Giovanni Paolo II, Cristianità n. 267-268 (1997)
Discorso al nuovo Ambasciatore d’Austria presso la Santa Sede durante l’udienza per la presentazione delle lettere credenziali, del 9- 1-1997, n. 3, in L’Osservatore Romano, 10- 1-1997. Traduzione dall’originale in tedesco e titolo redazionali.
Nella costruzione della «casa europea» non seminare vento per non raccogliere tempesta
Due areopaghi mi stanno particolarmente a cuore: il primo è l’areopago Europa. In questo areopago non si deve solamente alzare la voce per questioni economiche e finanziarie. La storia dell’Europa con le sue radici cristiane continua ancora a porre un accento più forte sull’«essere di più» che sull’«avere di più». Non contano soltanto i beni materiali ma anche i valori spirituali che danno significato. Chi vuol costruire la «casa europea» su un fondamento solido non può puntare soltanto sull’infrastruttura materiale, ma deve coltivare anche l’infrastruttura spirituale e religiosa: «Il nostro tempo è insieme drammatico e affascinante. Mentre da un lato gli uomini sembrano rincorrere la prosperità materiale e immergersi sempre più nel materialismo consumistico, dall’altro si manifesta […] l’angosciosa ricerca di significato», il cosiddetto «ritorno religioso» (Redemptoris missio, n. 38). L’uomo non dovrebbe essere privato del significato della vita. In verità Stato e Chiesa sono due entità differenti, ma esse siedono oggi non di rado nella stessa barca: poiché «gli uomini avvertono di essere come naviganti nel mare della vita, chiamati a sempre maggiore unità e solidarietà: le soluzioni ai problemi esistenziali vanno studiate, discusse, sperimentate col concorso di tutti» (ibid., n. 37).
Un ulteriore areopago del nostro tempo è il mondo delle comunicazioni sociali e la loro responsabilità. La scomparsa della Cortina di Ferro ha messo in evidenza il potere e l’influenza dei media in modo drastico. In quelle ore emozionanti i media hanno lanciato segnali, che hanno risvegliato speranza. Il crescente potere dei mezzi di comunicazione sociale, che in una nuova Europa creeranno contatti sempre più numerosi e più veloci, esige, in quanto strumento sensibile di formazione dell’opinione pubblica, un grande senso di responsabilità da parte di tutti. La «buona novella» dei cristiani ha di fronte a sé la possibilità di nuovi pulpiti. Alla Chiesa si aprono grandi possibilità: con energia rimando all’importanza fondamentale della famiglia, alla protezione della vita umana dall’inizio fino alla fine. Ricordo la responsabilità morale di un progresso precipitoso. Tutto questo è in strettissimo rapporto con una visione cristiana del mondo e dell’uomo, che già una volta ha contribuito in modo così decisivo all’unità spirituale dell’Europa e alla fondazione dell’Austria, e che ancor oggi deve essere diffusa con i mezzi moderni. Quanto l’Apostolo della Genti, Paolo, ha scritto a una comunità dell’Asia Minore fa pensare anche al nostro tempo: «Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato» (Gal. 6, 7). Quanto alcuni predecessori, nel corso del secolo XVIII fino nel XX, hanno seminato dallo spirito di un umanesimo spesso non più cristiano — penso a razionalismo, marxismo e nazionalismo, spesso in forme estreme — non abbiamo dovuto raccoglierlo negli anni tremendi delle due guerre mondiali e delle loro conseguenze, come pure nelle prigioni e nei campi di concentramento del nazionalsocialismo e del comunismo? Era una civitas terrena che si era posta come scopo di trasformare e di smantellare la civitas christiana.
Giovanni Paolo II