Giovanni Cantoni, Cristianità n. 271-272 (1997)
Articolo anticipato, senza note e con il titolo redazionale Un governo tecnico per entrare nell’Euro?, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLVI, n. 239, 11-10-1997, p. 7.
Dall’Operazione Alba all’Operazione Euro?
Comincio descrivendo un quadro epocale, per il quale dipendo totalmente da una straordinaria intervista-conversazione fra il giornalista Gianni Pasquarelli, ex direttore generale della RAI, e il professor Paolo Savona, ordinario di Economia Monetaria nell’università di Perugia, ex ministro dell’Industria nel Governo Ciampi, L’occupazione e il terzo capitalismo. Lavoro, finanza, tecnologia nell’era del mercato globale, edito nel marzo del 1997 (1).
Sembra — ed è certamente — in questione la crisi dello Stato sociale. Essa ha due volti: il primo connesso con il suo costo eccessivo rispetto al reddito nazionale, il secondo con l’inefficienza della pubblica amministrazione e con gli abusi perpetrati, sì che — secondo una felice proposta di Pasquarelli —, piuttosto che di Stato sociale, si dovrebbe parlare di «Stato assistenziale fondato sui debiti» (p. 20). «È talmente vero — nota lo stesso giornalista — […] che quel benessere di ieri, fondato sui debiti, sta oggi venendo al pettine perché i debiti presto o tardi si debbono pagare. E gli italiani li stanno salatamente pagando perché […] sono loro stessi lo Stato, e guai a illudersi che lo Stato sia un’entità che non ci riguarda: arriverebbe prestissimo un’amara delusione» (p. 21).
Ma sembra — ed è certamente — in questione anche l’Europa di Maastricht, a proposito della quale il professor Savona nota che «il capitalismo italiano si sta facendo trascinare troppo dal carro del capitalismo mondiale, ma è anche chiaro che non può restarne fuori» (p. 106): «Il tipo di Europa che ci viene proposto — sentenzia il cattedratico di Perugia — finirà per usare la disoccupazione come unico e prevalente strumento di aggiustamento della competizione internazionale, oppure comprimerà lo Stato sociale e il livello delle retribuzioni, per regalarci una “bella” democrazia finanziaria» (pp. 105-106).
In questa congiuntura tutt’altro che felice, quanti si propongono di regalarci una bella democrazia finanziaria trovano alleati oggettivi nei nostalgici dello Stato sociale, i primi e i secondi ignorando o trascurando o contrastando ogni ipotesi che tenga conto della necessità:
1. anzitutto di riformare il Welfare State prima che i danni da esso prodotti abbiano un incremento ulteriore e cresca il debito della società;
2. poi di affrontare in prospettiva il problema della disoccupazione in una società che si va rapidamente informatizzando, dal momento che — osserva sempre il professor Savona — «la perdita di fiducia nel futuro, che si traduce in un’ insoddisfazione diffusa della gente verso lo Stato, verso la politica e verso la classe dirigente, ha come motivazione centrale il timore della disoccupazione e la sensazione che la politica non sappia affrontarla. Non è soltanto un problema di sopravvivenza materiale per una società democraticamente organizzata: disoccupazione di massa e metodo democratico non possono coesistere a lungo» (p. 52);
3. finalmente, di contrastare politicamente — ma la lotta potrebbe essere intrapresa non a livello di un solo paese, ma attraverso accordi internazionali — i tesorieri della finanza mondiale, che finisce per esautorare e svuotare il metodo della democrazia, tenendo ben presente che — la descrizione è ancora del professor Savona — «esiste una finanza ancella dello sviluppo, che, attraverso il credito all’attività produttiva nelle sue forme tradizionali e in quelle nuove […], sostiene la produzione, contiene i rischi e incrementa lo sviluppo reale, permettendo anche un buon funzionamento dello Stato sociale con le risorse che crea e con l’accogliere nei suoi bilanci parte dell’offerta di titoli pubblici. Ma esiste anche un’altra finanza con caratteristiche parassitarie che gestisce attività e passività finanziarie di vecchia e di nuova concezione non aventi alcun legame con il mondo della produzione. La sua azione è di tipo esclusivamente speculativo e non di rado è destabilizzante dei tassi d’interesse e dei rapporti di cambio, con conseguenze negative e acceleratrici della dinamica inflazionistica» (p. 38). Se l’espressione «poteri forti», dei quali è stata ed è talora questione nel discorso politico italiano, viene assunta con un significato neutro, indica per certo entrambe le finanze descritte; se con significato negativo e prevaricatore della vita politica, è con ogni evidenza equivalente al secondo tipo di finanza, quella con caratteristiche parassitarie e senza alcun legame con la produzione. In altri termini, si tratta di quella finanza a proposito della quale Pasquarelli cita Hans Tietmeyer che, qualche mese fa, dichiarava: «Siamo di fronte a una democrazia finanziaria nella quale non saranno più i politici ma i finanzieri a decidere. Alle banche centrali non resta, almeno per ora, che venire a patti con il diavolo, cercare cioè di convincere i mercati che le politiche che si attuano sono credibili e solide» (p. 115). «Almeno per ora», notava il presidente della Bundesbank; cioè almeno fino a quando — secondo il professor Savona — non si costituirà un fronte fra le banche centrali e forze politiche di più Stati.
Se il quadro tracciato con l’aiuto di due esperti — evidentemente non responsabili dei miei eventuali fraintendimenti del loro pensiero e della mia necessità di condensare — ha qualche fondatezza nelle cose, al suo interno trova una verosimile spiegazione la «crisi più pazza del mondo», com’è stata definita la pendente crisi politica che coinvolge il Governo Prodi. Infatti, una classe politica costretta a espressioni di basso profilo e una finanza nazionale sulla difensiva — nonché entrambe le realtà evocate schierate in ordine sparso di fronte alla finanza internazionale — avviano i popoli europei verso orizzonti non entusiasmanti, connotati soprattutto dal fenomeno della disoccupazione, il cui carattere di massa potrebbe favorire il crollo dei regimi democratici e l’instaurazione di strutture politiche — forse, meglio dal punto di vista definitorio, peggio da quello sostanziale, amministrative — rigide e fiscali, conservatrici dello status quo, se non addirittura — se possibile — tali da peggiorarlo. Mentre lo status quo può essere superato solo sulla base di autentici e radicati presupposti di libertà.
Chi si propone la realizzazione della deriva negativa descritta, o è a essa indifferente, opera la costante umiliazione della politica — dopo il crollo da Lega Nord del Governo Berlusconi, ecco il crollo da Partito della Rifondazione Comunista del Governo Prodi — e la sostanziale reiterazione della richiesta di copertura globale del proprio progetto da parte di tutto l’arco delle forze partitiche, con esclusione delle ali, usate solo a scopo di disturbo, a un nuovo governo di tecnici. In questo modo l’intera classe politica viene corresponsabilizzata agli occhi dell’elettorato relativamente alla situazione che si potrebbe venir a creare in un prossimo futuro, rendendo tale classe politica inetta, in quanto provatamente inaffidabile, a guidare qualsiasi ipotesi reattiva. Quindi — contro le certezze di qualcuno secondo cui non vi sarebbe stata crisi, perché si trattava di una sceneggiata se non di una faida fra i due spezzoni del partito comunista —, mi pare credibile l’eventualità di una crisi senza elezioni anticipate, ma con un nuovo governo inteso, in grande, a realizzare l’Operazione Euro[pa], della quale — con ogni evidenza — è stato test in piccolo l’Operazione Alba[nia].
En passant, è impossibile non notare la presenza del ministro del Tesoro e, ad interim, del Bilancio Carlo Azeglio Ciampi alla riunione dei leader dell’Ulivo il 7 ottobre (2) e l’incontro del ministro delle Poste e Telecomunicazioni Antonio Maccanico con il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro l’8 ottobre (3). Né trascurare l’opinione espressa il 9 ottobre dal dottor Giorgio Redaelli, capoeconomista della Lehman Brothers, secondo cui «la speranza del mercato è che si arrivi prima possibile alla designazione di un primo ministro del calibro di Ciampi, o anche come il commissario Mario Monti, che avrebbe il vantaggio di essere super partes» (4). «Se nel giro di due o tre settimane si arrivasse alla nomina di un governo tecnico — aggiunge il funzionario della più vecchia banca d’investimenti negli Stati Uniti d’America — paradossalmente si potrebbe riuscire a trovare i voti per approvare una finanziaria ancora più severa dell’attuale. Un governo tecnico d’alto livello controbilancerebbe la perdita di credibilità che questa crisi provoca nella considerazione dei “nemici” dell’Italia nell’Euro» (5).
Comunque — sia ben chiaro — per parte mia non intendo criticare tardivamente il comportamento tenuto dal Polo per le Libertà a proposito dell’Operazione Alba, né anticipatamente quello che eventualmente terrà a fronte di un nuovo governo di tecnici. Né intendo minimizzare quanto ottenuto dallo stesso Polo, almeno in potenza, in sede di Commissione Bicamerale. Intendo solamente ipotizzare uno scenario la consapevolezza del quale — qualora avesse a realizzarsi —, se non può impedire di piegarsi al momento ai fatti, può costituire una fra le tante premesse — e forse non la minore — per costruire altri fatti, fatti diversi, in un domani che incombe: «Pagato il conto dell’ingresso a pieno titolo in Europa — nota ancora il professor Savona —, mi auguro che l’Italia si faccia portatrice non solo delle istanze di buongoverno e di sana gestione, ma anche delle speranze dei cittadini, se ha capito la lezione della storia. Altrimenti questa “si vendicherà”» (p. 106).
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Cfr. PAOLO SA VONA, La disoccupazione e il terzo capitalismo. Lavoro, finanza, tecnologia nell’era del mercato globale. Intervista di Gianni Pasquarelli, Sperling & Kupfer, Milano 1997. Tutte le citazioni senza rimando sono tratte da quest’opera, la cui paginazione è stata lasciata nel testo, fra parentesi.
(2) Cfr. Governo: in corso vertice leader maggioranza da Prodi, dispaccio Adnkronos, 7-10-1997.
(3) Cfr. Quirinale: Scalfaro riceve Maccanico, dispaccio Adnkronos, 8-10-1997.
(4) Cfr. Crisi: la City spera in un Governo Ciampi o Monti, dispaccio Adnkronos, 9-10- 1997.
(5) Ibidem.