Commissione giuridica di Alleanza Cattolica, Cristianità n. 49 (1979)
Unitamente all’appello per un referendum abrogativo, Alleanza Cattolica ha inviato ai vescovi italiani una memoria giuridica, preparata da apposita commissione. Ne riproduciamo integralmente il testo, con l’aggiunta di sottotitoli redazionali.
Inviata, con l’appello, ai vescovi
Memoria giuridica in tema di referendum abrogativo della legge 22 maggio 1978 n. 194
L’infame «legge» abortista deve essere abbattuta
1. Un cenno appena merita il punto relativo alla liceità e alla doverosità della richiesta di referendum abrogativo da parte di ogni cittadino e, in particolare, di ogni cittadino cattolico, della legge 22 maggio 1978, n. 194, che legalizza l’interruzione volontaria della gravidanza, eliminando del tutto, ovvero riducendo a proporzioni assolutamente inadeguate, la sanzione penale nei confronti di chi cagioni l’aborto, concorra a cagionarlo o consenta che su di sé venga praticato. Se il feto è un autonomo soggetto umano, e se la creatura umana possiede un diritto oggettivo, primario, inalienabile alla esistenza, consegue evidentemente che il feto non deve essere ucciso: la sua uccisione, pertanto, costituisce un abominevole delitto.
Ora, se un ordinamento giuridico consente, in qualsivoglia modo, che questo diritto oggettivo, primario, inalienabile possa essere distrutto, nega implicitamente e intrinsecamente la propria stessa legittimità, perché viene meno allo scopo fondamentale per cui è costituito, cioè a dire quello di rendere più facilmente accessibile a ogni persona il raggiungimento del suo fine naturale e soprannaturale; e non è chi non veda come, scalfitta l’assolutezza del diritto alla esistenza, ogni altro diritto più non poggi su basi stabili e sicure.
Pertanto non solo è lecito, ma costituisce oggetto di uno stretto dovere di coscienza operare fattivamente perché tale iniqua «legge» – che già oggi propriamente non è legge, perché non costituisce diritto, non vincola il cittadino, e non può essere da lui seguita – sia cancellata dall’ordinamento giuridico della nostra nazione.
Il doveroso referendum abrogativo
2. Operare fattivamente perché tale iniqua «legge» sia abbattuta significa anzitutto, in un ordinamento giuridico che prevede l’istituto del referendum popolare abrogativo della legge ordinaria (art. 75 Cost.), porre in essere tutte le condizioni – fattuali e giuridiche – perché il referendum abrogativo della «legge» in questione sia richiesto da un numero di elettori superiore a 500.000, che è il numero di elettori previsto dall’ordinamento perché i vari organi dello Stato siano obbligati a compiere quella serie di atti necessari e sufficienti a innescare il procedimento giuridico complesso che ha come esito la decisione dei cittadini in ordine alla abrogazione, o meno, di una determinata legge.
3. Perché la richiesta dei 500.000 elettori possegga giuridica rilevanza è, però, previamente necessario che un certo numero di cittadini – non inferiore a 10 – si faccia promotore di una iniziativa di richiesta di referendum: e perché tale iniziativa possegga giuridica rilevanza è necessario che quei cittadini depositino presso un apposito Ufficio della Corte di Cassazione un atto nel quale venga specificato, con riferimento alla legge di cui si chiede la abrogazione, il quesito che si intende sia sottoposto alla decisione popolare.
Balza così alla luce un primo problema, che deve essere sciolto affinché la richiesta di referendum abrogativo della «legge» che «legalizza» l’aborto meglio realizzi il duplice scopo di mantenere in vita le eventuali provvidenze a favore della maternità, che la «legge» n. 194 prevede, sia pure in modo lacunoso e distorto, e di non lasciare del tutto sguarnito l’ordinamento di fronte all’imperversare della piaga dell’aborto.
L’entità della abrogazione
4. Il problema, in termini giuridici, va sintetizzato così: la richiesta di referendum abrogativo della «legge» che «legalizza» l’aborto, deve essere parziale o totale, ovverossia, deve avere per oggetto la eliminazione della legge in tutte le sue parti, oppure soltanto in quelle parti che più direttamente e stridentemente sono in contrasto con il diritto naturale e cristiano?
5. La risposta al quesito sopraesposto non può che essere favorevole alla richiesta di referendum parziale.
Infatti se pure è vero che la richiesta di abrogazione totale della «legge» di aborto, accompagnata dalla contemporanea pubblica presentazione di un progetto di legge positivo, di iniziativa popolare, regolante l’intera materia e perfettamente conforme al diritto naturale e cristiano, consentirebbe di meglio lumeggiare la verità naturale e cristiana in un campo morale di eccezionale importanza, è anche vero che – sulla base del detto che l’ottimo è nemico del bene – tale richiesta sguarnirebbe del tutto l’ordinamento giuridico nella lotta contro l’aborto, eliminando, sul piano preventivo, ogni provvidenza a favore della maternità, e, sul piano repressivo, ogni precetto e ogni sanzione punitiva dell’aborto. È ancora indispensabile, poi, rilevare che una richiesta di abrogazione totale potrebbe essere maliziosamente presentata come una richiesta ancora più distruttiva del diritto alla vita di quella già avviata dal Partito Radicale, che lascia in ogni caso al beneplacito della donna la decisione di abortire, senza alcun controllo medico o legale. Sarebbe, inoltre, maliziosamente possibile fare convergere i voti delle persone favorevoli alla «legalizzazione» o alla liberalizzazione dell’aborto sulla proposta di abrogazione totale, con il rischio di rendere indecifrabile il senso morale del risultato elettorale e giuridicamente sguarnito l’ordinamento nei confronti della piaga dell’aborto.
Limiti, urgenza, criteri della abrogazione
6. Va, pertanto, avviato l’itinerario giuridico volto alla presentazione della richiesta di abrogazione parziale della «legge» attualmente in fittizio vigore.
Non si possono certamente nascondere i gravi aspetti di imperfezione inerenti a una richiesta di abrogazione parziale: e ciò, sia per la difficoltà tecnica di ottenere, con l’intervento parzialmente abrogativo, un testo di legge coerente in tutte le sue parti, sia per la obiettiva contrarietà della «legge» attuale, in quasi tutte le sue parti, al diritto naturale e cristiano.
In effetti, solo a prezzo di un certo sforzo e di una certa incompletezza può tendersi all’ottenimento di un risultato accettabile.
7. D’altra parte, però, gli inconvenienti che si sono evidenziati al punto precedente non debbono assolutamente indurre alla rassegnazione di fronte alla «legge» ora fittiziamente vigente: va osservato, infatti, che la normale funzione legislatrice nel nostro ordinamento spetta pur sempre, in via ordinaria, al parlamento, e che il popolo è chiamato a svolgere tale funzione soltanto eccezionalmente e con poteri ben limitati.
Perciò, la richiesta di abrogazione parziale, e la eventuale successiva abrogazione parziale della «legge» n. 194, non escludono, ma anzi sollecitano e impongono un diretto intervento del parlamento volto a migliorare effettivamente e sostanzialmente il testo normativo che sarà risultato vigente in forza e a causa del felice esito della iniziativa abrogatrice popolare.
8. Precisati, quindi, i compiti limitati che si possono assegnare a questa forma di intervento popolare nella formazione delle leggi dello Stato, occorre definire i criteri di fondo da seguirsi nella individuazione del contenuto della richiesta di abrogazione parziale, che si deve fondatamente ritenere, nonché lecita e doverosa, anche giuridicamente opportuna.
Sull’urgenza, poi, dell’iniziativa di referendum da parte cattolica, è appena il caso di soffermarci, a fronte del diffondersi spaventoso della strage dell’aborto, nonché a fronte del tranello teso a tutti gli antiabortisti con la iniziativa referendaria del Partito Radicale.
9. Due sono i criteri di fondo che debbono ispirare la formulazione dell’iniziativa giuridica volta a ottenere l’abrogazione parziale della «legge» attuale.
Il primo criterio non può non essere quello di cancellare dall’ordinamento ogni norma in diretto e stridente contrasto con il diritto naturale e cristiano; il secondo criterio, quello di lasciare sopravvivere ogni norma, pure imperfetta e lacunosa, che provveda in qualche modo alla assistenza e alla tutela della maternità, e di ogni norma, pure inadeguata nella formulazione del precetto o, addirittura, irrisoria nella qualità o nella quantità della sanzione, che serva in qualche modo a consacrare il principio della criminosità dell’aborto volontariamente praticato.
10. Seguendo i due criteri sovraindicati, la richiesta di abrogazione parziale va così formulata:
art. 1: abrogazione di un inciso del comma 1º e degli interi commi 2º e 3º;
art. 2: abrogazione di un inciso del comma 1º e dell’intero ultimo comma;
art. 3: mantenimento integrale a eccezione di una parola;
artt. 4, 5, 6, 7, 8 e 9: abrogazione integrale;
art. 10: abrogazione dei commi 1º e 3º;
artt. 11, 12, 13, 14, 15 e 16: abrogazione integrale;
artt. 17 e 18: mantenimento integrale.
art. 19: abrogazione di un inciso del comma 1º, di due incisi del comma 5º e degli interi commi 3º e 4º;
artt. 20 e 21: abrogazione integrale;
art. 22: abrogazione del comma 3º.
Tutela di ogni vita umana
11. Passando, ora, alla indicazione analitica delle ragioni che consigliano un intervento abrogativo del tipo sovrasegnato, va osservato quanto segue:
L’art. 1 che scolpisce gli scopi perseguiti dalla «legge», recita al comma 1º: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio».
Non è chi non veda come questo comma contenga due princìpi pienamente accettabili – anzi, degni di essere posti a premessa di qualsivoglia legge positiva a tutela della maternità – e una affermazione ambigua, se non palesemente falsa. Che significa, infatti, la proposizione secondo cui «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile»? Forse che lo Stato non garantisce il diritto alla vita di chi è concepito in modo non «cosciente e responsabile»? Forse che lo Stato non tutela il concepito procreato attraverso atto sessuale compiuto con violenza, minaccia, o inganno? Forse che lo Stato non tutela la procreazione nell’ambito di famiglie numerose (l’elevato numero dei figli è, infatti, una delle ragioni – secondo certe teorie antiumane e anticristiane – per qualificare non «responsabile» la procreazione)?
Ma vi è di più.
Al di là dei dubbi legittimi che emergono dalla semplice lettura del citato comma 1º della «legge», deve osservarsi, soprattutto, che la proposizione con cui lo Stato discrimina tra «il diritto alla procreazione cosciente e responsabile» e una situazione – non bene definita nei suoi contorni, ma tuttavia ricavabile a contrario dalla disposizione in questione – che non sarebbe degna di tutela, è gravemente inficiata dalla ideologia del positivismo giuridico, reiteratamente condannata dalla dottrina della Chiesa, e segnatamente dal magistero di Pio XII: ideologia secondo cui non esistono diritti individuali con fondamento ontologico e permanente, bensì, esclusivamente, situazioni di fatto, che divengono diritti per volontà dello Stato.
Va richiesta, pertanto. all’interno del comma 1º dell’art. 21, la abrogazione dell’inciso: «garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile». Il comma 1º dell’art. 1 resta così formulato: «Lo Stato riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio»: il che è perfettamente conforme al diritto naturale e cristiano.
I commi 2º e 3º dell’art. 1 vanno integralmente abrogati: essi infatti introducono – ipocritamente e contraddittoriamente – accanto al principio della tutela della vita umana dal suo inizio, l’opposto e falso principio della «legittimità» dell’aborto, quando lo stesso non sia usato come «mezzo per il controllo delle nascite».
Erogazioni per l’assistenza alla maternità e al parto, e abrogazione di ogni facoltà di omicidio-aborto
12. L’art. 2 va conservato, a eccezione, da un lato, dell’ultimo comma, ove è stabilito che funzione dei consultori e delle strutture sanitarie sia, tra le altre, anche quella di somministrare, su prescrizione medica, rimedi anticoncezionali, «anche ai minori»: a eccezione, dall’altro, nel comma 1º lettera a) dell’inciso «in base alla legislazione statale o regionale», a motivo della grave restrizione che vi è implicita: quasi la donna non sia titolare di diritti anteriori alla positiva legislazione «statale o regionale» o che di tali diritti non debba essere informata, o quasi che dei diritti spettanti alla donna l’unica fonte sia tale legislazione; a motivo, inoltre, della doverosa cautela nei confronti di una legislazione «statale e regionale» in continuo mutamento e suscettibile di porre come «diritti» anche gravissime violazioni dell’etica e del diritto naturali, come la «legge» n. 194 testimonia. Gli altri commi, invece, nonostante la grave lacunosità, meritano di essere conservati, in quanto assegnano ai consultori, istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, una serie di funzioni di tutela della maternità.
Parimenti, deve essere conservato l’art. 3 che prevede, per l’adempimento dei compiti di tutela della maternità assegnati ai consultori, l’aumento del fondo stanziato dall’art. 5 della legge 29 luglio 1975, n. 405. Dell’art. 3 deve essere abrogata la sola parola «Anche», in forza della quale l’ulteriore stanziamento potrebbe essere utilizzato non solamente ai fini dell’assistenza alla famiglia e alla maternità, ma anche per tale assistenza; con la possibilità, dunque, di utilizzarli a scopi che in nulla o troppo lontanamente sono riferibili a tale retta e doverosa assistenza.
13. Gli artt. 4, 5, 6, 7, 8 e 9 vanno totalmente abrogati. Non è necessario spendere parole su di essi: attraverso la previsione di una casistica che, tra l’altro, ha contorni assolutamente generici e indeterminati, e la previsione di una procedura burocratica e automatica, viene introdotto nell’ordinamento il principio generale della «legittimità» dell’aborto, purché praticato pubblicamente nell’ambito delle strutture sanitarie, che hanno, invece, il compito istituzionale di tutela della vita e della salute.
14. Dell’art. 10 vanno abrogati i commi 1º e 3º, mentre va mantenuto il comma 2º. Trattasi dell’art. della legge che prevede l’accollo a determinati enti pubblici dell’onere finanziario relativo alle spese mediche per il compimento della gravidanza e per la interruzione della gravidanza. È di tutta evidenza che soltanto le spese mediche necessarie per il compimento della gravidanza hanno titolo a essere individuate con apposita previsione di legge come accollabili a enti o servizi pubblici.
15. Gli artt. 11, 12, 13, 14, 15 e 16 debbono essere integralmente abrogati. In essi, infatti, è prevista la procedura da seguirsi, nei diversi casi, al fine di pervenire alla interruzione della gravidanza.
16. Gli artt. 17 e 18 vanno integralmente mantenuti. Infatti, l’art. 17 punisce la interruzione della gravidanza, provocata con una condotta colposa (comma 1º), nonché l’acceleramento del parto, colposamente cagionato (comma 2º). Nel comma 3º, poi, è prevista una aggravante nei casi in cui il comportamento colposo si radichi sulla violazione delle norme poste a tutela del lavoro.
Trattasi di una serie di disposizioni apprezzabilissime, il cui contenuto è, però, in stridente contrasto con le altre disposizioni della legge, che tollerano e «legittimano» la interruzione volontaria della gravidanza; infatti, è patrimonio antico della coscienza giuridica di ogni paese civile che il fatto colposo debba essere punito meno gravemente dell’identico fatto doloso.
L’art. 18, poi, merita anch’esso di essere conservato: non può sottacersi, però, come mera osservazione di politica legislativa, che costituisce un vero scandalo giuridico la consistente diminuzione di pena, nella ipotesi ivi prevista per aborto di donna non consenziente, rispetto alla pena prevista dalla disposizione normativa preesistente. Invero, mentre l’art. 545 c.p. – ora abrogato – puniva chiunque avesse cagionato l’aborto di una donna non consenziente con la pena da sette a dodici anni, l’art. 18 della «legge» vigente punisce il medesimo fatto con la pena da quattro a otto anni. Non è chi non veda, a questo proposito, come, mentre la legge precedente avvicinava l’entità della pena edittale alla pena prevista per il delitto di omicidio, la «legge» attuale approssimi l’entità della pena a quella prevista per i delitti di lesione dolosa, con evidente, anche se implicito, spostamento dell’oggetto della tutela: per la legge precedente esso era, oltre alla integrità personale della donna, la vita del concepito; per la «legge» attuale è, invece, soltanto la integrità personale della donna.
Trattasi, tuttavia. di gravi storture legislative che, per il principio che l’ottimo è nemico del bene, dovranno essere oggetto di successiva modifica a opera del parlamento.
17. L’art. 19 va ora mantenuto, ora abrogato, secondo quanto indicato nel prospetto stesso sotto il punto 19.
È questo l’intervento abrogativo più difficile dal punto di vista tecnico: non è il caso, perciò, di stupirsi per la grave incompletezza della norma reale risultante dalla richiesta abrogativa. Essa suonerà così nei primi due commi, che sono i più significativi:
1º «Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza, è punito con la reclusione sino a tre anni».
2º. «La donna è punita con la multa fino a lire centomila».
Non possono sottacersi i seguenti rilievi:
a. Il comportamento di chi cagiona volontariamente l’aborto è punito con una pena irrisoria (da 15 giorni a tre anni), persino inferiore, nel minimo, alla pena prevista per chi cagiona colposamente l’aborto.
b. La donna è punita, in ogni caso, con pena pecuniaria (seppure con la pena tipicamente prevista per il delitto e non per la contravvenzione), come se la condotta della donna fosse necessariamente meno grave di quella del correo.
Si ritiene tuttavia che, nonostante le gravi storture sottolineate, la norma meriti ugualmente di rimanere nell’ordinamento in quanto riaffermante – così come risultante dall’abrogazione parziale proposta – che l’aborto, in ogni caso, costituisce delitto e il suo autore deve essere sottoposto a pena. Analogamente; nel comma 5º, l’inciso: «La donna non è punibile», riferito alla minore degli anni diciotto, nonostante l’incongruità etica che lo motiva, è preferibile sia conservato, poiché il suo mantenimento paradossalmente consente di riaffermare il carattere di reato dell’atto che è dato, nel caso, come non punibile.
18. Nulla quaestio in ordine agli ultimi tre artt. della «legge»: 20, 21 e 22. I primi due vanno integralmente abrogati, in quanto incompatibili con il nuovo contenuto della legge; dell’ultimo va, invece, abrogato soltanto il comma conclusivo, che regola un problema di rapporti di leggi successive nel tempo, con riferimento al rapporto tra gli artt. del codice penale abrogato e la «legge» 22 maggio 1978, n. 194.
La legge risultante dopo l’abrogazione
19. Il testo della legge, risultante in seguito alla richiesta abrogazione parziale, è il seguente (la numerazione degli artt. e dei commi è, ovviamente, conservata secondo la successione della «legge» attuale):
Art. 1.
Lo Stato riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
Art. 2.
I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza:
a) informandola sui diritti a lei spettanti, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio;
b) informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante;
c) attuando direttamente o proponendo all’ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a):
d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.
I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.
Art. 3.
Per l’adempimento dei compiti ulteriori assegnati dalla presente legge ai consultori familiari, il fondo di cui all’articolo 5 della legge 29 luglio 1975, n. 405, è aumentato con uno stanziamento di L. 50.000.000.000 annui, da ripartirsi fra le regioni in base agli stessi criteri stabiliti dal suddetto articolo.
Alla copertura dell’onere di lire 50 miliardi relativo all’esercizio finanziario 1978 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto nel capitolo 9001 dello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro per il medesimo esercizio. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio.
Art. 10.
Sono a carico della regione tutte le spese per eventuali accertamenti, cure o degenze necessarie per il compimento della gravidanza nonché per il parto, riguardanti le donne che non hanno diritto all’assistenza mutualistica.
Art. 17.
Chiunque cagiona ad una donna per colpa l’interruzione della gravidanza è punito con la reclusione da tre mesi a due anni.
Chiunque cagiona ad una donna per colpa un parto prematuro è punito con la pena prevista dal comma precedente, diminuita fino alla metà.
Nei casi previsti dai commi precedenti, se il fatto è commesso con la violazione delle norme poste a tutela del lavoro la pena è aumentata.
Art. 18.
Chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si considera come non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l’inganno.
La stessa pena si applica a chiunque provochi l’interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna.
Detta pena è diminuita fino alla metà se da tali lesioni deriva l’acceleramento del parto.
Se dai fatti previsti dal primo e dal secondo comma deriva la morte della donna si applica la reclusione da otto a sedici anni; se ne deriva una lesione personale gravissima si applica la reclusione da sei a dodici anni; se la lesione personale è grave questa ultima pena è diminuita.
Le pene stabilite dai commi precedenti sono aumentate se la donna è minore degli anni diciotto.
Art. 19
Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza, è punito con la reclusione sino a tre anni.
La donna è punita con la multa fino a lire centomila.
Quando l’interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, chi la cagiona è punito con le pene aumentate fino alla metà. La donna non è punibile.
Se dai fatti previsti dai commi precedenti deriva la morte della donna, si applica la reclusione da tre a sette anni; se ne deriva una lesione personale gravissima si applica la reclusione da due a cinque anni; se la lesione personale è grave questa ultima pena è diminuita.
Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma [ora terzo comma].
Art. 22.
Il titolo X del libro XI del codice penale è abrogato.
Sono altresì abrogati il n. 3) del primo comma e il n. 5) del secondo comma dell’art. 583 del codice penale.
Primo passo verso una legislazione integralmente conforme al diritto naturale e cristiano
20. Non è chi non veda l’incompletezza del testo di legge risultante dalla richiesta di abrogazione parziale che qui si suggerisce: invero, né la parte di prevenzione dell’aborto e di positiva protezione della maternità è sufficientemente svolta, né la parte repressiva si presenta fornita di quel rigore necessario a costituire efficace deterrente nei confronti del crimine dell’aborto.
Non può sottacersi, inoltre, l’aspetto di ingiustizia che impregna le norme fissanti le sanzioni per l’aborto volontario, a cagione della sproporzione tra le pene in esse previste e le pene da altre leggi previste per reati che, obiettivamente e soggettivamente, sono di ben minore gravità dell’aborto.
Tuttavia, fermo restando che, abrogata parzialmente la «legge» vigente, la battaglia per un ordinamento giuridico conforme al diritto naturale e cristiano sarà appena iniziata, deve ugualmente concludersi che la proposta di abrogazione in queste pagine formulata costituisce certamente un progresso sostanziale sulla via della abolizione della barbarie.
a cura della commissione giuridica di Alleanza Cattolica, sotto la direzione del dr. Mauro Ronco, assistente ordinario presso la cattedra di diritto penale dell’Università di Torino