di Michele Brambilla
La Chiesa è la grande famiglia dei battezzati, cioè di coloro che sono stati redenti e consacrati dalla Pasqua di Cristo. Questa famiglia, vocata alla santità, non si limita solamente ai membri presenti sulla Terra, ma si allarga a quanti hanno già conseguito la beatitudine eterna, oltre che a coloro che stanno ancora lottando per raggiungerla in Purgatorio. C’è un momento nel quale, dice Papa Francesco alla recita dell’Angelus del 1° novembre, solennità di Tutti i Santi, lo percepiamo in maniera particolare, ed è quando, durante la Messa, si canta il Sanctus: «È un inno – dice la Bibbia – che viene dal cielo, che si canta là (cfr Is 6,3; Ap 4,8), un inno di lode. Allora, cantando il “Santo”, non solo pensiamo ai santi, ma facciamo quello che fanno loro: in quel momento, nella Messa, siamo uniti a loro più che mai».
Nel momento più importante della celebrazione eucaristica, quello in cui si invoca lo Spirito Santo perché trasformino il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, non sono presenti solo i santi canonizzati, ma anche «[…] quelli “della porta accanto”, i nostri familiari e conoscenti che ora fanno parte di quella moltitudine immensa. Oggi allora è festa di famiglia», perché «i santi sono vicini a noi, anzi sono i nostri fratelli e sorelle più veri. Ci capiscono, ci vogliono bene, sanno qual è il nostro vero bene, ci aiutano e ci attendono. Sono felici e ci vogliono felici con loro in paradiso».
Per raggiungerli bisogna seguire la «[…] via della felicità, indicata nel Vangelo odierno, tanto bello e conosciuto: “Beati i poveri in spirito […] Beati i miti […] Beati i puri di cuore…” (cfr Mt 5,3-8)». Che però non è esattamente la strada privilegiata nel mondo di oggi, dove, dopo secoli di Rivoluzione, a farla da padroni sono i superbi, gli intemperanti e i lussuriosi. «Chiediamoci da che parte stiamo: quella del cielo o quella della terra? Viviamo per il Signore o per noi stessi, per la felicità eterna o per qualche appagamento ora? Domandiamoci: vogliamo davvero la santità? O ci accontentiamo di essere cristiani senza infamia e senza lode, che credono in Dio e stimano il prossimo ma senza esagerare?».
In fin dei conti si torna “ignazianamente” sempre lì, ai due stendardi (Esercizi spirituali, nn. 137-39). «Oggi i nostri fratelli e sorelle non ci chiedono di sentire un’altra volta un bel Vangelo, ma di metterlo in pratica, di incamminarci sulla via delle Beatitudini. Non si tratta di fare cose straordinarie, ma di seguire ogni giorno questa via che ci porta in cielo, ci porta in famiglia, ci porta a casa». Il Papa sottolinea il concetto parafrasando la più celebre espressione attribuita alla Serva di Dio Chiara Corbella Petrillo (1984-2012), giovane mamma romana che, come santa Gianna Beretta Molla (1954-62), ha consegnato con naturalezza la sua vita affinché il bambino che portava in grembo potesse nascere: «[…] siamo nati per non morire mai più, siamo nati per godere la felicità di Dio!». Vive davvero bene solo chi sa che appartiene a un Altro, che ci ha reso tutti fratelli nel Figlio. Solo nello sguardo di Gesù comprendiamo quale valore incommensurabile ha la vita di ogni essere umano.