Domenica del Battesimo del Signore
Prima lettura: Is 55,1-11
Seconda lettura: 1Gv 5,1-9
Vangelo: Mc 1,7-11
Pochi giorni dopo la nostra nascita alla luce del sole, accadde che la carità e la fede dei nostri genitori volle per noi, la nascita più importante, quella alla Vita Divina.
Il battesimo è il primo intervento salvifico del Signore Gesù, per sanare quella antica colpa originale che vizia tutto il creato. Vizia, ma non distrugge, per cui tutto può essere salvato grazie alle mani del Salvatore, con cui toccava le piaghe dei lebbrosi. Sempre il male cede al contatto salvifico con il Signore. Anche oggi nel battesimo è Lui che tocca la nostra carne, per sanarci e donarci il potere di diventare Figli di Dio (Gv 1, 12 – 13)
Cos’è un sacramento se non un contatto salvifico, mediante un segno sensibile ed efficace, con la grazia di Dio, cioè la vita stessa del Salvatore?
Il racconto del battesimo di Cristo è molto succinto:
«In quel giorno Gesù venne da Nazareth di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni.
E, uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce del cielo: Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Mc 1, 7 – 11)
Gesù certo non abbisognava di alcun sacramento, ma volle dimostrare di essersi fatto veramente uomo. Pose fine al battesimo solo simbolico con l’acqua per inaugurare quello definitivo nello Spirito, ch si manifestò mediante il bel simbolismo della colomba, uccello che prepara con molta cura il suo nido, che conserva sempre molto pulito; il suo bianco candore spegne ogni violenza.
Nessuno può esser persuaso che un qualsiasi lavacro utilizzabile possa rinnovare l’anima. Nel Macbeth di Shakespeare, l’assassino continua a lavarsi le mani, nell’impossibile impresa di mondare la propria coscienza. Nel mondo induista le acque del Gange sono viste come purificatrici, ma solo per una forza divina in esse insita.
E’ la grande differenza tra il battesimo di Giovanni Battista e quello cristiano, come espressamente disse lui stesso:
«Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che non conoscete. Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui» (Gv 1, 26.32).
Nel Giordano non fu l’acqua che santificò Gesù, ma Gesù che santificò l’acqua di tutti i tempi e di tutti i battisteri del mondo, non solo quella del Giordano.
Il richiamo al primo capitolo della Genesi è immediato:
«Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Gn 1, 2)
Qui l’acqua è immagine della vacuità, cioè dell’assenza di una forma chiara, ma essa possiede un grande numero di possibilità.
L’elemento base della vita è l’acqua. Da essa Dio trae tutti gli enti del creato, tramite la sua parola: «Sia fatta la terra, Siano fatte le piante ecc…». All’uomo capita la stessa cosa quando è immerso nel battesimo. Diveniamo come l’acqua, cioè portiamo in noi tante possibilità. Lo Spirito Santo le chiama alla vita durante tutto il nostro percorso terreno.
I Padri della Chiesa paragonano il battesimo ad una nuova creazione: lo sono tutti i sacramenti,
ma è proprio con esso che riceviamo quella nuova nascita di cui parla Gesù nel colloquio con Nicodemo. Da essa ne viene una nuova conoscenza, nuova considerazione dell’esistenza, della vita, nuova forza.
Certo, la seconda creazione non avviene dal nulla, ma dalla carne di peccato che deve essere purificata. Siamo qui subito condotti sul Calvario, il fondamento della nostra salvezza: croce, morte e risurrezione del Figlio di Dio. San Paolo così si esprime: «O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Se infatti siamo stati completamenti uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione» (Rm 6, 3.5).
Tutto questo è simboleggiato con l’immersione nell’acqua, che richiama il segno del profeta Giona.
Egli rimase tre giorni in fondo al mare nel ventre di un grosso pesce – ciò simboleggia la schiavitù del peccato originale, anche perché il popolo ebreo era un pessimo navigatore – prima di essere rigettato sulla spiaggia e così tornare alla vita. Parimenti Cristo rimase per tre giorni nella tomba, prima di risorgere. Il battesimo è dunque il primo e fondamentale sacramento cristiano.
Quando Dio agisce c’è sempre una grande sproporzione tra i gesti – triplice immersione o aspersione con acqua – e le parole – io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo – rispetto al grandioso esito di essere creature nuove, rinate dall’acqua e dallo Spirito, figli di Dio, membri del corpo di Cristo, che è la Chiesa, e tempio vivo dello Spirito Santo. Su ogni bambino che portiamo al fonte battesimale,il nostro Signore eterno può dire le stesse parole che si udirono quando Gesù uscì dal Giordano: «Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto».
Dopo il battesimo con l’acqua, il neonato viene presentato all’assemblea, e sono generalmente applausi scroscianti. Mi hanno sempre sorpreso. Credo siano dedicati a Gesù, e quel bimbo nuova creatura è il suo più bel trofeo.
Tra i diversi segni che seguono al rito battesimale (la veste bianca, il cero…), l’ultimo praticato è quello dell’effatà, cioè «Apriti», con il quale il celebrante traccia il segno della croce sulle orecchie e sulla bocca del neobattezzato. Le parole della Redenzione sono collegate con quelle della creazione. Dio le pronunciò ed il mondo iniziò ad esistere con tutta la sua varietà e bellezza. Con le parole del battesimo iniziamo ad esistere alla vita divina, sebbene la nostra condizione sia post peccatum: diveniamo vivi perché aperti all’ascolto accogliente della parola creatrice di Dio, con piena libertà e consapevolezza, appassionati di verità. All’inizio fu facile per Adamo ed Eva: udivano la voce di Dio nella brezza del mattino (Gn 3,8). Dopo il peccato originale, divenimmo tutti sordi, sbadati, influenzabili da mille sirene, ma la voce del Padre risuonava travolta nel cuore, divenuto un guazzabuglio. E’ indispensabile l’intervento di Dio Figlio e, poi, un lungo esercizio, per apprendere il linguaggio del Santo Spirito.
Il Salvatore iniziò a predicare e render ragione per le vie della Terra Santa. Era ben cosciente delle difficoltà. Solo quelli che hanno orecchi desiderosi di verità lo odono (Mc4, 9). Poiché siamo uniti a Cristo, anche la nostra bocca deve consacrarsi a Dio ed esprimere ciò che Lui vuole dire al mondo. Vale per i sacerdoti, ma anche per i genitori e gli educatori, verso ogni parola che viene pronunciata. Il più bel dono che Dio ci ha fatto è la parola. Il grande padre della Chiesa san Gregorio di Nazianzo considera l’uomo nel suo linguaggio immagine del Figlio del Padre, del Verbo eterno che il Padre pronuncia dall’eternità. Renderemo conto al Signore di ogni parola che esce dalla nostra bocca. La parola è una grande forza da usarsi per incrementare la pietà (san Basilio).
La vita spirituale è una crescita continua a partire dal battesimo. In essa ci liberiamo tutti i giorni dai piccoli attaccamenti per volgerci agli interessi superiori della Verità.
Elogio, dunque, del “pedo-battesimo”. Un bambino non crescerà mai in un ambiente così neutro da poter giungere l’età adulta in una situazione di totale indifferenza, nella quale non apprenderebbe alcuna lingua, né principi, né cultura. Il maligno e il mondo non attendono i diciott’anni per inoculare germi di malvagità nei nostri giovani.
Si domanda il permesso ad una persona prima di farle un dono? Avete chiesto a vostro figlio il permesso di metterlo al mondo? Impossibile, chiaramente; ma lo avete fatto animati dalla piena fiducia cattolica, che un giorno vi ringrazierà dell’immenso dono della vita.
Il modo peggiore di scandalizzare questi miei piccoli, i cui angeli, dice Gesù nel Vangelo, vedono continuamente il volto del Padre, è tentennare innanzi alle domande sapienziali, che essi pongono appena hanno una minima capacità di parola. Vogliono il senso di tutto, vogliono sapere chi è il padrone del mondo e cosa vuole. Sono sempre entusiasti di Gesù e sono nella direzione della fede che vince il mondo, come dice san Giovanni nella seconda lettura. Ben sappiamo che i bambini sono terribilmente recettivi dello stato d’animo dei genitori. A tre anni di vita, i tratti del loro carattere sono già definiti. Spetta a noi adulti non scandalizzare i nostri giovani e rendere ragione dell’entusiasmo sapienziale che essi provano guardando il creato, opera del Divino artista. Per questo adoriamo il Santissimo Sacramento come la più alta verità terrena. Un’ora santa di silenzio, per lasciar parlare Lui al nostro cuore. Prostrati con due ginocchia a terra, come i Santi Magi a Betlemme, condotti non dalla stella, ma dalla luce del Vangelo e della tradizione della Chiesa cattolica. Atteggiamento unico, da dedicarsi solo all’Eucarestia, grandemente educativo per i bambini, che solo innanzi ad un tabernacolo vedono papà e mamma in quell’atteggiamento. Il verbo “adorare”, cioè prostrarsi innanzi alla Verità, si usato solo per quel Pane e quel Vino, compimento del battesimo.
Domenica, 10 gennaio 2021