Giovanni Cantoni, Cristianità n. 270 (1997)
Articolo parzialmente anticipato, senza note e con il titolo redazionale Chiesa contro modernità?, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLVI, n. 193, 19-8-1997, p. 14.
Cattolicesimo e modernità: l’«esempio della Svizzera»
Urs Altermatt, svizzero, nato nel 1942 a Biberist, nel Cantone di Soletta, dal 1980 è professore di Storia Contemporanea all’università di Friburgo — l’ateneo fondato dai cattolici elvetici nel 1889 per far fronte anche sul piano culturale agli atenei di orientamento protestante — dopo aver insegnato all’università di Berna dal 1973 al 1980. Professore ospite a Cracovia nel 1991 e a Budapest nel 1992, ha compiuto ricerche al Collegium Budapest nel 1994 e nel 1995, quindi alla Harvard University, negli Stati Uniti d’America, nel 1996 e nel 1997. È membro del consiglio di fondazione di Pro Helvetia del Landesmuseum di Svitto Forum der Schweizer Geschichte, redattore responsabile di riviste, fra le quali la Zeitschrift für Schweizerische Kirchengeschichte, la «Rivista di storia della Chiesa svizzera», e dal 1987 dirige la collana delle edizioni universitarie di Friburgo Religion-Politik-Gesellschaft in der Schweiz, «Religione-Politica-Società in Svizzera». Internazionalmente noto grazie alle sue pubblicazioni di carattere storico-sociale, in Svizzera è conosciuto soprattutto come curatore di un dizionario biografico dei consiglieri federali (7). Autore di numerosi studi, fra i suoi titoli editi in volume ricordo le ricerche sulla nascita delle organizzazioni popolari nel cattolicesimo elvetico dal 1848 al 1919 (8), sulla storia sociale e della mentalità dei cattolici svizzeri nei secoli XIX e XX (9), e sull’etnonazionalismo in Europa (10); con Hanspeter Kriesi ha curato una ricerca sull’estremismo di destra in Svizzera (11).
Questa cospicua produzione è stata completamente preclusa ai lettori di lingua italiana fino al 1996, quando ha visto finalmente la luce appunto in italiano a Locarno, in Svizzera, per i tipi dell’editore Armando Dadò, lo studio Cattolicesimo e mondo moderno (12), traduzione a opera di Emanuele Bernasconi di Katholizismus und Moderne. Zur Sozialund Mentalitätsgeschichte der Schweizer Katholiken in 19. und 20. Jahrhundert, pubblicata dopo quelle in francese (13), in polacco (14) e in ungherese (15), e impreziosito da settantaquattro illustrazioni fuori testo della vita religiosa ticinese dagli anni 1880 al 1984.
«La tematica fondamentale — scrive l’autore nellaPrefazione all’edizione in italiano (pp. 7-8) — ruota attorno alla domanda se e in quale misura il cattolicesimo e la società moderna stanno in rapporto di contrapposizione. In secondo luogo si vuol stabilire fino a che punto il cattolicesimo dell’Europa occidentale tra il 1850 e il 1950 rappresenta una “società-contro”. Nel corso del XIX secolo si consolidò il milieu cattolico, che caratterizzò la vita quotidiana dei cattolici in paesi come la Svizzera, la Germania, l’ Olanda, il Belgio, ecc.» (p. 7). Quindi, esponendo nell’Introduzione (pp. 9-16) le Finalità dell’opera (p. 13), afferma programmaticamente: «Affronteremo tutti questi interrogativi ed altri sull’esempio della Svizzera. Molti problemi rimarranno aperti in quanto numerosi sono i settori della vita religiosa che si sottraggono alla disamina razionalistica dello storico. Il rapporto tra Chiesa, cattolicesimo e modernità, ricco di tensioni, sarà oggetto della nostra analisi, ma la sua soluzione è ben lungi dall’essere a portata di mano. Dovrò limitarmi a chiarire e a mettere in discussione alcune dimensioni della storia sociale e della mentalità cattoliche nel contesto dello sviluppo moderno» (p. 13).
Almeno a causa della mole dell’opera si pone inevitabilmente il quesito: «Quale l’interesse dell’“esempio della Svizzera” per il “non specialista” o per il “non svizzero”»? «La Svizzera — risponde Altermatt — è sotto molti aspetti un prototipo della società industriale moderna, pluralistica e democratica — pensiamo alla sua industrializzazione relativamente precoce, alla sua società pluriculturale con lingue e confessioni diverse ed anche alla sua lunga tradizione democratica; di conseguenza, questa analisi può essere di qualche interesse anche per altri paesi industrializzati del mondo occidentale. I risultati e le ipotesi colti sull’esempio svizzero possono così venir traslati, mutatis mutandis, a paesi quali la Germania e l’Olanda» (p. 13).
Venendo finalmente — e sinteticamente — ai propositi metodologici, lo storico svizzero scrive: «Innumerevoli sono le fonti e i documenti contemporanei, scelti soprattutto fra le testimonianze di vita quotidiana, affinché il quadro che ne risulta sia il più concreto possibile. Lo storico sceglie i materiali, li ordina e li collega in un insieme. Egli non è sottoposto, come il sociologo, all’obbligo di produrre un modello logico. La storia indaga la vita e la vita è piena di contraddizioni. Constatazione che non dispensa lo storico dal difficile compito di fare ordine nel disordine, di elaborare strutture e processi dell’evento storico al fine di una sua migliore comprensione. In tal senso l’opera si inserisce nella tradizione storiografica sociologicamente orientata» (p. 13). Cattolicesimo e mondo moderno — l’immediata messa a fuoco del tema sarebbe stata non poco favorita dall’uso del titolo originale, «Cattolicesimo e modernità», e dalla conservazione del sottotitolo, «Per una storia sociale e della mentalità dei cattolici svizzeri nel secolo XIX e XX» — costituisce dunque consapevole espressione di quella «tradizione socio-storica» secondo la quale — come scrive puntualmente Carlo Prandi —, «se la sociologia è (anche) la scienza delle “relative invarianze” nelle dinamiche delle società umane, essa propone alla storia dei modelli e dei tipi che, in qualche misura, a quelle “relative invarianze” fanno riferimento» (16), a soddisfacimento, «[…] almeno in linea di principio, [del]l’ esigenza imprescindibile, pur se implicita, di ricorrere a leggi o a modelli, senza di cui la storia si ridurrebbe a fiction» (17).
I propositi metodologici sono ripresi da Altermatt e più ampiamente esposti nel primo capitolo — Per una storia sociale del cattolicesimo (pp. 19-70) —, che fa anche stato della storiografia svizzera in tema di «mondo cattolico». Segue quindi il corpo dello studio, che si articola in cinque capitoli: La società cattolica separata: identità ed emancipazione (pp. 71-139), La lotta del cattolicesimo contro lo spirito del tempo (pp. 141-171), Regioni tradizionalmente cattoliche e diaspora (pp. 173-243), La quotidianità cattolica (pp. 245-283) e Dal cattolicesimo unanime a una Chiesa divisa (pp. 285-318); conclude l’opera un capitolo dedicato alla Svizzera italiana, scritto appositamente appunto per l’edizione in italiano: Il Ticino fra elvetismo e ticinesismo (pp. 319-345). Chiude il volume un’Appendice (pp. 347-419) che comprende Note (pp. 349-394), Tabelle (pp. 395-398), Cartine (pp. 399-401), Bibliografia (pp. 403-411), Indice dei nomi di persona (pp. 413-416) e Indice dei toponimi (pp. 417-419).
Dunque, la materia della ricerca è costituita dal mondo cattolico svizzero dalla fine della Vecchia Confederazione, dopo la Rivoluzione elvetica del 1798, al 1975, anno di chiusura del Sinodo nazionale aperto nel 1972. E «la storia del cattolicesimo svizzero in seno allo Stato federale è la storia di un conflitto ideologico e confessionale fra minoranze. Nel XIX e in parte del XX secolo, la minoranza cattolica conservatrice si trovò di fronte al difficile compito di doversi adattare alla società controllata da una maggioranza liberale, senza peraltro dovervi alienare la propria identità culturale. Inoltre, i cattolici dovevano conquistarsi quella fetta di potere di cui erano stati privati dalla stessa maggioranza liberale» (p. 97). Così, «i cattolici tradizionalisti, al fine di tutelare la propria identità in una società diversa e ostile e raggiungere quell’emancipazione politica in uno Stato che li discriminava, si isolarono in una società separata. Quest’ultima costituiva una barriera contro la pressione del mondo circostante e serviva loro quale bastione politico per far valere, quale forza sociale, i loro interessi in seno allo Stato federale» (p. 97).
«Quando parliamo di situazione di minoranza — precisa Altermatt — non intendiamo tanto un rapporto numerico quanto piuttosto una inferiorità sociologica dei cattolici rispetto ai protestanti. Determinante era il peso sociale, economico e politico. Verso la metà del XIX secolo, la stragrande maggioranza dei cattolici viveva in campagna o nelle piccole città. Le regioni cattoliche erano centrate sul lavoro agrario e artigianale, poco industrializzate e urbanizzate. Tutti gli istituti superiori, le università, le accademie, ad eccezione dei seminari, si trovavano nella Svizzera protestante» (p. 98).
«È opportuno sottolineare che queste debolezze strutturali del cattolicesimo svizzero sono state acutizzate [nell’arco di tempo che va dal 1798 al 1975] da alcuni avvenimenti storici. Nella guerra civile del 1847, passata alla storia come guerra del Sonderbund, la Lega separata dei sette cantoni cattolici conservatori: Lucerna, Friburgo, Uri, Svitto, Untervaldo (Obervaldo e Nidvaldo), Zugo e Vallese, i cattolici subirono una sconfitta militare e politica. Essa aggravò la posizione minoritaria della popolazione cattolica conservatrice» (p. 98). Infatti, la guerra del Sonderbund non fu una guerra semplicemente confessionale come quelle del 1529, del 1531, del 1656 e del 1712: «La guerra fu solo in superficie un conflitto confessionale; nel profondo, si celava la conflittualità fra tradizione e modernità, tra città e campagna, tra periferia e centro. Insomma, la guerra del Sonderbund rappresentò, a livello nazionale, l’ultimo disperato tentativo dell’antimodernismo cattolico conservatore di salvare il vecchio mondo sotto forma di un corpus catholicum controriformista inviolato, ricorrendo allo strumento vetusto delle alleanze cantonali» (p. 99).
Inoltre, «chi concepisce la storia del cattolicesimo come storia sociale deve di conseguenza affrontare anche le teorie sulla modernizzazione e la secolarizzazione» (p. 14): e «il concetto di secolarizzazione è basato sul presupposto che le società moderna e premoderna siano state pervase dal sentimento cristiano. Nelle zone rurali dell’epoca preindustriale, la vita del mondo contadino e artigianale era senza dubbio ancorata al decorso naturale dei giorni e delle stagioni. Le feste locali servivano per propiziarsi la benevolenza e la protezione di Dio affinché i frutti della natura prosperassero; esse rappresentavano un confuso abbinamento tra cerimonia religiosa e occasione di piacere mondano. Le messe e le danze erano aspetti complementari della medesima cultura popolare» (pp. 48-49). La descrizione di Altermatt fa parte di quanto è ampiamente acquisito e consuetamente ammesso. Ma non altrettanto si può dire di ciò che l’autore sostiene di seguito: «Sarebbe comunque errato affermare — scrive — che nel periodo premoderno la società sia stata esclusivamente cristiana. I periodi anteriori vengono spesso erroneamente definiti epoche auree. Parlare del Medioevo cristiano è fuorviante e irrealistico» (p. 49). Dare definizioni tranchant è per certo a rischio se ci si pone nell’ottica della storia sociale, meno in quello della socio-storia: infatti, della prima sono protagonisti tutti gli uomini con le loro debolezze, sia dottrinali che morali; nella seconda sull’insieme ambiguo viene colto quanto primeggia, cioè le intenzioni incarnate nelle istituzioni. Inoltre la forza argomentativa di quanto Altermatt adduce a sostegno dell’affermazione contestabile, che peraltro si vuole riassuntiva e concludente, lascia molto a desiderare: «Alcuni storici francesi hanno, in modo più o meno esplicito, definito l’Occidente cristiano intorno al 1500 una vera e propria terra di missione. La maggior parte della popolazione rurale europea viveva in campagna e non sapeva né leggere né scrivere. Ciò in cui credevano o ciò che praticavano è tuttora ignoto o poco conosciuto» (p. 49); infatti, da quando il discusso e discutibile Jean Delumeau de Il Cristianesimo sta per morire? (18) — solo a questo non medievista e a quest’opera lo storico svizzero rimanda in nota — può essere presentato come una pluralità, a meno che non si tratti di un errore di traduzione? Da quando il 1500 cade all’interno del periodo medioevale? Da quando uno storico sociale si meraviglia dell’eventuale ciclicità di una condizione culturale e di eventuali asincronismi appunto sociali? Da quando il leggere e lo scrivere — l’alfabetizzazione — sono indici culturali esclusivi se non decisivi? Da quando dall’ignoranza da parte dei posteri, storici compresi, circa una determinata condizione culturale si può inferire l’ignoranza degli antenati? Benché ciò che precede contrasti con il quadro generalmente proposto dagli storici della Chiesa e del tardo Medioevo, quanto segue ancora nel testo di Altermatt merita di essere preso in considerazione: «Con le riforme cattolica e protestante del XVI e XVII secolo, le Chiese cristiane vennero sottoposte a una prima ripulitura che spazzò via gli elementi pagani e folkloristici che ancora le permeavano; le stesse riforme furono inoltre una dichiarazione di guerra al lassismo religioso. Le Chiese cristiane riuscirono allora, per la prima volta, a subordinare, dal punto di vista religioso, la massa dei credenti della campagna. Fino a quel momento, un profondo fossato aveva diviso la dottrina della Chiesa ufficiale dalla prassi delle grandi masse contadine. La popolazione rurale riconosceva, è vero, l’autorità ecclesiastica, ma praticava un sincretismo cristiano intriso di elementi di religione naturale. Con la Controriforma iniziò la subordinazione sociale e religiosa dei contadini. Al Concilio di Trento, la Chiesa cattolica ruppe con le incertezze teologiche; il prezzo di questa purezza dottrinale furono il dogmatismo e il clericalismo.
«Ma la penetrazione del cristianesimo dottrinale nelle regioni di campagna fu, in questa prima fase, incompleta. La società rurale possedeva numerosi spazi liberi che sia lo Stato che la Chiesa non riuscivano a controllare effettivamente. Di qui le differenziazioni della prassi religiosa, le caratteristiche e le discrepanze che contrassegnavano la cultura popolare religiosa da una regione all’altra.
«È solo nel XIX secolo che la Chiesa romana riuscì ad organizzare capillarmente la vita religiosa tramite una seconda ondata missionaria. Con l’aiuto dei moderni mezzi di trasporto e di comunicazione, vale a dire con giornali, scritti divulgativi, associazioni e pellegrinaggi, la Chiesa, dopo il 1850, propagandò l’ideale di religiosità ultramontano, unificò il cattolicesimo popolare e neutralizzò con successo nella devozione popolare tutte le particolarità locali. Fu allora che nacque il famoso “milieu” cattolico ad inquadrare la vita quotidiana del cattolico medio in Germania e in Svizzera. La Chiesa ufficiale era riuscita, come mai nel passato, a propagandare una concezione unitaria del buon cattolico e, con ciò, ad integrare le masse popolari.
«Nella lunga storia della Chiesa, il periodo che va dal 1850 al 1950 rappresenta una fase eccezionale. In questi cento anni, dottrina e prassi si fusero a un livello mai raggiunto nel passato e nel futuro. L’ “epoca piense” della Chiesa romana da Pio IX a Pio XII (1846-1958) fu caratterizzata da un’eccezionale omogeneità della cultura religiosa cattolica che generò una comunità imponente in cui confluivano fede, ideologia e culto, unificando papa, vescovi, clero e credenti in un ampio e corale sentire cum ecclesia» (pp. 49-50).
A chi ha seguito la ricostruzione storica proposta dal cattedratico di Friburgo e al quale non è sfuggito il riferimento al livello di omogeneità raggiunto dalla Chiesa negli anni che vanno da Papa Pio IX a Papa Pio XII, un’omogeneità da lui dichiarata addirittura irraggiungibile in futuro, offro la conclusione della lunga citazione: «Ricollegandoci alla compattezza del milieu cattolico dal 1850 al 1950, unica nella storia, la crisi attuale della Chiesa nell’Europa occidentale e in America ci appare sotto una luce diversa, ciò che potrebbe avallare la tesi, provocatoria, secondo la quale il regresso nella prassi religiosa del cattolico medio rappresenterebbe un ritorno alla normalità storica. Il sincretismo religioso moderno rivelerebbe una forte analogia con la situazione premoderna» (p. 50). E con questa provocazione chiudo e rimando al testo, che ne presenta non poche altre e che mi pare costituisca occasione importante per riflettere, quindi per vivere il presente e soprattutto per prepararsi a vivere il futuro in e con «[…] quella Chiesa di domani, che sarà più chiaramente di oggi — come sostiene il card. Joseph Ratzinger — la Chiesa di una minoranza» (19).
Giovanni Cantoni
Note:
(7) Cfr. URS ALTERMATT, Die Schweizer Bundesräte. Ein biographisches Lexikon [I consiglieri federali svizzeri. Un dizionario biografico], Artemis & Winkler, Zurigo-Mo- naco di Baviera 1992.
(8) Cfr. IDEM, Der Weg der Schweizer Katholiken ins Ghetto. Die Entstehungsgeschichte der nationalen Volksorganizationen im Schweizer Katholizismus 1848-1919 [La via dei cattolici svizzeri nel ghetto. La storia della fondazione delle organizzazioni popolari nel cattolicesimo svizzero 1848-1919], 3a ed., Universitätsverlag, Friburgo 1995.
(9) Cfr. IDEM, Katholizismus und Moderne. Zur Sozial- und Mentalitätsgeschichte der Schweizer Katholiken in 19. und 20. Jahrhundert [Cattolicesimo e modernità. Per una storia sociale e della mentalità dei cattolici svizzeri nel secolo XIX e XX], Benzinger, Zurigo 1989.
(10) Cfr. IDEM, Das Fanal von Sarajevo. Ethnonationalismus in Europa [Il segnale di Sarajevo. Etnonazionalismo in Europa], Neue Zürcher Zeitung, Zurigo 1996.
(11) Cfr. IDEM e HANSPETER KRIESI (a cura di), Rechtsextremismus in der Schweiz. Organisationen und Radikalisierung in den 1980er und 1990er Jahren [Estremismo di destra in Svizzera. Organizzazione e radicalizzazione negli anni 1980 e 1990], Neue Zürcher Zeitung, Zurigo 1995.
(12 ) Cfr. U. ALTERMATT, Cattolicesimo e mondo moderno, trad. it., Dadò, Locarno 1996. Tutte le citazioni senza rimando sono tratte da quest’opera, la cui paginazione è stata lasciata nel testo, fra parentesi.
(13 ) Cfr. IDEM, Le catholicisme au défi de la modernité. L’histoire sociale des catholiques suisses aux XIXe et XXe siècles, trad. francese, Payot, Losanna 1994.
(14 ) Cfr. IDEM, Katolicyzm a Nowoczesny Swiat, trad. polacca, con un’introduzione di don Józef Tischner, Wydawnictwo Znak, Cracovia 1995.
(15) Cfr. IDEM, A katolicizmus és a modern kor. A svájci katolicizmus 19. és 20. századi társadalom- és kultúrtörténete, trad. ungherese, Aula Kiadó, Budapest 1997.
(16) CARLO PRANDI, Troeltsch, Séguy, la socio-storia, introduzione a JEAN SÉGUY, Cristianesimo e società. La sociologia di Ernst Troeltsch, trad. it. Morcelliana, Brescia 1994, pp. 7-30 (p. 8).
(17) Ibidem.
(18) Cfr. JEAN DELUMEAU, Il Cristianesimo sta per morire?, trad. it., con una prefazione di Vittorio Messori, SEI, Torino 1978.
(19) CARD. JOSEPH RATZINGER, Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nella svolta del millennio. Un colloquio con Peter Seewald, trad. it., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1997, p. 299.