La forza di una donna dalla dittatura rumena all’Italia d’oggi
In questo periodo di forzata clausura ho letto un libro non recentissimo (pubblicato da Gaspari editore nel 2016) ma che riporta a temi importanti che non possiamo dimenticare: Zero positivo di Cristina Marginean Cocis, giovane donna rumena immigrata in Italia, ortodossa poi diventata cattolica di rito bizantino, moglie, madre, insegnante di lingue e mediatrice culturale.
Il testo autobiografico si snoda attorno alla sua improvvisa malattia, la leucemia, diagnosticata poco dopo aver scoperto di essere in dolce attesa del secondo figlio, Victor, e la conseguente degenza in ospedale per le cure chemioterapiche che la portano ad un profondo esame introspettivo ricco di ricordi ed emozioni.
A parte il piano emotivo, proposto con eleganza e delicatezza di stile, due sono i punti su cui credo importante fermare l’attenzione: la vita come dono di valore immenso, e il ricordo del terribile regime comunista di Nicolae Ceausescu (1918-1989) in Romania.
La vita come dono è l’insegnamento ricevuto dai genitori, soprattutto dal padre, che la educa ad una fede profonda e sincera che le fa scrivere “Mi addormentai con le storie di fede e di speranza che la croce di legno rivelava al mio cuore. La fede diventava lo strumento della mia scalata, il piolo saldo dei miei sforzi per tenere la testa sopra la melma che aveva circondato il mio corpo, tirandolo giù, sempre più in basso, verso la morte. Dovevo rimanere viva, viva nello spirito e vera nella fede” (p. 139-140)
Vita come dono vissuto nei figli. Difronte ad una diagnosi di leucemia per molti il primo pensiero sarebbe stato l’aborto per potersi curare meglio e non temere conseguenze sul figlio. Cristina invece difende quel bambino con grinta, il figlio che porta in grembo diventa per lei motivo di lotta alla malattia. Lo sente crescere in lei ogni giorno, lo accarezza, gli parla e nei momenti più bui del dolore, della solitudine, trova in lui la forza per reagire perché deve almeno arrivare a partorire. Un bellissimo esempio contro ogni retorica abortista.
Il ricordo: la lunga degenza in una grigia stanza di ospedale, la pesante chemioterapia a cui è sottoposta, la solitudine forzata portano l’autrice a ricostruire il suo passato in Romania, le dinamiche della sua vita familiare e le sue esperienze di ragazzina e poi di adolescente. Ne emerge un quadro terrificante ma allo stesso tempo di forte consapevolezza di cosa sia stata la dittatura comunista del secolo scorso. Cresce nella fede ortodossa trasmessa dal padre che è molto legato alla spiritualità dei monasteri perché la chiesa ufficiale è decisamente infeudata al potere politico e spesso delatrice presso gli agenti della Securitate. La vita familiare è serena nonostante le difficoltà economiche fino a quando il padre viene improvvisamente arrestato con l’accusa di cospirazione contro lo Stato socialista perché da giovane con altri “avevano deciso in una notte bianca di dicembre di essere liberi e di scappare dal Paese che prometteva solo di distruggerli e di amputare tutti i loro sogni servendosi dell’ideologia utopica e assurda del regime”. Qui inizia un calvario: nella sede della polizia segreta assiste all’interrogatorio del padre, picchiato, torturato perché non confessa crimini mai commessi. E il torturatore è il loro vicino di casa, l’amico di sempre del padre, la persona di cui si fidavano e che non sapevano essere in verità un agente della Securitate. E continua con realismo “Perché era ben noto: la maggior parte dei detenuti si trovava lì dentro per motivi politici! Erano persone che non avevano mai accettato di ‘vendere’ la propria libertà, non avevano accettato di scendere a squallidi compromessi con il Partito per incatenare altri esseri umani; non avevano mai accettato di diventare bestie in nome di un’ideologia politica” (p. 137).
Segue la condanna del padre ai lavori forzati sul Delta del Danubio, zona di morte quasi certa per le condizioni di vita disumane, la scoperta delle celle in cui i detenuti sono rinchiusi: buchi nella terra fangosa che “con l’alta marea si riempivano d’acqua, tanto da costringere il detenuto a stare in piedi e al ritirarsi della marea lo lasciavano bagnato e infreddolito”. Nei campi “non c’erano più persone, c’erano solo numeri, numeri senz’anima né identità” e incombeva il terrore generato dal latrato dei cani lanciati contro chiunque non rispettasse rigorosamente le fila.
L’alternativa prevista dal regime: morire di stenti e fatica o perdere l’anima, scivolare nell’anonimato per diventare un docile automa di fronte agli ordini del Partito. Ma restava un’altra via da percorrere che la ragazzina scopre quando riesce di nascosto a vedere il padre: “”stava pregando e pur non sentendo le sue parole […] le potevo capire. Muoveva le labbra e il messaggio della sua preghiera mi giungeva inondando il mio cuore” (p. 275).
Dimenticare la storia, rimuovere il passato anche se ancora molto prossimo, crea un uomo senza radici e senza dignità, facile preda di nuove ideologie e nuove forme di dittatura.
In questo senso il testo è da leggere per le diverse dimensioni su cui si snoda il racconto: l’importanza della famiglia, del dono della vita, della lotta alla malattia e della disumanità del regime comunista rumeno per anni persecutore del suo stesso popolo.
Categoria: Biografia
Autore: Cristina Marginean Cocis
Pagine: 283 pp
Prezzo: € 16,00
Anno: 2016
Editore: Gaspari editore, Udine
ISBN: 9788875414894