Alfredo Mantovano, Cristianità n. 285-286 (1999)
Il «normale» naufragio della sinistra di fronte al crimine
Il 13 gennaio 1999 l’on. Pietro Folena, nella seduta della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, ha avviato l’esame dei numerosi progetti di legge sui sequestri di persona a scopo di estorsione con una relazione degna della massima attenzione. In essa l’esponente del Partito dei Democratici di Sinistra ha indicato come testo-base sul quale condurre i lavori quello che reca le firme di un gruppo di parlamentari sardi appartenenti a differenti forze politiche: la proposta prevede, fra l’altro, che chi realizza un sequestro estorsivo senza provocare la morte dell’ostaggio venga punito con la pena minima di venticinque anni di reclusione e, se persiste nel collegamento con la criminalità organizzata, non possa godere dei benefici della Legge Gozzini. Fra breve, come ha informato a mezzo stampa la presidente della stessa Commissione Giustizia, on. Anna Finocchiaro Fidelbo, pure democratica di sinistra, inizierà l’esame del disegno di legge di abrogazione dell’ergastolo, già passato al Senato nella primavera del 1998: e questo anche per dar seguito alla indicazione di priorità formulata a nome del governo dal ministro di Grazia e Giustizia, on. Oliviero Diliberto, del Partito dei Comunisti Italiani. Se la proposta fosse approvata, l’ergastolo sarebbe sostituito dalla pena della reclusione speciale da trenta a trentatrè anni; ma questa sostituzione non determina una pena certa: inserendo la modifica nel contesto del codice di procedura penale — che consente con il rito abbreviato la riduzione secca di un terzo della pena — e della Legge Gozzini — che concede i premi sulla pena finale, applicata in concreto, e non sulla pena minacciata —, il pluriomicida che oggi viene punito con il carcere a vita potrebbe, una volta abrogato l’ergastolo, andare in semilibertà dopo dieci anni e in permesso premio dopo cinque anni di reclusione effettivamente espiata.
Dunque, negli stessi giorni e nella medesima Commissione Giustizia si assisterà fra breve alla possibile approvazione in parallelo di due leggi, all’esito delle quali il colpevole di un sequestro che, pur commettendo un reato odioso, non ha ucciso va dietro le sbarre per venticinque anni senza sconti, mentre il colpevole di uno o più omicidi che sa ben utilizzare i benefici del sistema può lasciare la cella, se pure part time, dopo appena un lustro. Non è tanto un problema di evidente disparità di trattamento: più che della Corte Costituzionale la sinistra, quando si occupa di giustizia, avrebbe bisogno dello psichiatra.
Nonostante questo, in una lettera pubblicata il 14 gennaio 1999 dal Corriere della Sera lo stesso on. Folena, criticando la manifestazione per l’ordine pubblico organizzata dal Polo per le Libertà a Milano per sabato 16, accusa l’on. Silvio Berlusconi e la destra di aver «condotto una lotta contro la magistratura e contro i controlli di legalità che ha indebolito il contrasto alla criminalità». Viene alla mente l’«inferior stabat agnus», con quel che segue, di Fedro: il fallimento di tre anni di governo di sinistra-centro sul fronte del contrasto al crimine non solo non conduce alla minima autocritica, ma fa scaricare le colpe sull’avversario politico, reo di aver sollevato dubbi, in modo del tutto legittimo, su decisioni di singoli magistrati in sé assai discutibili. E invece, se si fa riferimento a indici reali, il periodo che inizia dal 1995, con il governo presieduto dall’on. Lamberto Dini, da quando cioè la barra del comando — per riprendere un’espressione cara all’attuale presidente del Consiglio, on. Massimo D’Alema — è nelle mani salde e sicure della sinistra, coincide, nel cinquantennio della storia repubblicana, con il maggior disimpegno da una politica per la sicurezza degna di questo nome. Provo a elencare qualche dato:
a. un decreto legislativo del 30 aprile 1997, che ha esercitato una delega contenuta nella precedente legge finanziaria, ha incentivato il prepensionamento del personale delle forze dell’ordine con venticinque anni d’anzianità. Il provvedimento ha spinto alle dimissioni migliaia di unità in tutta Italia: di fatto le migliori, perché alle energie fisiche ancora intatte — non hanno più di cinquant’anni d’età — affiancavano un’esperienza di tutto rispetto;
b. il contratto nazionale di lavoro delle forze dell’ordine, entrato in vigore il 1° gennaio 1997, ha ridotto sensibilmente l’orario ordinario e gli straordinari, provocando una contrazione virtuale di altre undicimila unità; una sensibile riduzione ha interessato anche gli ausiliari di polizia;
c. episodi sempre più frequenti e sconcertanti fanno venire al pettine i nodi della politica di dequalificazione dei ruoli perseguita dai governi negli ultimi anni, e in particolare il riordino delle carriere del 1995, che oggi è disconosciuto da quegli stessi sindacati di polizia che in passato lo avevano sollecitato, mentre restano ancora ai margini la mobilità dei ruoli e l’efficace frequente impiego di quegli Uffici ispettivi rivelatisi inesistenti, come ha confermato da ultimo il «caso Brindisi». Procedimenti penali in corso ipotizzano che nella Questura di questa città vi siano state per anni collusioni fra unità della Polizia di Stato ed esponenti della criminalità organizzata operanti in quel territorio: benché i fatti fossero stati in parte resi noti dalla stampa locale, nessun provvedimento significativo è stato adottato dal ministero dell’Interno, fino a quando più ordinanze di custodia cautelare hanno colpito agenti, ispettori, e perfino l’ex questore di Brindisi;
d. i fondi costituiti per risarcire le vittime del racket e dell’usura non vengono erogati per la farraginosità dei meccanismi gestiti dal governo, anche se la stima complessiva dei danni economici del crimine supera del doppio l’entità della legge finanziaria;
e. a meno di un anno dall’entrata in vigore della nuova legge sull’immigrazione, la Repubblica Italiana si mostra incapace anche solo di frenare l’accesso clandestino dal mare, gestito dalle organizzazioni criminose — che l’accompagnano con l’immissione massiccia di armi e di droga e che poi curano il traffico dei bambini e delle prostitute —, e si è confermata nel mondo come lo Stato delle sanatorie, diffondendo il messaggio che chiunque arriva in Italia irregolarmente è certo di restarvi; di fatto, il meccanismo previsto dalla legge n. 40/1998 — la cosiddetta Legge Turco-Napolitano — è saltato, allorché, dopo aver previsto la disciplina di flussi d’ingresso annuali, predeterminati quantitativamente, ci si trova non già a regolamentare l’arrivo di chi sta fuori dall’Italia e chiede di entrarvi, bensì a regolarizzare la posizione di oltre trecentomila clandestini che alla fine del 1998 hanno presentato, con documenti spesso fittizi, la domanda di sanatoria;
f. il regime carcerario duro riguardante i condannati per delitti di tipo mafioso — disciplinato dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario — non esiste più dal febbraio 1998, in virtù di una circolare del dottor Alessandro Margara, il direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria voluto dal governo presieduto dall’on. Romano Prodi e confermato dal governo presieduto dall’on. D’Alema, mentre i benefici della Legge Gozzini sono concessi con generosità: producendo gli effetti a tutti visibili, in termini sia di ripresa in grande stile della gestione dal carcere degli affari di mafia — sulla base delle prime indagini, la strage di Vittoria, in provincia di Ragusa, è stata decisa e coordinata da personaggi sottoposti alla disciplina dell’articolo 41 bis —, sia di facilitazione delle fughe, che aumentano quotidianamente;
g. le direttive sui corpi speciali di polizia volute dall’ex ministro dell’Interno, on. Giorgio Napolitano, hanno disarticolato importanti meccanismi di coordinamento nella lotta al crimine come il SCICO, il Servizio Centrale Investigazioni Criminalità Organizzata, della Guardia di Finanza e lo SCO, il Servizio Centrale Operativo, della Polizia di Stato: il ROS, il Raggruppamento Operativo Speciale, dei Carabinieri, che era sopravvissuto in virtù di un regolamento interno che a esso consentiva ancora determinate possibilità operative, è stato decapitato con l’allontanamento del suo comandante, il generale Mario Mori, avvenuta nel dicembre del 1998;
h. dopo che la maggioranza di sinistra-centro ha varato al Senato l’abrogazione dell’ergastolo, il ministro di Grazia e Giustizia, on. Diliberto, non perde occasione per dichiarare il carattere prioritario della definitiva eliminazione del carcere a vita;
i. il contrasto del traffico di stupefacenti e il ricupero dei tossicodipendenti sono impediti dalla non punibilità della detenzione di droga, prescindendo dal quantitativo, che si presume sempre per uso personale, dopo che il referendum svolto nel 1993 ha eliminato la soglia di punibilità costituita dalla dose media giornaliera; non contenta di ciò, la sinistra sostiene al Senato l’introduzione della depenalizzazione della cessione a terzi di stupefacenti, se non è provato il contestuale pagamento di denaro;
j. il capo dello Stato concede a scadenze ricorrenti la grazia a quei pochi delinquenti che si trovano ancora dietro le sbarre.
Tutto questo è più che sufficiente per legittimare la tesi che il tracollo sul versante dell’ordine pubblico non è frutto d’invenzioni malevoli o di eventi occasionali e male interpretati; è l’ esito coerente di scelte politiche, sul piano legislativo e sul piano amministrativo, tanto volute quanto dissennate, il cui insieme rivela un clamoroso fallimento e richiama la responsabilità del governo nel suo insieme. Il paese «normale» dell’elegia dalemiana è, dal Sud al Nord, un terreno di guerra ininterrotta dei criminali contro gli onesti: per costoro, grazie al governo di sinistra-centro, è sempre più difficile individuare nello Stato un valido alleato.
Alfredo Mantovano