Don Augustyn Babiak, Cristianità n. 403 (2020)
Lo storico e teologo ucraino Augustyn Babiak illustra il ruolo svolto dal metropolita greco-cattolico Andrej Szeptyckyj, proclamato venerabile nel 2015, nella difesa del suo Paese prima dalla persecuzione nazionalsocialista, particolarmente virulenta nei confronti degli ebrei, e poi dall’occupazione sovietica.
Ucraino di sangue e di cuore, polacco di patria, asburgico di cittadinanza, unico vescovo in carica in una regione divisa, politicamente instabile e senza un governo autorevole, succube del regime nazionalsocialista, il venerabile metropolita Andrea Szeptyckyj (al secolo conte Romano Alessandro Maria), dell’Ordine di San Basilio, arcivescovo maggiore di Leopoli degli Ucraini, metropolita di Halyc, nato il 29 luglio 1865 a Prylbyci e morto a Leopoli il 1° novembre 1944 (1), fu chiamato a dare risposte urgenti a scelte difficili, consapevole che ogni sua decisione sarebbe stata oggetto di critica quando non di pericolose ritorsioni. Come capo della Chiesa ucraina, fedele alla sua storia, ne preservò l’identità rivelandosi però nel contempo un pastore super partes, che in veste di pacificatore e mediatore agì al di sopra di ogni schieramento o appartenenza politica e nella concreta azione pastorale mostrò di non operare distinzione alcuna quando si trattava di fare il bene del prossimo, si trattasse di polacchi, di ucraini o di ebrei (2).
Nel 1939, in base agli accordi del Patto Molotov-Ribbentrop che prevedevano l’estensione del controllo sovietico sulla Polonia orientale, la Galizia orientale polacca fu incorporata nella Repubblica sovietica di Ucraina. Nel 1941, confidando nella possibilità di costituire una repubblica autonoma sotto la protezione della Germania, i nazionalisti ucraini accolsero favorevolmente le truppe tedesche che invadevano il Paese.
Anche il metropolita, anziano e in precarie condizioni fisiche, come tutti gli ucraini salutò l’avanzata della Werhmacht vittoriosa che cacciava i russi atei e materialisti, e quando Leopoli fu conquistata si felicitò con il Führer Adolf Hitler (1889-1945) e i nuovi occupanti, presunti liberatori (3).
In una lettera inviata a Papa Pio XII (1939-1958) il 26 dicembre 1939 così Szeptyckyj scriveva dei bolscevichi: «In ogni modo manifestano un’avversione, un odio incredibile per la religione, per il clero, si direbbe quasi un odio per l’uomo in genere». E aggiungeva: «Questo regime si può spiegare solo con una possessione diabolica di massa» (4). La posizione della Chiesa nei confronti di tale ideologia era nota e non aveva subito mutamenti da quando Papa Pio XI (1922-1939) con l’enciclica Divini Redemptoris nel 1937 aveva condannato il comunismo come «intrinsecamente perverso» (5). D’altra parte non era venuta meno l’ostilità dei comunisti nei confronti della Chiesa e questa posizione induceva Hitler a presumere che lanciando i suoi aerei e i suoi carri armati contro Leningrado o Mosca avrebbe potuto atteggiarsi come un crociato della civiltà cristiana (6).
Il giudizio favorevole che agli inizi il metropolita espresse nei confronti degli occupanti tedeschi era probabilmente condizionato anche dalla drammatica esperienza da lui patita a livello personale quando, nel 1939, si vide portar via il fratello Leone, trucidato con l’intera famiglia dai bolscevichi. Durante i due anni di occupazione russa, inoltre, era stato isolato e questa reclusione gli aveva impedito di poter attingere a fonti di informazione indipendenti che gli consentissero di avere un quadro di che cosa realmente accadesse nel Terzo Reich e in Polonia.
Come uomo di cultura, poi, il metropolita Szeptyckyj conosceva la filosofia e la storia tedesca e da nobile qual era aveva molti amici negli ambienti altolocati di Austria e Germania.
Questo intreccio di circostanze non poteva non influire sui giudizi che manifesta a caldo sull’occupante nazionalsocialista. Si augura che il Führer, alle cui mani la Provvidenza aveva affidato le sorti del popolo ucraino, promuova il ripristino oltre che della libertà politica anche della libertà religiosa che il precedente regime aveva soffocato: «È certissimo che sotto i bolscevichi eravamo tutti praticamente condannati a morte; non si nascondeva il desiderio di annientare e di sopprimere il Cristianesimo fino all’ultima traccia» (7), scrive il 30 agosto 1941 in una lettera inviata al Papa tramite il nunzio apostolico a Budapest mons. Angelo Rotta (1872-1965) (8).
Fu una fiducia mal risposta, la sua, e il metropolita dovette ben presto ricredersi: i nazionalsocialisti del Gott mit uns s’imposero in modo brutale e attraverso l’eliminazione fisica e le deportazioni di massa pianificarono una campagna di odio razziale nei confronti degli ebrei, trovando la collaborazione, volontaria o forzata, di non pochi miliziani ucraini.
Ingiuste critiche nei confronti del metropolita
A partire dagli anni Sessantadel secolo scorso, soprattutto da parte di storici e uomini di Chiesa polacchi, sono state sollevate critiche nei confronti del metropolita che avrebbe guardato con favore il regime nazionalsocialsta e avrebbe assicurato la propria benedizione alla divisione delle Waffen SS «Galizien» (9). Rilievi analoghi sono stati raccolti durante la fase testimoniale del processo di beatificazione del metropolita, avviato nel 1958.
È documentato che il metropolita Andrea Szeptyckyj ebbe rapporti epistolari con i vertici del Terzo Reich (10). Si conoscono:
− la lettera personale di protesta del 1° agosto 1941 inviata al ministro degli Affari esteri della Germania nazionalsocialista Joachim von Ribbentrop (1893-1946). In essa contesta il progetto di annessione della Galizia al Governatorato Generale (11), perché sopprimeva le aspirazioni degli ucraini di veder finalmente realizzata l’unione della Galizia con l’Ucraina di Kiev, bramata da secoli e mai compiuta a causa delle spartizioni subite ad opera delle grandi potenze europee occupanti (12);
− la lettera personale di felicitazioni del 23 settembre 1941 inviata ad Hitler (13) per la conquista della capitale Kiev. Conservata negli archivi segreti del KGB — i servizi segreti sovietici — a Kiev, la lettera è poco citata perché si nutrono dubbi sulla sua autenticità: non si sa, infatti, se Szeptyckyj l’abbia scritta di proprio pugno o se abbia soltanto apposto la sua firma sotto un testo preparato da altri. Аndrii Krawczuk sostiene che la lettera non può essere attribuita al metropolita, in quanto il suo contenuto non si concilia in alcun modo con gli interessi vitali dell’Ucraina, né per l’immediato né per il futuro, ed essendo Szeptyckyj persona razionale e capace di analisi lucide, prudente e pragmatica, ma sensibile alle attese del suo popolo, non è credibile che abbia vergato un testo così scarno e povero di prospettive; la ritiene pertanto un falso, confezionato dai servizi segreti russi (14);
− la lettera del 14 gennaio 1942 inviata ad Hitler e conosciuta come «collettiva» in quanto sottoscritta anche da membri dell’OUN (15) che facevano parte del governo di Yaroslav Stetsko (1912-1986), leader della formazione nazionalista (16). Quanti contestano al metropolita l’appoggio al regime nazionalsocialista adducono come prova-principe questo documento nel quale Szeptyckyj, in veste di membro del Consiglio Nazionale Ucraino di Leopoli, aderendo alla posizione dei nazionalisti, auspica la «distruzione della Polonia» a opera del Terzo Reich e l’abolizione del trattato di Versailles del 1919 che favoriva «i nemici dell’Ucraina, vale a dire la Polonia e la Russia» (17). La lettera fa discutere gli storici innanzitutto in ordine alla sua autenticità, non da tutti riconosciuta; ma anche in ordine al tenore delle considerazioni contenute, espressione di un’adesione convinta da parte di Szeptyckyj secondo taluni, di non soppesate valutazioni secondo altri.
Questa è la tesi di alcuni studiosi ucraini che ipotizzano che il metropolita, non compiutamente informato sulle atrocità operate dai nazionalsocialisti, abbia dato il proprio consenso al documento sottopostogli (18).
Тaras Hunchak e Roman Slochanyk hanno ripercorso i movimenti della lettera pubblicata nel 1983 in traduzione in lingua ucraina dall’originale scritto in tedesco senza però pervenire a conclusioni definitive (19).
Volodymyr Serhiychuk la ritiene un prodotto della campagna di disinformazione del KGB (20). Anche il cardinale Tissera è dell’opinione che la lettera sia un falso. E così padre Ambrogio Eszer O.P., il quale sostiene che la «collettiva» approvata dal metropolita è un documento confezionato con lo scopo di infangare la fama del metropolita. Pur condividendo l’opinione di quanti criticano Szeptyckyj per non avere dato prova di «grandi capacità strategiche nell’arte del compromesso», il relatore generale della causa ritiene che per rispetto della verità si debba ridimensionare l’asserito quadro di conflittualità di rapporti intercorsi fra il metropolita e i polacchi, derubricando alcune espressioni messe in bocca al venerabile — per esempio: «I nazisti avrebbero fatto bene a invadere la Polonia» — al modo liquidatorio di considerare le cose che la gente comune impiega nelle discussioni;
− la lettera personale del febbraio 1942 inviata a Hitler. È citata solamente da Andrej Zięba e da alcuni scrittori polacchi (21). Sulla sua autenticità gli storici non concordano, per la presenza di sfasature cronologiche riscontrabili nel testo, che fu intercettato dal governo polacco in esilio e trasmesso alla Santa Sede da Londra (22);
− la lettera personale del febbraio 1942, inviata al capo delle SS Heinrich Luitpold (1900-1945) (23). In essa, denunciando apertamente lo sterminio degli ebrei pianificato dal regime, il metropolita esprime un severo giudizio sui nazionalsocialisti per i comportamenti inumani da loro adottati ed esorta i giovani ucraini, forzati a commettere delitti, a non lasciarsi coinvolgere in simili crimini (24). Di questo testo non si conosce l’originale, che non è stato rinvenuto in alcun archivio; tre testimoni, però, confermano che la lettera è stata recapitata al destinatario. Essi riferiscono che il metropolita era preoccupato delle reazioni e temeva arresti, fucilazioni senza processo e ritorsioni sui fedeli della sua eparchia. Risulta che, dopo l’invio della lettera, cinque membri del Consiglio Nazionale Ucraino furono minacciati dalla Gestapo, la polizia politica nazionalsocialista, e che il monaco studita tedesco Johans Peters (1905-1995), incaricato di recapitarla a Berlino, venne fermato e condotto nel Lager di Dachau (25). Himmler rispose seccamente che il metropolita non doveva interferire nelle cose che non lo riguardavano (26).
Denuncia del carattere «diabolico» dell’occupazione nazionalsocialista
Se nei primi mesi dell’invasione nazista il metropolita Szeptyckyj non si pronunciò pubblicamente e in modo esplicito contro gli occupanti frenato da una sorta di fiduciosa attesa alimentata da una parte da un momentaneo sollievo per la liberazione dal giogo sovietico (27) e dall’altra dalla consonanza con le posizioni tenute in quel momento dalla Santa Sede, in due lettere inviate a Papa Pio XII e in una lettera indirizzata al cardinale Tisserant, prendendo una posizione netta e coraggiosa (28) descrive la situazione che si vive in Ucraina e riferisce dei piani di sterminio e violenza messi in atto contro gli ebrei e la popolazione civile, martellata da un’insistente campagna di propaganda del regime nazista (29). Le tre lettere non avranno risposta.
Il 28 marzo 1942 il metropolita scrive a Papa Pio XII: «Considerano gli Ebrei come prigionieri di guerra e organizzano massacri di migliaia di donne e bambini. Nelle grandi città dell’Ucraina hanno rastrellato tutti gli Ebrei, che non sono riusciti a fuggire prima dell’arrivo dei Tedeschi e, secondo relazioni attendibili, hanno massacrato quasi 130.000 persone a Kiev e in modo analogo hanno agito in altre città. […] Fin dall’inizio della guerra parecchi giovani [ucraini] si sono arruolati nel corpo di polizia, allo scopo di collaborare con la polizia tedesca nel giustiziare gli arrestati, agevolando così il lavoro del boia. […] Non sono stati arrestati e messi a morte solo gli ebrei. I nazisti hanno condannato, senza processo, i migliori intellettuali ucraini, semplicemente perché da loro considerati nemici. Ci hanno ingannato ignobilmente e noi potremo produrre centinaia di casi in cui abbiamo sperimentato un potere e un regime implacabili. Temiamo che il peggio sia ancora davanti a noi, perché questo regime è il regime del “Terrore”» (30).
Espressioni analoghe e toni altrettanto severi nei confronti del potere «diabolico» istaurato dai nazisti troviamo nella lettera del 29-31 agosto 1942 indirizzata ancora a Papa Pio XII: «[…] a poco a poco il Governo ha istaurato un regime di terrore e di corruzione veramente incredibile, che diviene di giorno in giorno più pesante e più insopportabile. Oggi tutto il Paese è concorde nell’affermare che il regime tedesco è forse peggiore del regime bolscevico in quanto a cattiverie e atrocità, un regime quasi diabolico. […] Gli Ebrei sono le prime vittime e il numero di Ebrei assassinati nel nostro piccolo Paese ha certamente superato i duecentomila. […] Tutti noi prevediamo che il regime del terrore andrà aumentando e si abbatterà prevalentemente sui cristiani ucraini e polacchi. I boia infatti, abituati a massacrare Ebrei e migliaia di persone innocenti, sono abituati a versare sangue e hanno sete di sangue» (31).
Nel dicembre 1942, il metropolita scrive anche al prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, cardinal Tisserant, e denuncia i crimini dei nazisti «pazzi furiosi»: «[…] Il terrore aumenta. In questi ultimi due mesi a Lviv sono stati assassinati più di 40.000 Ebrei. Le autorità hanno perquisito la Chiesa, la residenza vescovile e alcuni monasteri. […] Due monaci sono stati arrestati e incarcerati ed è possibile che si voglia celebrare contro di loro un processo esemplare. Gli arresti continuano. Si tratta di un regime di pazzi furiosi» (32).
Appello per evitare la violenza fratricida in Ucraina
La brutalità dell’occupazione nazionalsocialista, che assunse aspetti profondamente razzisti, indusse i nazionalisti a rivolgere le armi contro i tedeschi, conducendo nel contempo una lotta armata contro i sovietici, che sarebbe durata, con sacche di resistenza, anche dopo la fine della guerra. Il contenuto di cinque lettere pastorali prova che il metropolita Szeptyckyj si batté per richiamare i belligeranti al rispetto per la vita e a spezzare la spirale di odio e violenza fratricida che insanguinava la nazione.
La prima lettera, scritta il 10 luglio 1941 a poche settimane dall’invasione, s’intitola «L’organizzazione delle parrocchie e le comunità parrocchiali» e contiene un richiamo ai fedeli ad agire secondo coscienza e nel rispetto del Decalogo divino (33).
La seconda, del 9 ottobre 1941, ha come tema l’omicidio. Il metropolita scrive che «[…] il peccato di omicidio tocca in modo profondo il fondamento della cultura dei popoli, perché il primo postulato di questa cultura è il rispetto della vita umana. La nazione che non ha imparato a rispettare la vita è una nazione selvaggia non degna di stare fra le nazioni cristiane nel mondo» (34).
Il 19 maggio 1942 scrive Sulla misericordia. Quando il terrore ormai imperversava e la mancanza di cibo e la miseria si facevano più opprimenti, nel timore che si potesse ripetere la tragedia dell’Holodomor (Grande Fame) che il primo segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica Iosif Vissarionovič Džugašvili «Stalin» (1878-1953) aveva provocato fra il 1932 e il 1933, il metropolita richiama al dovere della misericordia, cui adempiere anche là dove sembra che il bisogno superi le nostre possibilità. Con accorata insistenza sollecita i sacerdoti ad educare i fedeli alla solidarietà, senza guardare alle condizioni sociali e alla razza di chi chiede e a fare crescere «nelle loro coscienze […] un autentico rifiuto del peccato» (35).
Nella quarta lettera, Non uccidere!, pubblicata il 21 novembre 1942, il metropolita ritorna sull’osservanza del quinto comandamento, tema da lui trattato e discusso anche nelle sessioni sinodali eparchiali. In essa condanna la pratica inumana delle rapine, delle uccisioni, delle violenze perpetrate contro gli avversari politici e i comuni cittadini, ebrei e polacchi. Per tentare di arginare le atrocità e i bagni di sangue che si consumavano in alto numero nella sua arcieparchia e vedevano coinvolti soprattutto i giovani, disorientati e senza freni, il 27 marzo 1942 il metropolita aveva inserito l’omicidio tra i peccati sanzionabili ipso facto con la scomunica, che poteva essere rimossa solo dal vescovo. Non verrà ascoltato. Raccomanda ai sacerdoti di vigilare continuamente sulle coscienze dei fedeli senza stancarsi di richiamarli al valore della vita che appartiene a Dio e che per nessun motivo l’uomo può cancellare (36): le comunità e le nazioni che non osservano il quinto comandamento concorrono alla propria autodistruzione. Contrastare le ideologie che incitano all’odio, reagire all’indifferenza ed ai silenzi omissivi, denunciare il male è un obbligo morale (37). Anche se non nominava colpevoli e mandanti, poiché la censura vietava ogni riferimento agli ebrei, percepito come atto ostile al Terzo Reich, la lettera lasciava eloquentemente trasparire il senso del messaggio che intendeva trasmettere (38), tanto che incontrò il consenso anche fra gli ebrei e i polacchi, costretti dai nazionalsocialisti alla clandestinità (39).
Il 14 agosto 1943, nella lettera Non cedere alle provocazioni e non commettere atti di terrore, con toni preoccupati il metropolita richiama il suo popolo alla drammaticità del momento: la guerra era alla fine, il regime nazionalsocialista spazzato via lasciava il posto ai vincitori dell’Armata Rossa e per la Chiesa ucraina si annunciavano di nuovo tempi bui e dolorosi. Si augura il ritorno alla normalità nell’ordine e nella disciplina: gli appelli alla pacificazione che aveva rivolto ai partiti e alla gente comune erano rimasti inascoltati e c’era il rischio che la situazione degenerasse nell’anarchia. Si rivolge ai genitori, alle mamme in particolare, perché siano testimoni di accoglienza e di rispetto, educando i figli a non rinnegare la fede degli avi e ad astenersi dalle provocazioni, dai furti, dalle violenze che innescano reazioni senza fine; li mette in guardia contro le insidie della propaganda comunista, rammentando le parole di Cristo: «Io sono la Via, la Verità e la Vita» (Gv. 14,6) (40): chi mette da parte Dio e lo cancella dall’orizzonte dell’uomo fa morire l’uomo.
Nel 1944 l’Ucraina ritornò sotto il controllo delle forze sovietiche, che scatenarono una feroce repressione nei confronti della popolazione, accusata collettivamente di collaborazionismo con i nazisti. Un’ideologia materialistica tornava ad imporsi con le leggi dello Stato. La Chiesa greco-cattolica scendeva nelle catacombe.
In difesa della comunità ebraica
Fin dal suo insediamento come vescovo, il metropolita aveva instaurato stretti rapporti con la comunità ebraica, soprattutto con i rabbini e con quanti promuovevano la cultura e il dialogo religioso. E la comunità ricambiava, festeggiando con lui i compleanni o gli anniversari e quando era in visita pastorale i fedeli gli andavano incontro in segno di rispetto ed amicizia dandogli il benvenuto con la Torah (41).
Durante l’occupazione nazionalsocialista il metropolita si attivò a favore degli ebrei perseguitati anche con le opere: risulta infatti che offrì loro conforto spirituale ed in alcuni casi anche economico e diede disposizioni perché i monasteri studiti e basiliani della sua eparchia concedessero loro rifugio. In seguito alle spiate di delatori le SS perquisirono la sua residenza vescovile a Leopoli ma non trovarono alcun rifugiato. Himmler volle farlo arrestare dalla Gestapo ma dovette rinunciare per la popolarità di cui il pastore godeva fra gli ucraini che si sarebbero opposti a una simile azione (42).
Sull’aiuto che il metropolita offrì agli ebrei disponiamo della testimonianza di Kurt Lewin, figlio del rabbino capo della comunità ebraica di Leopoli Yecheskiel Lewin (1898-1941), salvato dal metropolita quando aveva diciassette anni, che depose davanti al Tribunale Rogatoriale di Roma nel giugno del 1959.
Citiamo di seguito alcuni passi della sua deposizione: «Ero molto contento che, finalmente, si fosse trovato un giudice favorevolmente disposto alla causa e che per di più sapeva dei difficili rapporti che intercorrevano tra polacchi ed ucraini e aveva presente il contesto politico nel quale si era dovuto muovere il metropolita.
«Padre Michel de Lattre mi informò, con qualche imbarazzo, che il processo era stato sospeso dal Papa a causa dell’intervento, nel corso del 1958, del cardinale Stefan Wyszyński [1901-1981], il quale temeva un’accelerazione dell’iter. Secondo il Primate polacco, il Metropolita era una figura controversa sia per la sua azione pastorale che per il suo coinvolgimento nella politica, e la situazione in cui si trovava il cardinale Wyszyński in quel momento rendeva il processo non auspicabile» (43).
«Avevo comunque la consapevolezza che la mia presenza e la mia testimonianza di ebreo si erano rivelate molto importanti, perché arrivavano in un momento particolare, di silenzio della Chiesa e di Papa Pio XII nei confronti dell’Olocausto» (44).
Il processo si avviava in un contesto difficile e in un clima sfavorevole. Lo conferma anche la testimonianza del vescovo polacco ex cappellano dell’esercito, residente a Roma, monsignor Giuseppe Gawlina (1892-1964) (45), che aveva incontrato due volte il metropolita Szeptyckyj, nel 1927 e nel 1935, con il quale aveva parlato della situazione internazionale, in particolare dei rapporti fra polacchi e ucraini: «In linea di massima desidero la beatificazione del Servo di Dio; mi sono chiesto soltanto se è opportuno che, vivente l’attuale generazione, si dia corso al presente Processo, viste le animosità di carattere nazionale che oggi sono ancora vive» (46).
Nel 1995 lo scrivente invitò Kurt Lewin come relatore ad un convegno presso l’Università cattolica di Lione in occasione del 50° anniversario della morte di Andrea Szeptyckyj. Alla domanda se avesse potuto quantificare il numero degli ebrei ai quali il metropolita offrì un rifugio, Lewin rispose che nessuno poteva dire con esattezza il numero dei suoi correligionari salvati dalle retate della Gestapo in quanto, per la maggior parte, si trattava di bambini o di adolescenti accolti in vari monasteri di Leopoli e nei villaggi della periferia. Spiegò che non era facile proteggerli, perché nella concitazione di quei drammatici momenti non volevano staccarsi dalle famiglie e i genitori non volevano separarsi da loro trovandosi nella più angosciosa incertezza circa la sorte che li attendeva. Nessuno, quindi, si premurò di compilare un elenco e per la paura di delazioni o di tradimenti tutti s’imposero una discrezione assoluta. Lewin affermò che gran parte dei superstiti concordava nel fatto che il metropolita e suo fratello, il beato Clemente (1869-1951), salvarono circa centocinquanta ebrei e che egli, a partire dagli anni 1960, presenziò a diversi incontri sia in Europa sia in America ai quali partecipavano non meno di un centinaio di sopravvissuti.
La testimonianza di Kurt Lewin è stata confermata da altri ebrei, a cominciare dal fratello minore, Nathan Lewin, che conobbe personalmente il metropolita nel 1942 quando aveva dieci anni. A Roma, nel 1964, ha reso una deposizione breve ma cruciale per mostrare l’eroicità del metropolita, il quale non temeva di mettere in pericolo la propria vita pur di salvare quella altrui: «[…] Io debbo la vita al metropolita Szeptyckyji […] Sono a conoscenza del fatto che scrisse una lettera pastorale alle sue comunità sollecitandole a non uccidere gli Ebrei e a non cooperare alla loro uccisione. So che salvò almeno cinquanta Ebrei […] e gravi rischi corsero i suoi collaboratori nel salvare me e gli Ebrei» (47).
Il rabbino Meir David Kahane (1932-1990) nella sua deposizione a Roma nel 1965 ha ricordato così il metropolita: «Sia il suo popolo e i suoi fedeli, sia anche la popolazione ebrea della Galizia, lo hanno tenuto in grande onore e lo hanno considerato già in vita, e anche dopo la sua morte, come un uomo santo. Questa fama è stata costante e non momentanea. Credo che un uomo di elevate qualità spirituali, di elevata moralità e puro amore del prossimo, pronto a sacrificare la sua stessa vita per la salvezza degli altri, uno che praticava l’amore del prossimo da uomo a uomo, senza guardare alla diversità di razza, di fede e di nazionalità, sia un uomo ricco di elevate virtù umane e meriti l’appellativo di santo» (48).
Kurt Itzhak Lewin, che conobbe personalmente il metropolita fin dal 1935, ha detto: «Mentre era in vita, era opinione generale degli Ucraini che egli fosse un uomo di straordinarie virtù, anzi, che fosse un uomo santo. E non intendo soltanto parlare dei cattolici, ma anche della Comunità ebraica» (49).
Zwi Barnea, un ebreo salvato dal metropolita, nel 1964 ha testimoniato: «[…] già prima di conoscerlo, avevo sentito che era una persona desiderosa di aiutare gli altri, che era un santo nel senso che noi Ebrei diamo alla parola: dico soltanto che era un uomo giusto, e dopo averlo incontrato mi accorsi ancora di più che era una persona buona e gentile» (50).
In momenti diversi è stato proposto di inserire il metropolita Andrea Szeptyckyj nell’elenco dei Giusti di Israele, ma i giudici di «Yad Vashem», fino ad ora, hanno sempre rifiutato, riconoscendo invece, nel 1995, il titolo di Giusto a suo fratello Clemente (51).
Nell’ottobre 2000, in una relazione dal titolo Vaticano e Olocausto, la Commissione Storica Cattolico-Ebraica (Catholic-Jewish Historical Commission) ha riconosciuto la statura morale e l’integrità del metropolita Szeptyckyj, che ebbe il coraggio di denunciare l’operato dei nazionalsocialisti contro gli ebrei: «In base alle nostre conoscenze nessun membro della gerarchia della Chiesa cattolica ha denunciato in modo così chiaro ciò di cui era stato testimone diretto, esprimendo la propria inquietudine per la sorte degli ebrei in quanto avvertiva chiaramente che l’intenzione dei tedeschi era la loro eliminazione razziale. Perciò egli condannò pubblicamente i crimini contro gli ebrei, mentre alcuni ucraini cattolici collaboravano invece con i tedeschi» (52).
Alla luce di queste testimonianze, emerge come l’azione del metropolita Andrea in un mondo oppresso da due ideologie totalitarie, quella nazionalsocialista e quella comunista, fu motivata dalla volontà di fare spazio alla Verità che libera. Chiamato a operare fra pesanti condizionamenti storici e culturali, si caricò della sua responsabilità di pastore e, pur con tutti i suoi limiti, non rimase inerte ma agì mentre altri, anche uomini di Chiesa, sullo stesso scenario fecero poco.
Coerente e fedele a un principio che fin dalla sua giovinezza orientò le sue scelte di vita, non lo barattò mai, né per opportunità né per convenienza. Coerente alla parola di Dio, visse in maniera eroica la virtù cristiana dell’Amore e scelse coraggiosamente di testimoniare piuttosto che tacere, perché la logica dell’amore è la fedeltà e non può avere due facce.
Nell’aprile 2012 il metropolita Szeptyckyj è stato proclamato dal Parlamento canadese «uomo coraggioso» (53).
Il 16 luglio 2015 Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto riguardante le virtù eroiche del venerabile Andrea Szeptyckyj.
Note:
∗ Sacerdote greco-cattolico, è nato a Charytany (Polonia) nel 1959. Ordinato a Przemyśl nel 1986, ha conseguito il baccellierato in Teologia a Lublino e la laurea in Teologia presso l’Università Cattolica di Lione nel 1999. Bi-ritualista, celibe, incardinato nell’eparchia di Parigi, dal 2002ècappellano delle comunità greco-cattoliche ucraine in Trentino-Alto Adige e collaboratore pastorale nella zona pastorale di Trento (arcidiocesi di Trento), ove risiede. È autore di numerose pubblicazioni sulla storia della Chiesa greco-cattolica ucraina e in particolare sulle figure del metropolita Andrea Szeptyckyj e del cardinale Yossyf Slipyj (1892-1984). Tutte le traduzioni, salvo indicazione contraria, sono dell’autore.
1) Cfr. [Don] Cyrille Korolevskij [Jean François Joseph Charon] (1878-1959), Métropolite André Szeptyckyj (1865-1944), Esse-Gi-Esse, Roma 1964; n. ed., Le prophète ukrainien de l’unité. Métropolite André Szeptyckyj (1865-1944), con una presentazione di dom Patrick de Laubier (1935-2016) e una prefazione del card. [Eugène] Tisserant (1884-1972), François-Xavier de Guibert, Parigi 2005; Paul Robert Magoscie Andrii Krawchuk (a cura di), Morality and Reality. The Life and Times of Andrei Sheptyts’kyi, introduzione di Jaroslav [Jan] Pelikan (1923-2006), Canadian Institute of Ukrainian Studies. University of Alberta, Edmonton (Alberta, Canada) 1989. Cfr. anche il saggio di Liliana [Romanivna] Hentoš, The Metropolitan Andrei Šeptytsky’s Role in Concluding Concordat Between the Apostolic See and Poland (1925),in Poznańskie Studia Slawistyczne, n. 10, gennaio-giugno 2016, pp. 115-128.
2) Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, Romae 2003, vol. I, p. 151.
3) Cfr. L. [R.] Hentoš, Pro stavljennja mitropolita Shjeptitskogo do nіmjetskogo okupatsіjnogo rjezhimu v kontjekstі dokumjenta z kantsjeljarії Alfrjeda Rozjenbjerґa [Sull’atteggiamento del metropolita Szeptyckyj verso il regime di occupazione tedesco nel contesto di un documento dell’ufficio di Alfred Rosenberg], in Ukraїna modjerna, n. 20, Leopoli 2013, pp. 296-317; e Adam D.[aniel] Rotfeld, Obcy wsrόd swoich [Sconosciuti fra loro], in Znak, n. 749, Cracovia 2017, pp. 40-51.
4) Cit. in Pierre Blet S.J. (1918-2009), Pio XII e la seconda Guerra mondiale negli archivi vaticani, San Paolo, Milano 1999, pp. 106-107.
5) Pio XI, Lettera enciclica sul comunismo ateo «Divini Redemptoris», del 19-3-1937, n. 58. Gregorio Chomyschyn (1867-1947), vescovo greco-cattolico ucraino dell’eparchia di Stanislaviv, in una lettera del 6 agosto 1941, dopo la ritirata dell’Armata Rossa, espresse questo giudizio: [I bolscevichi] «sono bestie feroci animate da spirito diabolico».
6) Cfr. P. Blet S.J., op. cit., p. 156.
7) Volodymyr Serhijchuk (a cura di), La liquidazione della Chiesa Ucraina greco-cattolica (1939-1946). Documenti degli organi statali della sicurezza, Fondazione «Eredità» e «Sicurezza» USA, Kiev 2006, vol. I, pp. 179-180.
8) Cfr. Andrzey Szeptyckyj, Lettera a Papa Pio XII, in P. Blet S.J., Angelo Martini S.J. (1913-1981), Burkhart Schneider S.J. (1917-1976) e Robert Graham S.J. (1912-1997), Actes et documents du Saint Siége relatifs á la seconde guerre mondiale (ADSS), 11 voll., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1965-1981, vol. III, tomo 1, 1967, doc. 297, p. 437.
9) Cfr. Andrzej A. Zięba, Szeptycki w Europie Hitlera [Szeptycki nell’Europa hitleriana], in Prawda historyczna a prawda polityczna w badaniach naukowych. Ludobójstwo na Kresach południowo-wschdoniej Polski w latach 1939-1946 [Verità storica e verità politica nella ricerca scientifica. Il genocidio alla frontiera sud-orientale polacca nel periodo 1939-1946], a cura di Bogusław Paź, Wydanie, Cracovia 2013, pp. 405-430; AdamKubasik, Arcybiskupa Andrzja Szeptyckiego wizja ukraińskiego Narodu, Państwa i Cerkwi [Idee dell’arcivescovo Andrzej Szeptycki sulla nazione, lo Stato e la Chiesa ucraini], Casa Editrice Beato Jakuba Strzemię-Arcidiocesi di Leopoli, Leopoli-Cracovia 2016, pp. 85-109; Don Tadeusz Izakowicz-Zaleski, Przemilczane ludobόjstwo na kresach [Genocidio silenzioso nelle terre di confine], Małe Wydawnictwo, Cracovia 2008; e Don Jόzef Wołczański, «Eksterminacja narodu polskiego i Kościoła Rzymskokatolickiego przez ukraińskich nacjonalistόw w Małopolsce Wschodniej w latach 1939-1945». Materiały źrόdłowe [Sterminio della nazione polacca e della Chiesa cattolica romana da parte di nazionalisti ucraini nella Piccola Polonia orientale nel 1939-1945. Materiali originali], cz. 1, Casa Editrice Beato Jakuba Strzemię-Arcidiocesi di Leopoli, Cracovia 2005.
10) Cfr. Positio, Informatio super virtutibus et fama sanctitatis, cit., vol. I,pp. 94-99 e 271-274.
11) Il Governatorato Generale per le aree occupate della Polonia, organismo amministrativo istituito nella regione della Galizia sotto il totale controllo dei tedeschi, era suddiviso in quattro distretti: Varsavia, Lublino, Radom e Cracovia, dove aveva sede.
12) Cfr. Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis cit., vol. I, p. 272.
13) Secondo il relatore generale della causa di beatificazione, padre Ambrogio Eszer O.P., la lettera non è attendibile.
14) Cfr. A. Krawchuk, Christian Social Ethics in Ucraine. The Legacy of Andrei Sheptytskyi [Etica sociale cristiana in Ucraina. L’eredità di Andrei Sheptytskyi], Canadian Institute of Ukrainian Studies Press, Ottawa-Toronto 1997, pp. 232-234.
15) Organizzazione Ucraini Nazionalisti.
16) Cfr. Archivio Statale del Servizio di Sicurezza dell’Ucraina, Fondo 13, causa 372, vol. 37, ff. 266-269. Anche su questa lettera il relatore generale padre Eszer ha espresso forti riserve in ordine alla sua autenticità e attendibilità.
17) La lettera è riportata da Gregor Prokoptschuk, Metropolit Andreas Graf Scheptyckyj. Leben und Wirken des großen Förderers der Kirchenunion [Il Metropolita Andrea conte Scheptyckyj. Vita e opere del grande promotore dell’unione delle chiese], 2a ed., Monaco di Baviera 1967, pp. 212-21 e, in traduzione russa, da G. Prokoptschuk, La liquidazione della Chiesa Ucraina greco-cattolica (1939-1946). Documenti degli organi statali della sicurezza. Cfr. V. Serhiychuk, La liquidazione della Chiesa Ucraina, cit., pp. 184-189.
18) Cfr. A. Krawchuk, op. cit., pp. 232-233; V. Serhijchuk, op. cit., vol. I, pp. 184-189; e L. Hentoš, Pro stavljennja mitropolita Shjeptitskogo do nіmjetskogo okupatsіjnogo rjezhimu v kontjekstі dokumjenta z kantsjeljarії Alfrjeda Rozjenbjerґa, cit., pp. 296-315.
19) Cfr. Тaras Hunchak e Roman Slochanyk (a cura di), Ukraїns’ ka suspіl’ no-polіtichna dumka v 20 stolitti [Il pensiero politico-sociale ucraino nel secolo XX], 3 voll., Sucǎsnist, New York 1983; nonché Iidem, in un articolo nella rivista ucraina edita negli Stati Uniti Sucǎsnist, Ukraïns’ke Tovarystvo Zakordonnykh Studiĭ [Società di Studi Esteri ucraina], pp. 44-47. La lettera, conservata nell’archivio storico di Berlino, riporta le sigle: Reichsministerium für die Besetzten Ostgebiete, microcopy n.454, roll. 92, doc. EAP 99/434, e firme che si ritengono autentiche, compresa quella del Metropolita. Nell’Archivio di Lviv, nella fonte 358, si trovano tre documenti datati gennaio 1942, inerenti sempre la lettera indirizzata a Hitler: il primo è un abbozzo in lingua ucraina; il secondo è un abbozzo in lingua tedesca; il terzo, il testo definitivo, è in lingua tedesca. Sul fatto che Andrea Szeptyckyj, prima di sottoscriverlo, abbia letto l’abbozzo definitivo (in lingua tedesca) non dovrebbero sussistere dubbi. Una perizia grafologica, però, finora mai eseguita, che mettesse a confronto le firme presenti sui tre documenti potrebbe dirimere definitivamente la questione dell’autenticità della firma stessa. Rimarrebbe poi il dubbio se Szeptyckyj condividesse quanto scritto o se lo avesse firmato dopo aver dato un generico consenso. A. Krawczuk(cfr. op. cit., p. 232) sostiene l’autenticità della lettera e della firma sottostante. Lo scrivente nutre dubbi sull’autenticità di questo documento, il cui contenuto non esprime il pensiero del Metropolita che per tutta la vita si spese per il dialogo e la concordia fra il popolo polacco e il popolo ucraino.
20) Cfr. Т. Hunchak e R. Slochanyk, op. cit., p. 189.
21) Cfr. A. Zięba, op. cit., pp. 405-430; nonché A.Kubasik, op. cit., pp. 85-109; e Don T. Izakowicz-Zaleski, op. cit., pp. 64-67.
22) Cfr. John Paul Himka, Metropolitan Andrey Sheptytsky and Holocaust, in Polin Studies in Polish Jewry, vol. 26, Jews and Ukrainians, a cura di Yohanan Petrovsky-Shtern e AntonyPolonsky, Oxford University Press, Oxford (Regno Unito) dicembre 2013, pp. 337-359 (p. 345).
23) Cfr. Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis. Summarium documentorum, cit., vol. II, p. 311; e Shimon Redlich, Moralnyje printsipy v povsjednjevnoj djejstvitjelnosti. Mitropolit Andrjej Shjeptitskij i jevrjei v pjeriod holokosta i vtopoj mirovoj vojny [Princìpi morali nella realtà quotidiana: il metropolita Andrey Szeptyckyj e gli ebrei durante l’Olocausto e la seconda guerra mondiale], in Egupjets. Hudozhno-publіtsistichnij almanah [Egiziano. Almanacco artistico e pubblicitario], Istituto di Studi Ebraici, Kiev 2006, n. 16, Spirito e letteratura, pp. 206-211 (p. 207).
24) Cfr. J. P. Himka, op. cit., p. 347.
25) Cfr. Hans Jakob Stehle, Sheptyts´kyi and the German Regime, in P. R. Magosci e A. Krawchuk (a cura di), op. cit., pp. 125-144 (p. 131). Cfr. anche Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, cit., vol. II, pp. 48-49.
26) La rivista UNITAS (vol. XII, n. 2, Estate, New York 1960, Comments and Documents, p. 138) riporta la testimonianza di Kurt Itzhak Lewin che ha lavorato nella biblioteca e negli archivi del metropolita nel 1943-1944, dove ha rinvenuto una copia della lettera indirizzata a Himmler e la risposta di Himmler in cui questi consiglia al metropolita di non interferire nelle cose che non lo riguardano.
27) Cfr. P. Blet S.J., op. cit., pp. 106-107.
28) Cfr. Tadeusz Śliwa, Kontakty Metropolity Szeptyckiego ze Stolicą Apostolską w okresie II Wojny światowej w śvietle «Actes et documents du Saint Siége relatifs á la seconde guerre mondiale»,in Metropolita Andrzej Szeptyckyj. Studia i materiały [Contatti del Metropolita Szeptycki con la Santa Sede durante la Seconda Guerra Mondiale alla luce degli Actes et documents du Saint Siége relatifs á la seconde guerre mondiale, in Metropolita Andrzej Szeptyckyj. Studi e materiali], Polska Akademia Umejetności [Accademia Polacca delle Scienze], Cracovia 1994, I, pp. 194-205.
29) Cfr. ADSS, vol. 3, pp. 625-629.
30) Lettera a Papa Pio XII, del 28 marzo 1942, in Archivio Centrale Storico Statale di Lviv [in seguito: CDIAL], fonte 201, causa 1m, vol. 90, ff. 25-26; cfr. anche Relatio et Vota Congressus Peculiaris super Virtutibus, Roma 2007, pp. 189-191.
31) ADSS, vol. III. parte 2, doc. 406, pp. 625-629.
32) CDIAL, fonte 201, causa 1m, vol. 90, ff. 25-26; cfr. anche Relatio et Vota Congressus Peculiaris,cit., pp. 189-191.
33) Cfr. A. Krawczuk, op. cit., p. 253.
34) Pastyrski Poslannia [Lettere pastorali]. 1941-1944, in Mytropolyt Andrej Szeptyckyj. Documenty i Materialy (1941-1944), a cura di Žhanna Kovba, 2 voll., Kiev 2003, Duh i litera, p. 46.
35) Pastyrski Poslannia.1939-1944, in Mytropolyt Andrej Szeptyckyj (1939-1944), a cura di mons. Michail Hrynchyshyn C.Ss.R. [postulatore] (1929-2012) e [mons.] Bohdan Dziurakh, Fondazione Andrej-Casa editrice Artos, Leopoli 2010, vol. III, pp. 206-223.
36) Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis. Summarium documentorum, cit., vol. II, pp. 376-377.
37) Ibidem.
38) Papa Pio XII, il 10 maggio 1940, per condannare l’invasione nazionalsocialista dei Paesi neutrali Belgio, Olanda e Lussemburgo, usò questa espressione: «Vi auguro di ristabilire la giustizia, la libertà e l’indipendenza», in ADSS, vol. 1, pp. 444-451; e cfr. P. Blet S.J., op. cit., pp. 105-107.
39) Cfr. Ryszard Torzecki (1925-2003), Kwestia ukrainska w Polsce w latach 1923-1929 [La questione ucraina in Polonia negli anni 1923-1929], Wydaw Literackie [Casa Editrice Letteraria], Cracovia 1989, pp. 135-136; rivista UNITAS, vol. XII, n. 2, New York 1960, pp. 137-138; Juri Skira, Poklikanі. Monahi studіjnogo ustavu ta golokost. Duh і lіtjera [Chiamati. I monaci studiti e l’Olocausto. Spirito e lettera], Kiev 2019, pp. 49-50.
40) Cfr. Pastyrski Poslannia 1939-1944, cit., pp. 302-305.
41) Cfr. Y. Skira, op. cit., pp. 32-40.
42) Julian Jakob Bussgang, Metropolitan Sheptytsky. A Reassessment, in Polin Studies in Polish Jewry, cit., vol. 21, 1968 Forty Years After, a cura di Leszek W. Gluchowski e A. Polonsky, novembre 2008, pp. 401-425.
43) Kurt Itzhak Lewin, A Journey through Illusions, Fithian Press, Santa-Barbara (California) 1994, pp. 248 e 255.
44) Ibid., p. 252.
45) Cfr. Annuario Pontificio, 1959, p. 643; e Piotr Jerzy Badura S.J., voce Gawlina, Józef Feliks, in Ludwik Grzebień S.J. (a cura di), Słownik polskich teologόw katolickich [Dizionario dei teologi cattolici polacchi] (1918-1981), 4 voll., Polskie Towarzystwo Teologiczn, Varsavia 1983, vol. IV, pp. 429-432.
46) Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, cit., vol. I, pp. 46-47.
47) Ibid., Summarium testificale, vol. I, pp. 248-250, §74, §487.
48) Positio, Summarium testificale, vol. I, p. 247.
49) Ibid., vol. I, p. 57, §74.
50) Zwi Barnea, ibid., vol. I, p. 261.
51) Sarah Fainberg — Les discrimminés. L’antisémitisme soviétique après Staline, Fayard, Parigi 2014 — narra dell’«affaire du Métropolite Szeptyckyj», dove tratta del rifiuto dello Yad Vashem di accordare la definizione di «giusto» al metropolita. Per il filosofo Bernard Henri Lévy la decisione dello Yad Vashem non è definitiva, perché la commissione si è impegnata più volte a riprendere la discussione e a trovare una unanimità che porti a un voto finale favorevole.
52) Cit. in A. P. [Anton Polonsky], Report of the Vatican Documents on the Second World War [segnalazione di Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale], in Polin Studies in Polish Jewry, vol. 15, Focusing on Jewish Religious Life, 1500-1900, a cura di A. Polonsky, novembre 2002, Oxford University Press, Oxford (Regno Unito) 2002, pp. 411-412. Robert Solomon Wistrich (Shlomo Jacobovitch Vistraikh, 1945-2015), membro della Jewish Historical Commission (C-JHC) ha detto: «Come risulta dai documenti disponibili in Vaticano e raccolti in tre volumi nessun altro vescovo polacco espresse interessamento per la sorte degli Ebrei e nessuno accenna alla loro persecuzione. Andrea Szeptyckyj, al contrario, lo ha fatto» (cfr. R. S. Wistrich, The Vatican Documents and the Holocaust. A Personal Report, ibid., pp. 425-426; e cfr. J. J. Bussgang, Metropolitan Sheptytsky. A Reassessment, cit., pp. 401-425).
53) Il 24 aprile 2012, a Ottawa in Canada, il ministro dell’Emigrazione Jason Kenney, con il consenso unanime del Senato, riconosce davanti ai rappresentanti delle diverse confessioni religiose ucraine in visita l’azione coraggiosa svolta dal metropolita Andrea Szeptyckyj durante la Seconda Guerra Mondiale a favore degli ebrei perseguitati; reperibile nel sito web <https://www.ourcommons.ca/DocumentViewer/en/41-1/house/sitting-109/hansard>, consultato l’11-7-2020.