di Guido Santevecchi dal Corriere della Sera del 02/01/2021
Migliaia di ragazzi felici a mezzanotte sotto la Torre dell’Orologio, simbolo di Wuhan. Nella città cinese da dove partì l’epidemia tutti in strada per il Capodanno. Il Covid sembra non sia mai esistito, ma davvero la Cina ha sconfitto il virus?
Migliaia di ragazzi felici a mezzanotte sotto la Torre dell’Orologio, uno dei simboli di Wuhan. Mentre in quasi tutto il mondo il Capodanno è trascorso incerto e ansiogeno, nella città cinese dove esplose l’epidemia l’ultima notte del 2020 chi ha voluto è potuto scendere in strada a festeggiare. E i più giovani si sono aggregati, nonostante la polizia avesse piazzato delle barriere intorno alla torre, per limitare l’afflusso. Però, quando la polizia cinese vuole davvero far rispettare un ordine non esita a intervenire con durezza e se non lo ha fatto è perché questa volta le autorità hanno deciso di dimostrare al mondo che Wuhan è tornata alla normalità.
All’ora di cena, il tg ha portato nelle case dei cinesi il volto rassicurante di Xi Jinping, che dalla sua scrivania di Pechino ha pensato di celebrare il 2020 che noi vorremmo dimenticare come «un anno straordinario». Straordinaria, ha detto il presidente, è stata la nazione cinese che «con solidarietà e resistenza ha scritto un’epopea nella battaglia contro la pandemia».
La tv di Stato ha montato sul discorso di Xi le immagini del 2020: gli ospedali per i malati di Covid-19 costruiti a tempo di record a Wuhan, i reparti medici dell’esercito che arrivavano in città con le bandiere di guerra per partecipare alla lotta contro l’epidemia, poi i pazienti che venivano dimessi e salutati con mazzi di fiori, infine i vertici politici tenuti in teleconferenza con il leader cinese al centro (ultimo quello per l’accordo commerciale con l’Unione europea). Quello di Xi, che ha esaltato «l’eroismo dei singoli cittadini» è stato un discorso di vittoria sul coronavirus.
Ed ecco perché ai ragazzi di Wuhan è stato permesso di festeggiare sotto la Torre dell’Orologio, di abbracciarsi e liberare palloncini in aria, indossando sempre la mascherina, come si fa da molti mesi in tutta la Cina.
Sui social network internazionali non sono mancate recriminazioni e accuse per questa esibizione festosa dei giovani cinesi, ma è da maggio che a Wuhan non si registrano casi di contagio e la città ha raggiunto l’obiettivo con grande sacrificio: un lockdown strettissimo durato 76 giorni, dal 23 gennaio all’8 aprile.
Ci sono state reticenze e colpe politiche all’inizio, quando i dignitari comunisti di Wuhan insistevano a parlare di «polmonite sconosciuta» e censuravano i medici che avevano capito la gravità del coronavirus; ma dal 23 gennaio le autorità cinesi si sono mosse con decisione ed efficienza. Dalla primavera, il «modello Wuhan» è stato rimodulato e raffinato. Quando emerge un focolaio anche di poche decine di casi, come è successo a Pechino a giugno e dicembre, si sottopongono a tampone milioni di persone, si mettono in quarantena (obbligatoria, non fiduciaria) coloro che sono entrati in contatto con soggetti positivi; si viaggia e si entra negli spazi pubblici solo mostrando una app di controllo e tracciamento; gli ingressi dall’estero sono contingentati e tenuti sotto osservazione per tre settimane.
Restano ancora punti oscuri sul successo cinese. Wuhan, con i suoi 11 milioni di abitanti, ha ufficialmente chiuso la fase critica con 50 mila casi accertati e 4 mila morti. In base a quel dato solo lo 0,4% degli abitanti sarebbe stato contagiato. Però qualche giorno fa è stata pubblicata un’indagine epidemiologica di aprile, alla fine dei 76 giorni di emergenza: allora furono rilevati anticorpi nel 4,4% della popolazione, significa che i casi di cittadini entrati in contatto con il coronavirus sono stati dieci volte di più, almeno 500 mila.
Hanno ragione di festeggiare l’uscita dall’incubo i ragazzi di Wuhan, ma ha ragione il resto del mondo a chiedere alla Cina un’indagine indipendente da parte degli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità. Uno studio sul campo per capire che cosa è successo e trarre insegnamenti utili per tutti. Solo allora questa «epopea», come la definisce Xi Jinping, sarà conclusa.
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