di Gianpaolo Barra
Beato card. Alojzije Stepinac (1898-1960)
1. La vocazione sacerdotale
Alojzije Viktor Stepinac nasce da famiglia contadina l’8 maggio 1898 a Brezarić, nella parrocchia di Krašić, in Croazia — allora parte dell’impero austro-ungarico —, quinto figlio di Barbara Penić e nono di Josip, risposatosi dopo la morte della prima moglie. Nel 1916, dopo aver conseguito la maturità classica a Zagabria, si arruola nell’esercito austro-ungarico, impegnato nella Prima Guerra Mondiale (1914-1918), e presta servizio come ufficiale sul fronte italiano, dove è catturato e internato per cinque mesi. Tornato a casa nel 1919, si dedica alla cura del podere paterno finché nel 1924 matura la vocazione sacerdotale. Studia quindi a Roma presso il Pontificio Collegio Germanico-Ungarico — fondato nel 1552 da sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) per formare gli aspiranti al sacerdozio di lingua tedesca — e frequenta la Pontificia Università Gregoriana, conseguendo il dottorato in Filosofia e in Teologia. Il 26 ottobre 1930, festa di Cristo Re, viene ordinato sacerdote, realizzando così il segreto desiderio della madre, che a questo fine aveva digiunato tre volte la settimana, per ben trentadue anni, senza che i familiari se ne accorgessero.
In occasione della sua prima Messa, officiata nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, Stepinac fa stampare su di una immaginetta le parole di san Paolo ai Galati: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce di Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo». È il presagio delle future persecuzioni, che lo porteranno a subire pressioni e angherie prima dai serbi e poi dai nazionalsocialisti, quindi l’arresto e la condanna da parte dei comunisti.
2. Le prime persecuzioni
Dopo la dissoluzione dell’impero austro-ungarico, nel 1918, nasce il Regno dei Serbi Croati e Sloveni — dal 1929 Regno di Jugoslavia —, una costruzione statale artificiale affidata alla Casa reale serba dei Karađorđević, che con Alessandro I (1888-1934), re dal 1926, accentua l’atteggiamento anti-cattolico e i caratteri di regime autoritario fino a giungere, il 6 gennaio 1929, all’instaurazione di una dittatura militare. Stepinac, tornato in patria nel 1931, viene prima nominato cerimoniere ed elemosiniere dell’arcivescovo di Zagabria, mons. Antun Bauer (1850-1937), quindi, il 28 maggio 1934, arcivescovo coadiutore con diritto di successione; alla morte dell’ordinario, il 7 dicembre 1937, gli succede come settantaduesimo vescovo e quinto arcivescovo di Zagabria. Poiché la carica comporta la presidenza della conferenza episcopale, diventa anche il primo responsabile della Chiesa in Jugoslavia. A soli trentanove anni è il più giovane vescovo del mondo, capo di una diocesi che conta quasi due milioni di abitanti. Si distingue subito per le doti di organizzatore e di pastore: visita le parrocchie, incontra i sacerdoti, pacifica gli animi nelle file delle associazioni cattoliche, fonda, vincendo grandi resistenze, l’Azione Cattolica — che arriva a contare, nella sezione centrale, oltre settecento gruppi e trentamila iscritti —, dà il via a innumerevoli iniziative a favore dei poveri e degli studenti, promuove la fondazione della Caritas facendo allestire una cucina per i poveri nei locali della Curia, e si rivela predicatore instancabile e affascinante. Grazie al suo impegno e alla sua devozione, l’antico santuario di Marija Bistrica torna a essere meta di grandi pellegrinaggi nazionali e a svolgere un ruolo fondamentale nella preservazione della fede del popolo croato.
Alla morte di re Alessandro I, ucciso in un attentato a Marsiglia nel 1934, la situazione precipita: una bozza di concordato fra la Santa Sede e il governo centrale jugoslavo viene bocciata dal Senato, dopo che il Sinodo della Chiesa Ortodossa, allora ferocemente anti-cattolica, era giunto a scomunicare i membri del Parlamento che avevano votato a favore. Le discriminazioni nei confronti dei cattolici si moltiplicano: viene impedita la costruzione di nuove scuole, si spargono menzogne nei libri scolastici, si tenta di abolire l’insegnamento della religione, si creano difficoltà crescenti alle associazioni, aumentano gli espropri di beni ecclesiastici, sono esercitate pressioni sui cattolici affinché passino nelle file ortodosse. La reazione dei vescovi non si fa attendere: «Siamo pronti a lottare per la difesa della Chiesa e dei suoi fedeli», sono le parole che concludono un documento della Conferenza episcopale, riunita per condannare la mancata approvazione del Concordato.
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), la propaganda nazionalsocialista e l’arrivo dei tedeschi in Jugoslavia non impediscono all’arcivescovo di Zagabria di alzare più volte la voce per condannare inflessibilmente — con otto lettere di protesta e con numerose omelie nel duomo — ogni forma di razzismo e per opporsi alle fucilazioni dei serbi ordinate da Ante Pavelić (1889-1959), fondatore, nel 1941, dello Stato Croato Indipendente. Le sue parole di condanna del razzismo hitleriano, pronunciate coraggiosamente durante la festa di Cristo Re del 1942, possono circolare solo clandestinamente, non essendo stato accordato il permesso di stamparle: «Tutti i popoli e tutte le razze provengono da Dio […]. Tutti e singoli i popoli e le razze quali oggi esistono, hanno diritto ad una vita degna dell’uomo. Tutti, senza eccezione, sia che appartengano alla razza degli Zingari o qualunque altra razza, siano primitivi africani o civilizzati europei, siano odiati Ebrei o superbi Ariani, hanno lo stesso diritto di dire: Padre nostro che sei nei Cieli».
Alle parole seguono i fatti: migliaia di partigiani, di prigionieri, di deportati e anche di bambini, in gran parte figli di ortodossi, vengono salvati dalla Caritas per espressa volontà di Stepinac. Anche centinaia di ebrei trovano in lui un difensore autorevole, purtroppo spesso inascoltato. Al nuovo ordine mondiale, che Adolf Hitler (1889-1945) sogna d’instaurare sui fondamenti del nazionalsocialismo, Stepinac contrappone l’ordine voluto da Dio e inscritto nella coscienza di ogni uomo: «La Chiesa — dichiara in un discorso pronunciato il 31 ottobre 1943 — propone quell’ordine che è vecchio quanto i dieci Comandamenti di Dio! Noi siamo per quell’ordine che non è scritto su carta decomponibile, ma che con il dito di Dio è stato scritto nella coscienza dell’uomo».
3. La prigionia e la morte
Nel giorno del quarantasettesimo compleanno di Stepinac, l’8 maggio 1945, giungono vittoriosi a Zagabria i partigiani del maresciallo Josip Broz detto «Tito» (1892-1980). L’instaurazione di un regime comunista di stampo sovietico comporta anche per la Chiesa jugoslava, e per quella croata in particolare, l’inizio di una feroce e implacabile persecuzione. Centinaia di sacerdoti vengono uccisi, altrettanti imprigionati, decine e decine sono gli scomparsi di cui non si ha più notizia. Confiscati i beni ecclesiastici, soppressa la stampa cattolica, impedito ai condannati di ricevere i conforti religiosi, perfino i cimiteri vengono profanati. Tito cerca in un primo tempo di minare l’unità della Chiesa e di trovare nell’episcopato uomini disposti a collaborare con i comunisti. Lo stesso Stepinac è arrestato il 17 maggio, ma viene rilasciato il 3 giugno in seguito alle pressioni dell’opinione pubblica internazionale e all’intervento di Papa Pio XII (1939-1958). Il 4 giugno incontra il maresciallo Tito, ma il progetto comunista di creare una «Chiesa nazionale», che gradualmente prenda le distanze dal Pontefice Romano per adeguarsi a presunte esigenze del popolo croato, non ha successo. Stepinac vi si oppone recisamente e ispira la lettera pastorale collettiva del 22 settembre, nella quale i vescovi della Jugoslavia dichiarano che la Chiesa non può rinunciare a svolgere liberamente la sua missione e a sollecitare il rispetto dei diritti umani fondamentali: «Chiediamo e non rinunceremo a nessuna condizione: la piena libertà delle scuole cattoliche, la piena libertà della catechesi in tutte le classi delle scuole elementari e medie, la piena libertà delle associazioni cattoliche, la libertà per l’azione caritativa cattolica, la piena libertà della persona umana e dei suoi inalienabili diritti, il pieno rispetto del matrimonio cattolico, la restituzione di tutti gli enti e istituti espropriati».
Il regime comunista evita in un primo momento lo scontro frontale con l’arcivescovo, di cui teme il grande prestigio morale, quindi procede al suo arresto il 18 settembre 1946. Il 30 dello stesso mese inizia quello che fu definito da Pio XII il «tristissimo processo», che si conclude con la condanna a sedici anni di carcere e a cinque anni di privazione dei diritti civili come nemico dello Stato e traditore. Nel suo discorso dinanzi ai giudici Stepinac mostra di essere consapevole che con quel processo si vuole colpire, attraverso la sua persona, l’intera Chiesa cattolica in Jugoslavia: «Qui centinaia di volte viene ripetuto il termine: l’accusato Stepinac. Ma nessuno può essere tanto ingenuo e non essere in grado di indovinare che dietro quell’accusato Stepinac al banco degli accusati sta seduto l’Arcivescovo di Zagabria, il Metropolita croato e il rappresentante della Chiesa cattolica in Jugoslavia».
Con questa condanna egli condivide la sorte di quei pastori della Chiesa cattolica, giganti della fede, che negli stessi anni sono perseguitati da regimi comunisti: i cardinali Josif Slipyj (1892-1984), ucraino, Josef Mindszenty (1892-1975), ungherese, Stefan Wyszynski (1901-1981), polacco, Juliu Hossu (1885-1970) e Alexandru Todea, rumeni, Josef Beran (1888-1969) e František Tomasek (1899-1992), cecoslovacchi, e Evgheni Bossilkov (1900-1952), il primo beato della Chiesa in Bulgaria.
Il 5 dicembre 1951, dopo cinque anni di carcere nella terribile prigione di Lepoglava, Stepinac viene confinato nella canonica di Krašić, suo paese natale. Costantemente sorvegliato dagli agenti comunisti, non può compiere alcun spostamento e riceve visite solo su autorizzazione. Tuttavia, riesce a svolgere un’azione apostolica di dimensioni eccezionali, scrivendo circa cinquemila lettere e messaggi clandestini con cui ribadisce la sua volontà di resistere alle persecuzioni, denuncia gli sforzi compiuti dai comunisti per scristianizzare la società civile e mette in guardia il clero e i fedeli contro i sacerdoti che collaborano con il regime. Il 12 gennaio 1953 è creato cardinale da Papa Pio XII, che così si esprime nei suoi confronti: «Desideriamo vivamente che tutto il mondo sappia che noi l’abbiamo onorato con la porpora romana per ricompensare i suoi straordinari meriti e per dimostrare al suo popolo la nostra benevolenza». Alle autorità comuniste che cercano, ancora nel 1959, di minarne l’incrollabile fedeltà alla Chiesa, risponde: «Io so quale è il mio dovere. Con la grazia di Dio, continuerò a compierlo fino alla fine, senza odio verso nessuno, ma anche senza paura di chiunque». Nel mese di maggio di quell’anno incorona nella propria abitazione un’immagine della Madonna di Fatima inviatagli dal Pontefice, manifestando profeticamente la certezza della fine del «comunismo satanico» grazie all’intercessione di Maria, debellatrice di tutte le eresie. Pochi mesi dopo, avvertendo la fine imminente, redige un testamento che ne rivela l’intima fierezza, la forza possente, l’ostinata volontà di restare fedele alla causa del Vangelo e della Chiesa. Quando muore nella piccola parrocchia di Krašić, alle 14,15 del 10 febbraio 1960, i presenti lo sentono pronunciare chiaramente le ultime parole: «Fiat voluntas tua!».
Dopo un breve processo canonico, aperto il 5 dicembre 1980 in forma riservata, a causa delle difficoltà poste dal regime comunista jugoslavo, e proseguito con l’iter ordinario dopo la nascita della Repubblica di Croazia, nel 1991, Stepinac è riconosciuto vero martire della fede cattolica — per aver subìto in odium fidei persecuzioni fisiche e morali tali da causarne la morte in prigionia — ed è proclamato beato da Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1998. «Con la sua beatificazione — ha affermato il Pontefice — si è svelata davanti a noi, sullo sfondo dei secoli, quella lotta tra Vangelo ed anti-Vangelo che percorre la storia. […] Nella sua beatificazione riconosciamo la vittoria del Vangelo di Cristo sulle ideologie totalitarie; la vittoria dei diritti di Dio e della coscienza sulla violenza e sulla sopraffazione; la vittoria del perdono e della riconciliazione sull’odio e sulla vendetta».
Gianpaolo Barra
25 ottobre 2018
Per approfondire: vedi Neki Istranin, Stepinac. Un innocente condannato, trad. it., Edizioni L.I.E.F., Vicenza 1982; mons. Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria, Il Cardinale Stepinac beato e martire della Chiesa del silenzio. Lettera pastorale in occasione del centenario della nascita del servo di Dio, del 1°-3-1998, trad. it., EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1998; e i contributi su La beatificazione del Cardinale Alojzije Stepinac, in supplemento a L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, anno CXXXVIII, n. 225, Roma 30-9-1998, pp. 4-12.