Marco Invernizzi, Cristianità n. 271-272 (1997)
Relazione del dottor Marco Invernizzi, presidente dell’ISIN, l’Istituto per la Storia delle Insorgenze, riveduta e annotata, tenuta al convegno Le insorgenze anti-giacobine, il problema dell’identità nazionale e la «morte della patria». Spunti per una rinascita della «nazione spontanea», svoltosi a Milano, il 26 ottobre 1997, organizzato dall’Istituto stesso in collaborazione con Alleanza Cattolica, Cristianità e la Regione Lombardia Settore Trasparenza e Cultura.
A due anni dall’inizio del bicentenario dell’Insorgenza italiana (1796-1799)
1. Con questa mia relazione intendo ricordare brevemente i due anni di attività dell’ISIN, l’Istituto per la Storia delle Insorgenze, dalla sua nascita fino a questo II Convegno nazionale; e quindi introdurne il tema, Le insorgenze antigiacobine, il problema dell’identità nazionale e la «morte della patria». Spunti per una rinascita della «nazione spontanea», cercando di spiegare i motivi che ci hanno spinto ad affrontare insieme problemi della storia italiana così apparentemente diversi come le insorgenze e l’identità nazionale.
2. Due anni fa, nel novembre del 1995, si costituiva a Milano l’ISIN, in previsione del 1996, inizio del bicentenario delle insorgenze contro l’occupazione militare dell’esercito rivoluzionario francese che, nel 1796, aveva sconfitto l’impero asburgico e stava dilagando in tutta Italia.
L’intuizione dalla quale sorgeva l’ISIN è legata alle lunghe e frequenti conversazioni durante le riunioni dei gruppi di Alleanza Cattolica, ma ha anche un’origine specifica e scritta, e precisamente il saggio di Giovanni Cantoni L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, introduttivo all’opera di Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, scritto ormai venticinque anni fa (1). Nel suo saggio Cantoni ripercorre sinteticamente la storia italiana degli ultimi due secoli e ne analizza gli avvenimenti alla luce del pensiero cattolico contro-rivoluzionario; e in queste pagine si trovano quei riferimenti alle insorgenze che sono all’origine dell’attenzione per il fenomeno da parte di quanti hanno poi dato vita all’ISIN.
Anzitutto è necessario spiegare le caratteristiche generali di questo istituto storico, che già nel suo nome racchiude e indica una scelta di fondo, quella cioè di essere un organismo costituito anzitutto per studiare, prima che per celebrare, le insorgenze, cioè per contribuire a riportare alla memoria degli italiani un tratto della storia nazionale fra i più dimenticati o male interpretati.
Così, forse, domani una generazione successiva alla nostra potrà celebrare le insorgenze avendo a disposizione elementi di fatto e indicazioni interpretative che noi, quando abbiamo incominciato questa attività di ricerca, possedevamo soltanto a livello di intuizione. La scelta che privilegia lo studio rispetto alla celebrazione nasce dal presupposto che alla nostra generazione non sono pervenute informazioni di sorta a proposito delle insorgenze, né attraverso la trasmissione orale né per mezzo di libri. E così tale scelta è stata semplicemente il frutto di una constatazione, amara ma corrispondente alla realtà. Si tratta di una scelta difficile, fatta a malincuore, perché quanti hanno fondato l’ISIN avrebbero preferito di gran lunga celebrare le insorgenze, divulgando quanto eventualmente prodotto da storici, magari anche professionisti, con più tempo a disposizione e con maggiori capacità. Ma, pur leggendo e rileggendo saggi di storia e di storiografia sul periodo napoleonico, risultava impossibile trovare qualcosa di più che tracce degli avvenimenti in questione, qualcosa che andasse oltre il semplice richiamo superficiale e ideologico all’esistenza di contadini arretrati e ignoranti che non «volevano lasciarsi liberare» da quelle forze progressiste, le quali, invece, avevano colto l’irresistibile processo storico in corso. Certamente vi sono state eccezioni, come ben documenta Oscar Sanguinetti, il direttore dell’ISIN, nel saggio che precede la ristampa dell’opera di Giacomo Lumbroso (2), nel quale esamina la storiografia italiana sull’Insorgenza. Vorrei soltanto ricordare alcune di queste eccezioni fra le opere più recenti: quella di Zeffiro Ciuffoletti, che nel suo Stato senza nazione. Disegno di storia del Risorgimento e dell’unità d’Italia (3), del 1993, a proposito delle insorgenze scrive trattarsi di «grandioso fenomeno»(4), anche se poi ne fornisce un’interpretazione discutibile. Operazione analoga aveva compiuto, nel 1978, Carlo Capra in L’età rivoluzionaria e napoleonica in Italia. 1796-1815 (5), che pure attribuisce alle insorgenze un rilievo insolito nella storiografia italiana; a queste opere si può aggiungere il breve saggio di Antonino De Francesco, Ideologie e movimenti politici, del 1994, che pur nella sua brevità dedica un paragrafo al triennio antirivoluzionario (6). Pochi anche sono i tentativi — di diverso valore — di far uscire le insorgenze dall’oblio da parte di autori non allineati con le ideologie dominanti (7).
Bisognava perciò prendere atto che — a differenza di quanto per esempio è accaduto in Vandea nel corso più o meno dello stesso periodo di tempo — la memoria storica delle insorgenze non era stata trasmessa se non, sostanzialmente e maggioritariamente, attraverso una lettura fuorviante.
Ecco allora la scelta di un istituto storico, per coprire un vuoto storiografico e per riportare alla luce una serie di eventi custoditi solo nelle cronache mai pubblicate, o pubblicate solo localmente e oltretutto bisognose di essere raccordate fra loro e di essere interpretate.
Nasceva così la decisione di puntare soprattutto in due direzioni, quella dei convegni e delle conferenze, dove raccontare le vicende degli insorgenti nelle diverse regioni italiane, e in secondo luogo quella dei lavori scritti, sia storici che storiografici, in grado sia di descrivere che di «leggere» il significato delle insorgenze. Così tale lavoro è cominciato e qualcosa è stato fatto nel corso dei primi ventiquattro mesi di vita.
Ricordo i principali risultati.
Anzitutto la pubblicazione di una Guida introduttiva alle insorgenze contro-rivoluzionarie, scritta da Francesco Mario Agnoli (8), che ha certamente avuto il merito di anticipare con i suoi studi, soprattutto su Andreas Hofer (9) e sull’insorgenza di Lugo di Romagna (10), quanto l’ISIN ha cominciato nel novembre del 1995. In quest’opera viene data per la prima volta notizia della fondazione dell’ISIN, ed era il luogo più adatto, trattandosi appunto di un lavoro di carattere storiografico, cioè di uno studio che si preoccupa soprattutto di analizzare le ricerche fin qui pubblicate sulle insorgenze, e del perché hanno avuto sempre e soltanto certe impostazioni ideologiche.
3. L’opera di Agnoli era opportuna premessa al I Convegno promosso dall’ISIN, 1796-1996. Triennio giacobino, Insorgenze popolari e dominazione napoleonica in Italia. Dagli «albori» alla «riscoperta» dell’identità nazionale, tenutosi a Milano il 12 maggio 1996 (11). Si trattò di un convegno, appunto, introduttivo al problema, che si preoccupò non soltanto di ripetere la cronaca delle insurrezioni contro-rivoluzionarie del periodo fra il 1796 e il 1815, ma di inserirle nel contesto più ampio degli effetti della Rivoluzione francese in Italia, con particolare riferimento al Triennio Giacobino. Fu un convegno, inoltre, che esaminò gli effetti giuridici, cioè quelli più durevoli, della dominazione napoleonica nella Penisola, con particolare riferimento al Codice Civile napoleonico, temi trattati da due docenti, la professoressa Gigliola di Renzo Villata, dell’Università degli Studi di Milano, e il professor Adriano Cavanna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Un convegno, infine, che non volle dimenticare l’attualità, e in particolare la polemica culturale già allora in corso sul concetto di nazione e di crisi o addirittura di «morte della patria». Così le insorgenze vennero colte da Giovanni Cantoni — con riferimento agli studi del professor Mario Albertini — come espressione di una «nazionalità spontanea» preesistente all’unificazione politica, conferma che l’unità di una nazione nasce dall’adesione popolare a un insieme di princìpi, a una comune tradizione, a un diritto accettato come norma della convivenza della comunità, a un destino da affrontare insieme, non dall’imposizione violenta da parte di uno Stato, magari contro la storia e contro la tradizione dei popoli che si vollero unificare.
Il convegno di Milano fu un grande successo di interesse e di pubblico e favorì una serie di conferenze che, in qualche modo, ne costituirono e ne dilatarono l’eco. Questo fu uno dei risultati più importanti dell’inizio della nostra attività e ricordo e ringrazio i collaboratori dell’ISIN che con le loro conferenze hanno cominciato a «proporre» una diversa interpretazione della storia italiana, come Marco Albera in Piemonte, Paolo Martinucci in Valtellina, Luca De Pero nelle valli bresciane, e così tutti gli altri.
4. Dopo il I Convegno dell’ ISIN altri due avvenimenti editoriali portavano un reale contributo alla conoscenza delle insorgenze e del loro significato: la pubblicazione di un volume sulle insorgenze in Lombardia, edito da Cristianità, scritto dal direttore dell’ISIN, Oscar Sanguinetti (12), e quella di un’opera sulle insorgenze nelle Marche, frutto della ricerca di Sandro Petrucci (13), collaboratore dell’ISIN.
Si tratta in entrambi i casi di lavori esemplari per chi vorrà continuare a operare in questa direzione: soprattutto l’apparato scientifico che accompagna tali opere, accurato ed esteso, se da una parte le rende di più ardua lettura, dall’altra è indispensabile in questa prima fase di «riscoperta» delle insorgenze, per fondarne la credibilità presso gli ambienti intellettuali, dominati da un pregiudizio sfavorevole verso il fenomeno; d’altra parte, verranno più avanti le occasioni per opere divulgative sul tema, che peraltro non potrebbero neppure vedere la luce senza un adeguato e arduo lavoro previo di buon livello scientifico.
Ma altri lavori sono stati prodotti: la ristampa anastatica dell’importante opera di Alfonso Lazzari sull’insorgenza di Lugo di Romagna, con un saggio bio-bibliografico sempre di Oscar Sanguinetti (14), e la ristampa già ricordata de I moti popolari contro i francesi dello storico nazionalista Giacomo Lumbroso, la prima opera d’insieme sulle insorgenze, pubblicata negli anni 1930 — con una chiave di lettura che fa di esse l’anticipazione del nazionalismo risorgimentale —, sempre curata da Oscar Sanguinetti e pubblicata dall’editore Maurizio Minchella di Milano.
5. Quando fondammo l’ISIN, nel novembre del 1995, pensavamo soprattutto al periodo relativo al Triennio Giacobino e alle insorgenze che dal 1796 al 1799 si svilupparono in tutta Italia. Sapevamo che ci avrebbe atteso il difficile compito di «superare» un’opinione diffusa da storici famosi, secondo la quale le insorgenze furono episodi sostanzialmente marginali nella vita delle popolazioni italiane. Questa tesi spiegherebbe l’assenza di un capitolo sulla storia delle insorgenze in quasi tutte le storie d’Italia, la totale assenza nei manuali scolastici e quindi la sostanziale ignoranza del fenomeno da parte dell’opinione pubblica.
Eravamo consapevoli soprattutto di un problema, che ci faceva sembrare estremamente attuale il compito che l’ISIN avrebbe potuto svolgere, ma che indubbiamente costituiva un’occasione di fraintendimenti nei rapporti con molti ambienti culturali e politici. Questo problema può essere così enunciato: le insorgenze anticiparono il processo di unificazione della penisola, secondo l’interpretazione degli storici nazionalisti come Giacomo Lumbroso e Niccolò Rodolico (14), e quindi furono in qualche modo assimilabili al futuro Risorgimento? Oppure furono un fenomeno reazionario e legittimista, chiaramente espresso nei tributi che gli insorgenti riservarono all’imperatore d’Austria e ai legittimi sovrani dei diversi Stati italiani? Oppure, ancora, furono un fenomeno che manifestò l’esistenza di un comune sentire da parte di popolazioni diverse, unite soprattutto dall’affermazione pubblica di una comune identità religiosa, e quindi rappresentarono un fenomeno certamente ostile all’ideologia con la quale Napoleone voleva unire gli italiani, ma non per questo necessariamente contrario ad altre possibili ipotesi di unificazione politica della penisola?
Il problema non era di poco conto, sia per l’interpretazione della storia italiana, sia perché un aspetto — quello relativo alla forma dello Stato, centralista o federalista — del «peccato originale» della storia dell’Italia unita era ormai venuto alla luce, quando l’ISIN cominciava le sue attività, in seguito all’incremento del fenomeno leghista.
E così, in qualche modo, il problema degli insorgenti assomigliava al problema che ci trovavamo di fronte quando cominciammo a occuparci delle insorgenze: era possibile essere e sentirsi italiani, cioè appartenenti a una comunità con una vocazione e un destino comuni, senza per questo riconoscersi nel modo e nelle ideologie che, in concreto, hanno unificato l’Italia e cercato di «fare gli italiani»?
La domanda è piena di significato soprattutto e proprio oggi, in una data, domenica 26 ottobre 1997, in cui si tengono le cosiddette elezioni padane. È una domanda alla quale non si può sfuggire, perché ormai qualcosa si è «rotto» nel meccanismo interpretativo della storia nazionale che è stato egemone negli ultimi cinquant’anni.
Non sono in grado di fornire una valutazione in termini di espressione di consenso, ma certamente i titoli dei libri che ora indicherò sollevano un problema che soltanto qualche anno fa non era percepito quasi a nessun livello: Aurelio Lepre, Italia addio? Unità e disunità dal 1860 a oggi, del 1994 (15); Sergio Romano, Finis Italiae. Declino e morte dell’ideologia risorgimentale, del 1995 (16); Sergio Salvi, L’ Italia non esiste, del 1996 (17); e Piero Bassetti, L’Italia si è rotta? Un federalismo per l’Europa, del 1996 (18). Si tratta di studi anticipati dalle opere di Mario Costa Cardol, Venga a Napoli signor conte. Storia poco nota del nostro Risorgimento, del 1986 (19), e Ingovernabili da Torino. I tormentati esordi dell’Unità d’ Italia, del 1989 (20); e alle quali si possono aggiungere quelle più conosciute di Ernesto Galli della Loggia, La morte della patria. La crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica, del 1996 (21); di Emilio Gentile, La grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, del 1997 (22); e di Franco Ferrarotti, L’Italia tra storia e memoria. Appartenenza e identità, pure del 1997 (23). Gli autori sono tutti lontanissimi dalla Lega Nord per l’ Indipendenza della Padania, e altri se ne potrebbero aggiungere, fra i quali quelli d’impostazione leghista, come Gilberto Oneto, L’invenzione della Padania. La rinascita della comunità più antica d’Europa, del 1997 (24).
6. La storia, terribile vendicatrice di quanto è stato realizzato contro la verità e contro la giustizia, comincia a lasciar trasparire «fatti» sconosciuti e interpretazioni inedite del processo di unificazione politica dell’Italia, al punto che, attualmente, si rischia la «cattura» di questo «malessere» da parte di qualcuno non intenzionato a curare, ma a esasperare i contrasti e a dividere invece che a unire.
Anche da tali interrogativi nasce il convegno di oggi. Un convegno «difficile», su un tema delicato quale è quello dell’identità nazionale, che non tollera di essere affrontato con stile da tifoseria calcistica e che non verrà certamente risolto in qualche ora.
Il convegno lega fra loro temi apparentemente lontani, come le insorgenze nell’Italia Centrale durante il Triennio Giacobino e le problematiche culturali relative al concetto di «nazionalità spontanea» e a quello di «morte della patria». In realtà, non si tratta di temi così lontani fra loro come potrebbe sembrare a prima vista, ma esprimono un’unica domanda oggi posta da quanti hanno a cuore le sorti della nostra civiltà: esistono motivi ideali e interessi comuni che uniscono gli italiani? E, se sì, quali sono e all’interno di quale storia possono essere cercati e trovati?
A questa domanda non poteva sottrarsi un Istituto che si occupa di storia e in particolare di storia delle insorgenze, perché queste si sono realizzate in concomitanza con l’inizio del processo rivoluzionario, che prima ha costruito lo Stato nazionale e poi ha cercato di «fare gli italiani» secondo un progetto ideologico ispirato dalla minoranza al potere. Al punto che oggi capita addirittura di vedere la Triplice Sindacale scendere nelle piazze d’Italia «avvolta» nel tricolore alla disperata ricerca di un’identità nazionale e per mantenere il potere acquisito in cinquant’anni, spesi principalmente al servizio di un’ideologia internazionalista.
Che l’Insorgenza avesse le caratteristiche per far «saltare» i rigidi schemi interpretativi della storia italiana lo hanno mostrato le sirene dell’azionismo e della sinistra post-comunista, cioè i professori Giuseppe Galasso e Paolo Flores d’Arcais, che sulle pagine del Corriere della Sera, nel novembre del 1996 (25), hanno messo in guardia la classe intellettuale dominante dal pericolo che l’Insorgenza italiana potesse uscire dalle pieghe della storia ed essere raccontata nella sua cruda realtà, perché allora bisognerebbe trovare una risposta al fatto che circa sessantamila italiani, fra combattenti e popolazione civile, sono caduti difendendo «qualcosa» dalla «proposta liberatrice» di Napoleone (26).
Nell’attuale contesto culturale, dunque, l’ISIN non deve soltanto rievocare le insorgenze, ricordandone la portata attraverso indagini locali che mettano in luce il numero delle sollevazioni popolari e il coinvolgimento delle popolazioni, ma deve anche far risaltare come, proprio in occasione delle insorgenze, gli italiani manifestarono di essere una nazione, rifiutando quanto l’esercito invasore proveniente dalla Francia rivoluzionaria imponeva loro, non solo perché straniero ma soprattutto perché portatore di una concezione del mondo contraria alle radici religiose, culturali e politiche delle popolazioni italiane.
Dunque, la domanda che bisogna porre è se duecento anni fa esisteva una comune identità che univa gli italiani senza che vi fosse un’unità politico-istituzionale, e se questa esperienza possa dimostrare come l’essere nazione non comporti necessariamente l’unità politica, ma contempli la possibilità di diverse soluzioni istituzionali. Questa comune identità, peraltro, non avrebbe spregiato un’unificazione politica che esprimesse meglio l’unità culturale (27).
Occuparsi di questi temi non significa per l’ISIN entrare in un ambito specificatamente politico, non proprio a un istituto storico, ma operare per mettere in evidenza e far conoscere quelle premesse storiche e culturali senza le quali ogni decisione politica è priva della virtù della prudenza. Significa, in particolare, iniziare una lunga strada per cercare la verità sul legame, in Italia, fra Stato e nascita del senso nazionale, che molti autori, come Ernesto Galli della Loggia, legano fra loro: «In Italia, infatti, la nazione — come si sa — lungi dal preesistere allo Stato ne è stata, invece, piuttosto una creatura, quasi un effetto derivato. Nella nostra storia l’ esistenza della nazione è indissolubilmente legata all’esistenza dello Stato (nazionale), sicché, da un punto di vista storico, il concetto e il sentimento di patria costituiscono precisamente il riflesso ideologico-emotivo di questo intreccio» (28). Al contrario, crediamo che l’Italia fosse una molto prima dell’unificazione politica, e che oggi sia molto meno «unita» di allora, perché priva di quel «comune sentire» nei valori fondamentali che costituisce premessa indispensabile all’unità di un popolo.
Marco Invernizzi
Note:
(1) Cfr. GIOVANNI CANTONI, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio introduttivo a PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 7-50, soprattutto pp. 12-14 (1a ed. del saggio introduttivo, 1972; dell’opera in italiano, 1964).
(2) Cfr. OSCAR SANGUINETTI, Premessa a GIACOMO LUMBROSO, I moti popolari contro i francesi alla fine del secolo XVIII (1796- 1800), Minchella, Milano 1997, pp. 5-28.
(3) Cfr. ZEFFIRO CIUFFOLETTI, Stato senza nazione. Disegno di storia del Risorgimento e dell’unità d’Italia, Morano, Napoli 1993.
(4) Ibid., p. 34.
(5) Cfr. CARLO CAPRA, L’età rivoluzionaria e napoleonica in Italia. 1796-1815, Loescher, Torino 1978.
(6) Cfr. ANTONINO DE FRANCESCO, Ideologie e movimenti politici, in GIOV ANNI SABBATUCCI e VITTORIO VIDOTTO (a cura di), Storia d’Italia. 1. Le premesse dell’unità dalla fine del Settecento al 1861, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 229-336.
(7) Cfr. FRANCESCO LEONI, Storia della controrivoluzione in Italia (1789-1859), Guida, Napoli 1975; ISABELLA RAUTI, Campane a martello. La «Vandea italiana»: le insorgenze contadine antifrancesi nell’Italia centrale (1796-1799), Marzorati, Milano 1989; A A . VV., Le insorgenze antifrancesi in Italia nel triennio giacobino (1796-1799), Editrice APES, Roma 1992; e MASSIMO VIGLIONE, La «Vandea italiana». Le insorgenze controrivoluzionarie dalle origini al 1814, Effedieffe, Milano 1995.
(8) Cfr. FRANCESCO MARIO AGNOLI, Guida introduttiva alle insorgenze contro-rivoluzionarie in Italia durante il dominio napoleonico (1796-1815), con una mia introduzione, Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1996.
(9) Cfr. IDEM, Andreas Hofer eroe cristiano (racconto storico), con una prefazione di Marco Tangheroni, Res Editrice, Milano 1979.
(10) Cfr. IDEM, Gli insorgenti, Il Cerchio, Rimini 1993 (1a ed., Reverdito, Trento 1988).
(11) Cfr. O. SANGUINETTI, «1796-1996.Triennio giacobino, Insorgenze popolari e dominazione napoleonica in Italia. Dagli “albori” alla “riscoperta” dell’ identità nazionale», in Cristianità, anno XXIV, n. 254-255, giugno-luglio 1996, pp. 21-23.
(12) Cfr. IDEM, Le insorgenze contro-rivoluzionarie in Lombardia nel primo anno della dominazione napoleonica. 1796, con una prefazione di M. Tangheroni, Cristianità, Piacenza 1996.
(13) Cfr. SANDRO PETRUCCI, Insorgenti marchigiani. Il Trattato di Tolentino e i moti antifrancesi del 1797, con una prefazione di M. Tangheroni, SICO, Macerata 1996.
(14) Cfr. ALFONSO LAZZARI, La sommossa e il sacco di Lugo nel 1796, seconda ristampa a cura della Fondazione Cassa di Risparmio e Banca del Monte di Lugo, con una presentazione di Gian Luigi Facchini, con una prefazione di F. M. Agnoli e con una premessa alla terza edizione di O. Sanguinetti, Edit Faenza, Faenza (Bologna) 1996.
(14) Cfr. NICCOLÒ RODOLICO, Il popolo agli inizi del Risorgimento nell’Italia Meridionale. 1796-1801, Le Monnier, Firenze 1925; e IDEM, Storia degli italiani dall’Italia del Mille all’Italia del Piave, Sansoni, Firenze 1964.
(15) Cfr. AURELIO LEPRE, Italia addio? Unità e disunità dal 1860 a oggi, Mondadori, Milano 1994.
(16) Cfr. SERGIO ROMANO, Finis Italiae. Declino e morte dell’ideologia risorgimentale, 2a ed., All’insegna del pesce d’oro di Vanni Scheiwiller, Milano 1995.
(17) Cfr. SERGIO SALVI, L’Italia non esiste, Camunia, Firenze 1996.
(18 ) Cfr. PIERO BASSETTI, L’Italia si è rotta? Un federalismo per l’Europa, Laterza, Roma-Bari 1996.
(19) Cfr. MARIO COSTA CARDOL, Venga a Napoli signor conte. Storia poco nota del nostro Risorgimento, Mursia, Milano 1986.
(20) Cfr. IDEM, Ingovernabili da Torino. I tormentati esordi dell’Unità d’Italia, Mursia, Milano 1989.
(21) Cfr. ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA, La morte della patria. La crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica, Laterza, Roma-Bari 1996.
(22) Cfr. EMILIO GENTILE, La grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Mondadori, Milano 1997.
(23 ) Cfr. FRANCO FERRAROTTI, L’Italia tra storia e memoria. Appartenenza e identità, Donzelli, Roma 1997.
(24) Cfr.GILBERTO ONETO, L’invenzione della Padania. La rinascita della comunità più antica d’Europa, Foedus Editore, Bergamo 1997.
(25) Cfr. Corriere della Sera, 29-11-1996; e ISIN. ISTITUTO PER LA STORIA DELLE INSORGENZE, Perché l’attenzione all’Insorgenza, comunicato stampa, del 2-12-1996, in Cristianità, anno XXIV, n. 260, dicembre 1996, p. 6.
(26) L’informazione — che fa assumere al fenomeno dell’Insorgenza uno spessore quantitativo straordinario se confrontata con la popolazione dell’epoca, valutata nel 1750 in 15 milioni e mezzo di abitanti e nel 1800 in 18 milioni (cfr. ATHOS BELLETTINI, La popolazione italiana. Un profilo storico, a cura di Franco Tassinari, con una introduzione di Marino Berengo, Einaudi, Torino 1987, tabella I, p. 14), e con le vittime, per esempio, del periodo risorgimentale — è stata indicata da uno dei comandanti francesi dei corpi di repressione a Napoli e nel Meridione d’Italia ed è stata fornita all’inizio del 1799, quando molte insorgenze non si erano ancora verificate: cfr. GENERALE PAUL-CHARLES THIÉBAULT, Memoires du Général Baron Thiébault publiées sous les auspices de sa fille Claire Thiébault d’après le manuscript original par Fernand Calmettes, Parigi 1893-1895, vol. II, p. 325.
(27) In questo senso può essere letto una specie di manifesto-proclama circolante nel 1797 in Toscana, nel quale s’invitano espressamente gli italiani a prendere le armi contro «la traditrice libertà di Francia», nel nome «della virtude antica» (in G. LUMBROSO, op.cit., p. 208).
(28) E. GALLI DELLA LOGGIA, op. cit., p. 5.