Gonzague de Reynold, Cristianità n. 271-272 (1997)
Le toit chrétien, vol. VII di Formation de l’Europe, Plon, Parigi 1957, pp. 502-504. Traduzione e titolo redazionali.
Epoche, società e civiltà
Esponendo il «disegno generale» del suo Discours sur l’histoire universelle Bossuet scrive: «Come, per facilitare il ricordo nella conoscenza dei luoghi, si tengono a mente certe città principali attorno alle quali si pongono le altre, ciascuna alla sua distanza; così, nell’ordine dei secoli, bisogna avere certi tempi segnati da qualche avvenimento, al quale si riferisce tutto il resto. È quanto si denomina epoca, da un termine greco che significa fermarsi, perché ivi ci si ferma per osservare come da un luogo di riposo tutto quanto è accaduto prima o dopo».
Dunque epoca significa anzitutto avvenimenti notevoli segnati nella storia come posizioni dove ci si deve fermare per vedere. Quindi il termine si applica a ogni spazio di tempo che scorre fra due di questi avvenimenti. Poi la parola assume un significato scientifico. In geologia un’epoca è la durata seguente un grande cambiamento della terra e ne è condizionata finché un altro grande cambiamento sconvolge l’aspetto del globo e trasforma le condizioni della vita. Ora, la geologia è già vicinissima alla storia, dal momento che ne è separata solo dalla geografia.
Chiamo quindi epoca una durata storica fra due cambiamenti: la porta d’entrata e la porta d’uscita. Un’epoca è anche la durata di una civiltà, quindi della società che l’ha in parte ereditata, in parte prodotta. Finalmente, ogni civiltà e ogni società hanno come motore una certa idea, consapevole o inconsapevole, teorica o pratica, dell’uomo e del destino umano.
Un’epoca non è assolutamente statica. All’interno del suo sviluppo passa attraverso trasformazioni successive. Ha una giovinezza, una maturità, una vecchiaia con, al termine, la morte. Infatti le collettività umane vivono per analogia allo stesso modo dell’uomo medesimo, fra una culla e una tomba.
Ma che tomba?
Quando un’epoca ha esaurito il proprio principio vitale, quando non ha più una durata realmente vissuta, quando è già lavorata dall’epoca nuova che si sta formando in essa e ne sta togliendo la sostanza, si produce una rivoluzione nel significato primo del termine: ri- torno al punto di partenza, chiusura di un ciclo. Così l’epoca cade in fondo a un periodo vuoto in cui si dissolve. La società si disgrega, i popoli si sradicano e si rimettono in movimento; la curva della civiltà flette e ricompare la barbarie.
Frattanto, con molta incertezza e fatica e lentezza, con avanzate e con ritirate, con convalescenze e con ricadute, un’altra epoca finisce per uscire dal periodo vuoto. Non conosce ancora il proprio nome: gliene daranno uno più tardi gli storici — raramente quello giusto. Avrà ancora gli occhi chiusi per lungo tempo.
Saranno necessarie diverse generazioni perché, infine uscita dal cratere e dalle lave, prenda il proprio ritmo. Ma la nuova forma di civiltà non potrà sbocciare prima che la nuova società abbia potuto costituirsi e stabilizzarsi.
Paragonerei questo sviluppo per epoche e periodi vuoti a una lunga catena di montagne, una catena tagliata da depressioni ripide e profonde. Ogni segmento di questa cordigliera s’iscrive fra due di tali depressioni. Risale lentamente dall’una per cadere rapidamente nell’altra. Lo domina una vetta, luminosa come un ghiacciaio al sole. Ma su una vetta vi è poco spazio e non vi si potrebbe restare a lungo.
Gonzague de Reynold (1880-1970)