Giovanni Cantoni, Cristianità n. 269 (1997)
Articolo e post scriptum anticipati, senza note e con i titoli redazionali La «memoria» del Centrodestra e Vere e false Destre, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLVI, n. 183, 3-8-1997, p. 6; e n. 211, 9-9-1997, pp. 1 e 14.
La «memoria» del centrodestra
A prima vista le affermazioni sembrano sempre concludenti, soprattutto quando la cattedra da cui vengono fatte è di quelle dette «autorevoli», il cattedratico ha titoli e non manca di addurre richiami culturali. Caso emblematico di quanto affermo è costituito dall’intervento del professor Ernesto Galli della Loggia, Perché il Polo non c’ è più, comparso sul Corriere della Sera l’ultimo giorno di luglio (1).
I termini sono tutti presenti: il maggior quotidiano «indipendente» italiano, il docente universitario e la citazione di «[…] Maurice Holbwachs, che è riportata in un bel libro intitolato La memoria culturale, di Jan Assmann, appena uscito da Einaudi», secondo cui «non esiste un’idea sociale che non sia al contempo un ricordo della società».
Ma la presenza di tutti i termini necessari all’operazione — più intimidatoria che probatoria, certamente distraente — non ne potrebbe garantire automaticamente il successo, se a essa non si affiancasse la lettura dell’affermazione che la sostanzia, cioè l’eco che all’intervento è stata data. Leggo il passo che segue la citazione e che, in qualche modo, l’attualizza: «Ecco — scrive Galli della Loggia —, mi sembra questo un problema decisivo per il centrodestra in Italia: il centrodestra non può identificarsi né proporre alcuna “idea sociale”, alcuna idea per la società, dunque non riesce a esistere politicamente perché non può appoggiarsi ad alcun “ricordo della società”. Perché dietro le sue spalle non è dato di scorgere nulla, e non richiamando nulla esso non è in grado di accendere nessun sentimento di vera identificazione. Senza la memoria, non può esservi alcun presente.
«Beninteso, la memoria di cui il centrodestra avrebbe oggi bisogno per il suo presente, non può essere certo quella fascista antidemocratica, legata alle radici di Alleanza Nazionale. Potrebbe e dovrebbe essere il ricordo del moderatismo, dell’esperienza moderata che bene o male ha governato l’Italia per alcuni decenni. Precisamente qui, però, si è aperto il vuoto. Paradossalmente, infatti, proprio mentre dopo l’89 si veniva con rapidità — e anche a prezzo di forzature notevolissime — formando una memoria di sinistra moderata a partecipazione ex Pci, veniva cioè “inventata” una tradizione siffatta, proprio allora l’Italia ha cominciato ad assistere, viceversa, alla virtuale distruzione della memoria moderata effettiva, quella che aveva buon diritto a tal nome: quanto fattualmente sorreggeva tale memoria è divenuto via via impresentabile».
Mi fermo, anche se altri passi meriterebbero di essere trascritti, perché non insignificanti. Dunque, dopo l’89 — il 1989, non il 1789 — il quadro politico italiano ha patito un mutamento importante, favorito dall’introduzione del regime elettorale maggioritario: è iniziata la marcia verso il bipolarismo non solo elettorale, ma anche culturale.
E nel corso di questa marcia il centrosinistra — meglio, il sinistracentro, a fronte della presenza in esso, a diverso titolo, dei non esigui tronconi dell’ex partito comunista — ha indossato culturalmente tutto il passato prossimo della storia italiana, a ciò attrezzato dalla propria egemonia appunto culturale, intendendo graziosamente lasciare al centrodestra la possibilità di «scegliere», nuovo cane di Pavlov, le «ombre» — l’espressione è sempre di Galli della Loggia — di tale passato prossimo. Ma — scrive lo stesso cattedratico — il centrodestra non ha seguito le chiare indicazioni contenute in tale diktat, e ora questa eredità è divenuta «un passato che è passato», «un passato senza eredità di memoria, inservibile, che lascia il centrodestra attuale come un grande corpo senza idee, senza uomini e senza stile». Dunque, sembra tutto perfetto, compresa la descrizione del presunto latrocinio costituito dalla surrettizia appropriazione del passato altrui da parte del centrosinistra — non è forse una caratteristica del pensiero dialettico produrre il danno e accusarne gli altri? Non è accaduto lo stesso con il progresso tecnologico, quando, dopo aver accusato il Papato del Sillabo di esser contro le ferrovie, si è incominciato ad accusarlo di aver inventato il fumo e la fuliggine delle locomotive? —; ma tale descrizione del quadro è — per dire il meno — semplicistica e gravemente lacunosa. Infatti, in essa si dimentica che, fattualmente, la corsa alla titolarità del potere nel 1994 era fra sinistra e centrosinistra, con il centrodestra ammesso semplicemente a testimoniare la regolarità della gara; e che — soprattutto —, accanto alla memoria culturale «riflessa», quella ricostruita dagli intellettuali organici al potere politico in tutte le loro espressioni — da quelle scolastiche a quelle massmediatiche — vi è un deposito culturale sempre presente nel corpo sociale non per volontà, quindi per faticoso, ininterrotto artificio di qualcuno, ma per necessità naturale: l’uomo ha bisogno di memoria. E di questa memoria «giacente», di questa memoria «orale», di questo «giacimento di memorie» si è fatto rappresentante il centrodestra, chiedendo attraverso sondaggi — cioè mediante operazioni di «ascolto organizzato» — al corpo sociale indicazioni sul programma da proporre piuttosto che proporgliene uno ideologico o di fantasia (2). Così, invece della vecchia e «debole» alternativa fra cultura socialcomunista e cultura democristiana — un’alternativa «debole» in quanto fra due varianti della stessa cultura progressistica — è emersa dai fatti un’alternativa più profonda: quella fra la cultura dell’Italia ufficiale e quella dell’Italia sommersa dai detriti accumulati dai fallimenti ideologici di quasi due secoli di storia, compresi gli ultimi cinquant’anni; e qui siamo all’altro ’89, il 1789. Né questo «ricordo della società» poteva avere caratteri diversi — almeno macroscopicamente —, posta l’egemonia progressistica che ha caratterizzato la vita italiana negli stessi due secoli.
Certo, non si può dire che il procedimento felice messo in opera dal centrodestra per l’identificazione dei giacimenti culturali nel corpo sociale e il fatto seguito a tale operazione siano stati adeguatamente apprezzati, nel tempo, dagli stessi uomini del centrodestra, che si sono sentiti — «umano troppo umano» — piuttosto vincitori che rappresentanti dei vinti e dei «senza voce» di una storia italiana lunga e dolorosa, e che — fra l’altro — nel 1996 non hanno saputo adeguatamente distinguere fra la magnifica vittoria sociale e la dolorosa sconfitta elettorale, neppure dopo i preziosi suggerimenti indiretti ricevuti in proposito dall’on. Massimo D’ Alema da Gargonza, nella rossa terra di Siena (3).
Il dialogo fra la base elettorale di centrodestra, in espansione e piena di «memorie», e i suoi rappresentanti politici è un dialogo in corso, che non deve essere guastato dall’assunzione di un «passato che è [felicemente] passato», ma tale dialogo deve essere continuato con sempre maggiore consapevolezza, compatibilmente con le possibilità operative concesse dal quadro politico. In altri termini: gli italiani hanno una storia più lunga e più profonda della storia ufficiale del cinquantennio democristiano, e si tratta di una storia ampiamente alternativa a quest’ultima. Questa storia più lunga e più profonda deve essere di nuovo ascoltata, com’è stato fatto incipientemente nel 1994 prestando attenzione alle sue sopravvivenze esistenziali ed esigenziali; e, in questo ascolto, è meglio essere in ritardo che indossare la storia di una delle due parti che si sono ricomposte, dopo il 1994, nel centrosinistra in presenza dell’alternativa di centrodestra, dopo che per cinquant’anni hanno recitato il «gioco delle parti» senza alternativa significativa. E se il polo alternativo, cioè il centrodestra, deve sentire — nella misura del giusto — il proprio reale ritardo, che è soprattutto un ritardo di consapevolezza, non deve però sentirsi in colpa per il fatto di essere alternativo. Né lasciarsi indurre da qualcuno — neppure dal professor Galli della Loggia — a rivestirsi, come attestato di «presentabilità», dei cascami altrui: meglio essere apparentemente e temporaneamente «un grande corpo senza idee, senza uomini e senza stile» che sottoporsi al mostruoso trapianto di residui psichici democristiani.
Giovanni Cantoni
P.S. Dopo l’articolo del professor Galli della Loggia l’operazione intesa ad attribuire una «memoria» al centrodestra, cioè a proporgli una cultura soprattutto politica, è continuata su Liberal (4), con ulteriori e consistenti echi massmediatici.
Anzitutto — sia detto di passaggio —, dal proseguimento dell’operazione sono tentato di situarla accanto a quella iniziata nel giugno del 1996 a San Martino al Cimino, in provincia di Viterbo, in occasione di un seminario di riflessione dopo la tornata elettorale politica del 21 aprile 1996, organizzato da Alleanza Nazionale per i propri dirigenti, operazione allora realizzata soprattutto da una lobby di neofiti del liberalismo e intesa a iniettarne un’overdose nella componente di destra del Polo per le Libertà per portarla al proprio grado di «entusiasmo».
Comunque, quello in corso costituisce l’evidente tentativo, la proposizione di un «autorevole suggerimento» perché il «popolo di destra» venga dotato, da chi ne ha avuto il suffragio, di una memoria culturale solidale con quella del progressismo. In altri termini, si tratta, da parte del centrosinistra, di una «generosa» distribuzione delle proprie responsabilità storiche e di propri ideali, di un grande sforzo per costruirsi l’avversario politico su misura, compromesso a pieno titolo con un passato che tanta gente non sente come proprio, pur non avendo — chiaramente — consapevolezza culturale della portata e dei termini di tale diverso sentire. Ancora: poiché il centrodestra elettorale esiste indipendentemente dal centrosinistra, quest’ultimo si attiva per costruire il centrodestra politico, cioè per manipolare il centrodestra reale attraverso la sua rappresentanza politica. Così, dopo che la classe politica del centrodestra è stata colpevolizzata dal professor Galli della Loggia per non aver accettato il legato del «cinquantennio democristiano», anzi, per esserselo lasciato sfuggire se non addirittura «scippare», con operazione di maggior respiro un nutrito gruppo di operatori culturali e non — di diversa competenza nonché con diversa consapevolezza — propone alla stessa classe politica di ricostruire la propria genealogia — quasi previdenzialistica ricostruzione di carriera a garantire titolo alla pensione — innestandosi artificialmente — non s’intende bene se in alternativa o consociativamente — su tutte le false destre della storia politica seguente l’Unità d’Italia, cioè su tutti quei movimenti politico-culturali che, «tenendo la destra», hanno promosso, fiancheggiato o almeno non ostacolato nella misura del proprio potere reale il processo di snaturamento dell’ethos italiano — cioè della tradizione culturale della nazione italiana —, dalla Destra storica a quella democristiana.
Mi limito a ripetermi conclusivamente: il centrodestra deve identificare la propria storia non nel presente, cioè in una prospettiva immediatistica e di respiro breve, ma attraverso il presente del suo elettorato. Allo scopo è indispensabile che tutti quanti hanno in esso qualche responsabilità abbiano presenti almeno due tesi.
La prima è che il popolo è conservatore non solo dal punto di vista sostanziale — in quanto insieme di conviventi che devono avere valori condivisi appunto per poter convivere, e tali valori sono durevolmente efficaci solo se princìpi, cioè costanti e non congiunturali —, ma anche nel senso che è dotato di una capacità di conservazione di lunga durata di princìpi, attraverso un processo di micromitologizzazione di essi, di mitopoiesi elementare che si realizza nel luogo comune e che fa entrare in risonanza il senso comune e con esso interagisce.
La seconda tesi è di Georges Bernanos secondo cui «[…] le civiltà muoiono come gli uomini, ma non alla maniera degli uomini. In esse la decomposizione precede la morte, mentre in noi segue la storia» (5). Infatti, per parte sua, la logica della vita vede nel singolo la nascita precedere lo svegliarsi al mondo, nella società il risveglio precedere la rinascita, la ri-composizione socio-culturale, il ri-sorgimento politico. Quindi è inevitabile che tale risveglio sia confuso e si venga chiarendo negli anni, forse nei decenni e oltre. Ogni chiarezza artificiale, come sono quelle contenute nelle proposte indirizzate al centrodestra, non è un risveglio, ma una contraffazione di esso, la sostanziale permanenza in uno stato letargico eterodiretto. E, nell’impossibilità di determinare la data del risveglio, chi aspira al ruolo di principe azzurro deve anzitutto impedire che vengano praticate altre malie su Biancaneve — certamente non se ne deve fare complice — e che alla vita che può sbocciare si sostituisca qualche sgradevole esperienza di sonnambulismo politico.
Note:
(1) Cfr. ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA, Perché il Polo non c’è più, in Corriere della Sera, 31-7-1997; tutte le citazioni senza rimando sono tratte da questo articolo.
(2) Sulla «traduzione in linee politiche delle opinioni degli intervistati», cfr. GIANNI PILO, Perché il Polo ha perso le elezioni. Dati alla mano. Controstoria di una sconfitta annunciata, a cura di Stefano Romita, Newton & Compton, Roma 1996.
(3) Cfr. Ulivo, l’atto d’accusa di D’Alema, in Corriere della Sera, del 12-3-1997; e i miei Dopo il 21 aprile 1996: «fu vera sconfitta?», in Cristianità, anno XXIV, n. 252- 253, aprile-maggio 1996, pp. 14-16; e L’«illusione della destra» e le mistificazioni della sinistra, ibid., pp. 16-17.
(4) Cfr. A.A.A. Cercasi destra di governo. Speciale ’97. Da Cavour a Berlusconi, in Liberal. Un incontro tra cattolici e laici, n. 30, settembre 1997.
(5) GEORGES BERNANOS, Lo spirito europeo e il mondo delle macchine, trad. it., Rusconi, Milano 1972, p. 85.