Marta Sordi (1925-2009), I cristiani e l’impero romano, nuova edizione riveduta e aggiornata, Jaca Book, Milano 2011, p. 182.
(19) Ibidem.
(20) Cfr. Gabrio Lombardi, Persecuzioni, laicità, libertà religiosa. Dall’editto di Milano alla «Dignitatis humanae», Studium, Roma 1991.
(21) Cfr. G. Cantoni e Massimo Introvigne, Libertà religiosa, «sette» e «diritto di persecuzione». Con appendici, Cristianità, Piacenza 1996.
(22) M. Sordi, op. cit., p. 183.
(23) «Se, considerate le circostanze peculiari dei popoli, nell’ordinamento giuridico di una società viene attribuito ad una comunità religiosa uno speciale riconoscimento civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e comunità religiose venga riconosciuto e rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa» (n. 2107).
(24) Cfr. Gregorio Penco O.S.B. (1926-2013), Storia della Chiesa in Italia, Jaca Book, Milano 1982, vol. I, Dalle origini al Concilio di Trento, pp. 102-143.
(25) Ibid., p. 144.