Di Paolo Pittaluga da Avvenire del 23/02/2021
I numeri sono preoccupanti al di là del fatto che si cominci a sperare di vedere la luce alla fine del tunnel della pandemia. I numeri sono quelli elencati dall’Uffico studi di Confcommercio che nell’analisi ‘Demografia d’impresa nelle città italiane’ fotografa un percorso, prossimo al decennio, di crisi commerciale che gli addetti ai lavori identificano come desertificazione. Infondo i negozi che chiudono portano al deserto nelle strade. Immagini alle quali forse ci abituiamo senza pensare agli aspetti sociali ed economici che le saracinesche abbassate nascondono.
Confcommercio sottolinea che prosegue la desertificazione visto che dal 2012 sono sparite 77mila attività. E ad aggravare la situazione si ci è messa la pandemia così che nel corso di quest’anno chiuderà un’impresa su 4 in ristorazione e alloggio. Serve un progetto.
«Per fermare la desertificazione – afferma appunto il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli – bisogna agire su due fronti: da un lato, sostenere le imprese più colpite dai lockdown e introdurre una giusta web tax che risponda al principio ‘stesso mercato, stesse regole’. Dall’altro, mettere in campo un piano di rigenerazione urbana per favorire la digitalizzazione delle imprese e rilanciare i valori identitari delle nostre città». Più nel dettaglio tra il 2012 e il 2020 è proseguito il processo di desertificazione commerciale. Sono andate perse oltre 77mila attività al dettaglio (in calo del 14%) e quasi 14mila imprese di commercio ambulante (scese del 14,8%). Dall’analisi emerge che crescono le imprese straniere e diminuiscono quelle italiane mentre a livello territoriale il Sud perde più ambulanti però cresce in alberghi, bar e ristoranti.
In un contesto simile il Covid acuisce certe tendenze e ne modifica altre: nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi e in altre 10 città di media grandezza, oltre ad un calo maggiore nel commercio al dettaglio (17,1%), si registrerà per la prima volta, da 20 anni, la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione pari al -24,9%. Secondo lo studio, anche il commercio elettronico, che vale oltre 30 miliardi, registra cambiamenti: nel 2020 scende del 2,6% sul 2019, risultato ottenuto dal boom dei beni, anche alimentari, del 30,7% e dal crollo (46,9%) dei servizi acquistati. Il rischio di non ‘riavere’ i nostri centri storici come prima della pandemia appare molto concreto e questo si tradurrebbe in minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico. Il cambiamento del tessuto commerciale dei centri storici nell’ultimo decennio sarà enfatizzato dalla pandemia. Nel commercio in sede fissa tiene il numero dei negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che svolgono nuove funzioni come le tabaccherie (-2,3%). Marcati i cambiamenti dovuti alle modifiche dei consumi, come tecnologia e comunicazioni (+18,9%) e farmacie (+19,7%). Il resto dei settori merceologici è in mutazione, con i negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o fuori dai centri storici che registrano riduzioni che vanno dal 17% per l’abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta al 33% per le pompe di benzina. Quanto alle dinamiche su ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, il futuro è quanto mai incerto.
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