Laura Boccenti, Cristianità n. 406 (2020)
Il transumanesimo è un movimento di pensiero e di ricerca scientifico-tecnologica che si propone di superare tutti i limiti umani grazie alla tecnologia; come movimento di pensiero si collega al dibattito filosofico attuale che si propone di ridefinire la nozione di natura umana.
Tutti i trasumanisti hanno in comune la convinzione che l’essere umano può essere trasformato grazie alle tecnoscienze, fino a raggiungere una condizione superiore all’originaria natura umana, collocata «oltre» l’uomo e rappresentata dal simbolo H+.
La realtà umana presente viene considerata un momento di transizione, all’interno di una nuova fase evolutiva, volta verso un futuro post-umano (1). La nuova evoluzione deve essere guidata da una selezione non più «naturale» bensì intenzionale, prodotta interamente dall’ingegno umano e orientata verso un futuro in cui saremo super-intelligenti, capaci non solo di guarire ogni fragilità, ma anche di potenziare il corpo trasformandolo grazie alle nanotecnologie, alla robotica, alle biotecnologie, alla genomica e di rimandare la morte fino a raggiungere, possibilmente, l’immortalità.
La narrativa transumanista sta influenzando molti aspetti della nostra cultura, soprattutto attraverso la letteratura, la cinematografia e i videogiochi, e inizia a influire «[…] sulle convenzioni sociali, le istituzioni politiche, i valori morali e le credenze religiose che hanno finora sorretto la vita d’intere comunità e le dinamiche interpersonali» (2). La visione transumanista dell’uomo e della sua dignità, della sofferenza, della morte, della medicina, dell’etica e della religione sfida in modo radicale la cultura cristiana a riflettere sui presupposti filosofici, epistemologici e teologici sottesi al progetto di trasformazione «post-umana» dell’uomo.
Va precisato che, nel contesto del transumanesimo, l’espressione post-umano non deve essere confusa con la visione post-antropocentrica e post-dualistica del postumanesimo filosofico: mentre per il transumanesimo la trasformazione dell’uomo consiste nel riuscire a superare, grazie all’innovazione, la natura biologica, sottraendola agli attuali limiti, per il postumanesimo culturale e filosofico la tecnologia è un mezzo per demolire l’idea che esista una qualsiasi natura umana, in particolare la visione antropologica fondata sulla dualità maschio-femmina e sulla concezione dell’identità personale che implica la distinzione soggetto-oggetto e organico-inorganico (3).
Le radici culturali del transumanesimo
Il filosofo svedese Nick Bostrom, attualmente direttore del Future of Humanity Institute dell’Università di Oxford, è stato uno dei massimi teorici del transumanesimo. Già presidente della World Transhumanist Association (WTA), ora nota come Humanity+ (4), Bostrom descrive il transumanesimo come un nuovo paradigma sul futuro dell’uomo, che raduna scienziati provenienti da diverse aree (intelligenza artificiale, neurologia, nanotecnologia e biotecnologia applicata), filosofi e uomini di cultura con lo stesso obiettivo — alterare, migliorare la natura umana e prolungare la sua esistenza — e delinea i passi fondamentali lungo la storia della filosofia e della scienza che hanno portato alla teoria transumanista.
Secondo la ricostruzione di Bostrom, le premesse culturali del transumanesimo sono presenti già nell’antichità greca e le tracce degli elementi che lo ispireranno sono disseminate lungo tutta la storia della civiltà occidentale, come espressioni naturali del desiderio dell’uomo di migliorare le condizioni della propria esistenza per raggiungere la felicità (5). Tuttavia, soltanto con il pensiero moderno, in particolare a partire dalla Rivoluzione scientifica, si assiste alla svolta decisiva, grazie al cambiamento del modo di concepire la scienza e l’uomo. Francesco Bacone (1561-1626), Thomas Hobbes (1588-1679), David Hume (1711-1776) e Isaac Newton (1643-1727), ponendo le premesse della nuova scienza e del suo ruolo, avrebbero avviato il processo culturale di cui il transumanesimo costituisce uno degli esiti più estremi.
Il nuovo paradigma scientifico
Anche il magistero della Chiesa ha indicato nella Rivoluzione scientifica una svolta epocale, principalmente a causa della «nuova correlazione tra scienza e prassi» che viene istituita e che «significherebbe che il dominio sulla creazione, dato all’uomo da Dio, e perso nel peccato originale, verrebbe ristabilito» (6), ma in un modo nuovo.
Se fino a quel momento si attendeva dalla Redenzione, e quindi dalla fede in Cristo, la salvezza dell’uomo e la restaurazione del bene, a partire dalla Rivoluzione scientifica l’uomo inizia a porre la sua fede nella «nuova correlazione tra scienza e prassi», cioè nel progresso. Il progresso scientifico e tecnologico si presenta così come «[…] crescente dominio della ragione e questa ragione viene considerata ovviamente un potere del bene e per il bene» (7). La fede nella salvezza operata da Cristo non viene immediatamente negata, «[…] essa viene piuttosto spostata su un altro livello — quello delle cose solamente private e ultraterrene — e allo stesso tempo diventa in qualche modo irrilevante per il mondo» (8). A causa di questo spostamento la fede-speranza si svuota del suo pieno significato di attesa di restaurare la condizione che l’uomo aveva perso con il peccato originale e si immanentizza, riducendosi a speranza della liberazione dal male terreno, operata dall’uomo stesso, grazie alla nuova conoscenza scientifica applicabile, mediante la tecnica, a ogni ambito della vita umana.
La scienza secondo Aristotele e secondo Bacone
Le differenze fra il nuovo paradigma scientifico e quello classico emergono chiaramente dal confronto fra il modello di scienza di Bacone e la teoria della scienza di Aristotele (385-323 a.C.). Per Aristotele le scienze si fondano sulla conoscenza delle cause della realtà e sono divisibili in tre grandi gruppi: teoretiche, pratiche e poietiche. Le scienze teoretiche (metafisica, fisica, matematica) ricercano il sapere per sé stesso, le scienze pratiche (etica e politica) ricercano il sapere per raggiungere la perfezione morale e le scienze poietiche, o produttive, ricercano il sapere in vista del fare.
La conoscenza teoretica, per sua natura contemplativa, è il fondamento di tutto il sapere: da essa, e in particolare dalla metafisica, dipendono le altre conoscenze, dato che tutta la conoscenza e l’azione etica, politica e poietica ricevono il loro orientamento dalla verità delle cose e dalla conoscenza della loro finalità. Solo conoscendo la natura di una cosa, infatti, è possibile stabilire quale sia il suo bene e, secondariamente, il modo opportuno di orientare l’agire produttivo.
Secondo Aristotele la metafisica è la più alta delle scienze proprio per il fatto di non essere rivolta a scopi pratici o produttivi. Le scienze che sono dirette a tali scopi sono subordinate ad essi e valgono nella misura in cui li raggiungono. La metafisica invece, scienza contemplativa per eccellenza, non dipende da alcuno scopo utilitaristico, né è asservita a bisogni materiali, ma dipende solo dal desiderio di conoscere la verità: per questa indipendenza dalle sollecitazioni materiali essa è libera.
Inoltre, nella prospettiva del realismo aristotelico, la conoscenza scientifica è un’esperienza che coinvolge tutte le facoltà dell’uomo, che collaborano in sinergia, ciascuna secondo la propria natura. Sensibilità, immaginazione e memoria interagiscono nell’unità della coscienza offrendo alla ragione il contenuto su cui esercitare la riflessione in modo da pervenire al senso intellegibile e valido universalmente della realtà considerata. In conclusione, la scienza classica ha come mezzo privilegiato di conoscenza la ragione metafisica, cioè la ragione capace di passare dal piano sensibile a quello sovrasensibile, e come fine primario la conoscenza della verità.
La critica di Bacone alla concezione antica di scienza si traduce in una critica all’impianto su cui si fonda il sapere tradizionale, quindi in una critica del modo d’intendere la ragione e del fine stesso della conoscenza. Nella pars destruens della sua opera principale, Novum organum, del 1620 — in cui propone una nuova logica del metodo scientifico contrapposta a quella aristotelica e finalizzata al progetto di porre la natura sotto il dominio dell’uomo — Bacone fa tabula rasa del sapere costruito sulla ragione metafisica. Nella seconda parte, la pars construens, descrive le caratteristiche della conoscenza su cui vanno poste le fondamenta della nuova cultura: si tratta di una conoscenza quantitativa, totalmente misurabile dall’uomo e orientata alla trasformazione del mondo.
All’interno della critica sviluppata nel Novum organum rivestono un rilievo particolare le osservazioni rivolte agli idola tribus, le «false nozioni» fondate sulla natura stessa della ragione umana. La ragione, infatti, tenderebbe a supporre nelle cose un ordine maggiore di quello che effettivamente vi si trova: essendo intelligente, tenderebbe ad attribuire intelligibilità alla realtà naturale, supponendo in essa la presenza di un ordine metafisico non conoscibile con i sensi. Secondo Bacone, però, si tratterebbe di una supposizione infondata, destinata a invalidare ogni conoscenza, destituendola dal suo fondamento scientifico.
A partire da questo assunto viene criticata come falsa e allo stesso modo infondata l’induzione «per enumerazione» che, basandosi sull’astrazione dell’universale dal particolare, assume il presupposto dell’intelligibilità della realtà. Al contrario, la nuova scienza deve essere fondata sulla scoperta della «forma» delle realtà sensibili, dove con «forma» Bacone non intende l’essenza di una cosa, ma la sua struttura fisica, identificabile grazie al processo latente — cioè la legge che regola la generazione e la produzione di un fenomeno — e allo schematismo latente, cioè la struttura fisico-matematica che presiede un dato fenomeno.
Visto però che il sapere scientifico è necessariamente costituito da conoscenze universali, Bacone ha la necessità di trovare un fondamento alternativo all’astrazione universalizzatrice, che consenta comunque il passaggio dalle conoscenze empiriche alle leggi scientifiche. Per questo motivo introduce la distinzione tra «falsa induzione», quella per «enumerazione», e «vera induzione», quella per eliminazione, argomentando la validità della seconda. Si tratta, nel secondo caso, di un’induzione valida solo per le conoscenze di tipo quantitativo, a cui si perviene attraverso l’eliminazione delle ipotesi false nel processo d’indagine di un fenomeno.
In conclusione, il nuovo edificio del sapere si avvale per conoscere di una ragione in grado di formulare leggi universali circoscritte al piano dell’esperienza sensibile e ha come fine proprio la trasformazione del mondo, attraverso la manipolazione tecnica della realtà, senza alcun riferimento alla natura delle cose e al loro fine ontologico. La tecnica, da semplice mezzo qual è in sé, assurge così al ruolo di fine, la conquista della natura assume l’aspetto di vocazione esclusiva dell’uomo e l’homo faber ha il sopravvento sull’homo sapiens che diventa mezzo del primo.
Il nuovo paradigma antropologico
La svolta cruciale riguardo l’antropologia avviene, secondo Bostrom, con l’Umanesimo. La nuova sensibilità, ben rappresentata dal Discorso sulla dignità dell’uomo di Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), porrebbe le basi di una prospettiva capace di ribaltare la tesi classica che riteneva l’azione dell’uomo conseguenza della sua natura (agere sequitur esse), affermando il principio «[…] diametralmente opposto secondo cui […] “l’essere dipende da ciò che si fa”»,con la conseguenza «che la natura diventa una costruzione umana e precisamente una costruzione storico-culturale» (9).
Effettivamente, Pico delle Mirandola afferma che l’uomo non ha una natura definita, ma è chiamato a modellarsi seguendo la propria libertà (10) e perciò è considerato un precursore culturale dai fautori dell’individualismo, che intendono l’autodeterminazione come potere di disporre della realtà. Tuttavia, accanto al difetto di favorire l’individualismo, la nuova idea di libertà, e più in generale la visione dell’uomo che si afferma con l’Umanesimo, ha avuto il grande merito di promuovere la crescita della consapevolezza del valore della persona umana, contribuendo, anche in modo determinante «[…] alla formazione della coscienza europea caratterizzata dalla particolare attenzione alla dignità di ogni essere umano e ai diritti umani» (11).
Va aggiunto che la svolta antropologica moderna ha un altro snodo fondamentale, non esaminato da Bostrom, nel pensiero di René Descartes «Cartesio» (1596-1650). Con Cartesio, infatti, si afferma una visione dualistica della natura umana. L’anima dell’uomo viene fatta coincidere con la res cogitans e il corpo, ridotto a res extensa, è inteso meccanicisticamente come una realtà composta solo da estensione e moto locale. Il dualismo cartesiano introduce così una duplice riduzione, che riguarda sia la dimensione spirituale, fatta coincidere con il pensiero, concepito a sua volta come capacità computazionale — la mera funzione cogitativa appunto —, sia la dimensione corporea, ridotta a estensione e a moto locale. Dal dualismo antropologico cartesiano da una parte deriveranno le visioni funzionalistiche, secondo cui l’uomo è tale solo quando è in grado di esercitare le proprie capacità mentali, e dall’altra parte verrà aperta la strada alle visioni materialistiche, sia quelle imparentate con il materialismo dell’Homme machine del medico e filosofo francese Julien Offray de La Mettrie (1709-1751), sia quelle imparentate con l’empirismo nominalistico del filosofo scozzese David Hume (1711-1776), fino a giungere all’attuale visione neuro-biologicistica, per cui l’uomo è soltanto la sua capacità razionale e quest’ultima s’identifica con la realtà materiale del sistema nervoso e del cervello.
La versione aggiornata dell’«uomo-macchina» di La Mettrie, secondo cui questo non è altro che un ingranaggio perfetto di parti materiali, è rappresentata dall’attuale cyborg, ente che è metà cibernetico e metà organico.
Dall’evoluzionismo «naturale» all’evoluzionismo intenzionale
Un’altra importante premessa culturale al transumanesimo va rintracciata nell’influsso esercitato dalla teoria dell’evoluzione di Charles Darwin (1809-1882). In L’Origine delle specie, del1859, Darwin aveva esposto la teoria secondo cui gruppi di organismi di una stessa specie evolvono nel tempo attraverso un processo di selezione naturale che elimina gli individui più deboli e favorisce la sopravvivenza di quelli che meglio sanno adattarsi alle condizioni ambientali. Su questa base Julian Sorell Huxley (1887-1975) — biologo, scrittore e primo presidente del movimento umanista inglese (British Humanist Association) — svilupperà la teoria dell’orientamento intenzionale dell’evoluzione.
Ad Huxley Bostrom riconosce il merito di aver superato l’evoluzionismo naturale di Darwin e quello di aver coniato il termine «transumanesimo» (12), guadagnandosi il ruolo di precursore dell’attuale movimento. Huxley spiega così il significato dell’espressione transumanesimo: «La specie umana può, se lo desidera, trascendere se stessa — non solo sporadicamente, un individuo qui in un modo, un individuo là in un altro modo, ma nella sua totalità come umanità […]. “Credo nel transumanesimo”: una volta che vi siano sufficienti persone che possono seriamente affermarlo, la specie umana sarà sulla soglia di un nuovo tipo di esistenza, diverso dal nostro quanto il nostro lo è da quello dell’uomo di Pechino e realizzando così, consapevolmente, il proprio destino» (13).
Situata nella linea di sviluppo dell’illuminismo, del positivismo e del darwinismo del secolo XIX, la teoria di Huxley segna un passo in avanti rispetto all’evoluzionismo di Darwin. All’idea darwiniana di evoluzione basata sulla selezione naturale, e quindi su un processo casuale non dipendente dall’uomo, Huxley sostituisce l’evoluzione guidata dall’uomo stesso grazie allo sviluppo della scienza e della tecnica. Nell’età post-darwiniana della storia i nuovi mezzi scientifici e tecnici consentiranno all’uomo di prendere in mano il proprio processo evolutivo, eliminando ogni residuo di casualità, e di orientarlo intenzionalmente verso un futuro in cui potrà diventare più intelligente e più longevo, fino a raggiungere, quando la scienza lo consentirà, risultati ora inimmaginabili.
Fra i risultati raggiungibili in un futuro non molto lontano i transumanisti confidano che vi sia perfino l’immortalità, e, anche se su ciò rimane qualche margine di dubbio, grazie all’evoluzione intenzionale sono convinti di assistere alla nascita di una nuova specie più perfetta: quella postumana.
Nell’attuale stadio evolutivo corpo e personalità sono congiunti, ma la ricerca scientifica ha iniziato la sperimentazione sulla separazione di queste due componenti dell’umano per raggiungere l’obiettivo d’innestare la personalità su supporti meno fragili e più duraturi del corpo biologico e, in particolare, del cervello. Tutte le informazioni e i dati mentali, che per i transumanisti costituiscono la vera essenza dell’uomo, potranno perciò, in un futuro non lontano, essere separati dal cervello e innestati in un supporto più resistente (un PC, un corpo bionico, e così via). Nonostante la distinzione fra ciò che costituisce la personalità dell’uomo — la coscienza, le nostre attività mentali e la memoria con il suo cumulo d’esperienza — e il corpo biologico, che è solo il supporto fisico della nostra personalità, la teoria dell’evoluzione intenzionale rimane saldamente ancorata a una concezione materialistica.
La storia recente del transumanesimo
Negli anni 1980, all’Università della California di Los Angeles (UCLA), si forma un cenacolo culturale intorno alla figura di un futurologo belga di origine iraniana, Fareidoun M. Esfandiary (1930-2000), che si ridenominerà «FM-2030», e alla sua compagna Natasha Vita More, in cui vengono riprese le tematiche e il termine «transumanesimo» coniato da Huxley.
Dopo la morte per un tumore al pancreas, «FM-2030» viene messo in crioconservazione presso la Alcor Life Extension Foundation, in Arizona, in attesa che la medicina scopra una cura che consenta di scongelarlo e di curarlo.
Intanto, nel 1991, in California era stato fondato l’Extropy Institute dal filosofo inglese Max O’Connor, poi ridenominatosi «Max More», e da Tom Bell (1933-2006). L’Istituto, nato come centro di informazione per mettere in rete e utilizzare le conoscenze scientifiche disponibili, rilancia il transumanesimo come movimento strutturato e ne elabora organicamente i princìpi. Per circa un decennio il transumanesimo s’identifica con quella che successivamente è divenuta una corrente del movimento stesso, l’estropianesimo.
Il termine viene da estropia, sostantivo-metafora con cui More vuole indicare la spinta evolutiva verso un ordine che combatte il degrado della materia e dell’energia, una tendenza opposta all’entropia. Gli estropiani sostengono una visione ottimistica del futuro, fondata sui progressi in tutti gli ambiti della scienza e della tecnica, credono nella possibilità di realizzare una vita illimitata e nella resurrezione della personalità grazie alla crionica. Si raccolgono in comunità che rifiutano i valori della società tradizionale e ogni autorità politica. Vogliono anche superare i limiti che il corpo impone alle loro aspirazioni d’immortalità e di trascendenza. Per conservare la coscienza aspirano al «mind uploading», cioè a «salvare» i neuroni e le sinapsi del cervello su un supporto informatico. In attesa che la tecnologia lo consenta, promuovono la contaminazione uomo-macchina e le diverse possibili trasformazioni in cyborg (14).
Nel 1998 Nick Bostrom, noto anche per essere sostenitore della tesi secondo cui ci sono rilevanti probabilità che la specie umana viva all’interno di una realtà simulata, e David Pearce, filosofo, teorico dell’imperativo edonistico e del veganesimo, fondano la World Transhumanistic Association (WTA), denominata H+, che pubblica l’omonima rivista. Da questo momento l’estropianesimo diventa una delle correnti del transumanesimo, affiancato dal transumanesimo democratico e da quello libertario.
Il punto in comune di queste correnti è il riferimento alla scienza e alla tecnologia come orizzonte del potenziamento umano. Ma il transumanesimo democratico «rivendica la parità di accesso ai potenziamenti tecnologici, che altrimenti potrebbero essere limitati a determinate classi socio-politiche e legati al potere economico, riattualizzando di conseguenza politiche razziali e sessuali», mentre quello libertario sostiene il libero mercato come «garante del diritto al potenziamento umano» (15). Infatti, soltanto generando una grande quantità di denaro per gli investimenti si otterrà la condizione necessaria a innescare la «singolarità tecnologica», cioè il momento in cui lo sviluppo tecnologico diventerà esponenziale e irreversibile, avviando una rivoluzione totale che si allargherà dal piano tecnico-scientifico a quello religioso, filosofico e politico, e aprendo molteplici scenari capaci d’investire tutta l’esistenza umana: dal concepimento (tecniche di fecondazione, selezione genetica, utero artificiale, clonazione, e così via) al fine-vita (medicina rigenerativa, mind uploading, crionica), dai rapporti interpersonali (social) al lavoro (robotizzazione dei processi produttivi), dall’economia alla politica (uso dei big data).
Se altre rivoluzioni culturali hanno toccato in profondità l’uomo, preservando tuttavia l’aspetto «naturale», se non altro per la mancanza di strumenti in grado di riprogettare demiurgicamente la natura umana, l’attuale sviluppo della tecnologia sembra supportare il disegno del transumanesimo (e anche, più in generale, del post-umanesimo), orientato appunto a tale superamento.
La manipolazione dell’uomo auspicata dal transumanesimo apre un duplice interrogativo sulla dimensione etica dell’uso della tecnica e sulla possibilità di conseguire la felicità attraverso il superamento dei limiti fisici dell’uomo.
«Blocco tecnologico globale», singolarità e rischio esistenziale
Lo scenario delle problematiche classiche sulla manipolazione dell’uomo affrontate dalla bioetica è oggi aggravato dal cambiamento qualitativo della tecnologia, che introduce la sfida della sopravvivenza della natura umana e del libero arbitrio nella prospettiva della nascita di un «blocco tecnologico globale» (16).
Da questo punto di vista meritano di essere evidenziate le riflessioni di Jacques Ellul (1912-1994), sociologo e teologo francese, che già nel 1954 aveva messo in luce la differenza fondamentale fra la natura della tecnica precedente al secolo XX e quella che si afferma nel nuovo secolo. A determinare la differenza, che non consentirebbe più di parlare della tecnica come di uno strumento di per sé neutrale, è il salto qualitativo legato alla costruzione di un «sistema tecnologico» capace di autoaccrescersi, che si presenta con i caratteri dell’unità — in quanto tutte le parti del «fenomeno tecnologico» sono capaci di legarsi tra loro —, dell’universalità — in quanto la sua area d’azione è il mondo intero — e dell’autonomia, in quanto gli automatismi e la velocità delle scelte con cui la tecnologia sostituisce, e quindi tendenzialmente elimina, la capacità umana di decidere in base a un criterio etico, rimpiazza l’intervento dell’uomo con una modalità d’azione che prescinde e ammutolisce la domanda sul bene e sul male (17).
Il salto qualitativo compiuto dallo sviluppo tecnologico è un tema centrale anche nella riflessione etica di Hans Jonas (1903-1993), filosofo tedesco di origine ebraica, dedicatosi allo studio dello gnosticismo. La capacità dell’uomo di agire sul mondo si è ampliata fino ad avere il potere di distruggere o di riprogettare la realtà sostituendosi al Creatore stesso: «La natura come responsabilità umana è certamente una novità sulla quale la teoria etica deve riflettere. […] la differenza [con l’etica classica] è notevole» (18). Le differenze rispetto al passato sono legate al venir meno dei limiti spaziali e temporali delle serie causali introdotti dall’azione e al sopraggiungere di caratteristiche nuove, connesse all’utilizzo delle nuove tecnologie, come l’«irreversibilità, insieme al loro ordine di grandezza complessivo» e il carattere cumulativo degli effetti, per cui l’attuale mutamento tecnologico «[…] supera continuamente la condizione dei singoli atti» (19).
Nessuna etica del passato «[…] doveva tenere conto della condizione globale della vita umana e del futuro lontano, anzi della sopravvivenza, della specie» (20): invece oggi questi aspetti entrano in gioco, rendendo necessario un ripensamento globale dell’etica e una riflessione sulla dilatazione del potere e della responsabilità dell’uomo.
Va perciò posto un nuovo «imperativo categorico» che, secondo Jonas, deve essere fondato sull’assunzione di responsabilità verso la vita e le generazioni future: «Un imperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano e orientato al nuovo tipo di soggetto agente, suonerebbe press’a poco così: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”» (21). Ma per quale motivo le condizioni di esistenza dell’umanità costituiscono il dovere e la responsabilità primaria per ciascuno? In altri termini, perché bisognerebbe preferire che l’umanità continui ad esistere piuttosto che sia distrutta? Jonas risponde che l’essere va sempre preferito al non essere, perché l’essere in sé è «[…] “buono” giacché con il nulla non è possibile nessun confronto per gradi; quindi l’esserci “deve” essere preferito al suo opposto contradditorio (non contrario)» (22). Rispetto all’uomo è la sua stessa natura a esigere «la presenza delle sue incarnazioni nel mondo» (23): il «puro fatto ontico» dell’esistenza fonda così «[…] il comandamento ontologico in base al quale l’umanità deve continuare ad esistere» (24).
Qualcuno potrebbe pensare che i timori relativi all’avvento del «sistema tecnologico globale», e più precisamente della «singolarità tecnologica», siano una prerogativa degli ambienti critici verso la pervasività della tecnologia se non, addirittura, tecnofobici. Invece, anche personalità insospettabili come Bill Gates e lo stesso Bostrom hanno manifestato inquietudine per il «rischio esistenziale» (25) implicito nello scenario attuale (26).
In questa prospettiva il filosofo Francis Fukuyama ha definito il fenomeno transumano come «una delle idee più pericolose del mondo» (27) a causa delle conseguenze antropologiche della manipolazione del corpo, che arriverebbero ad alterare la stessa essenza dell’uomo, nonché delle conseguenze giuridiche e sociali legate alle differenze introdotte nell’umanità e delle conseguenze religiose.
Salvezza cristiana e salvezza transumana
Se è certamente vero che ogni uomo aspira al proprio bene e desidera salvarsi dal male, in particolare dal male definitivo della morte, il transumanesimo risponde a quest’aspirazione con una nozione contraffatta di salvezza.
Aristotele ha definito il bene come ciò verso cui tutte le cose, anche quelle prive di conoscenza, tendono. Ma che cos’è il bene? Di una cosa si può dire che è «buona» o perché è capace di perfezionarne un’altra che tende verso di essa come proprio fine, o perché è utile come mezzo che porta al fine. Dio, che è l’Essere stesso, è «buono» nel primo senso, perché gli uomini amandolo e tendendo a Lui come fine si sforzano di migliorare; nel secondo senso si può dire che il pane è buono perché mantiene l’uomo in vita consentendogli di raggiungere il suo fine.
Per sant’Agostino di Ippona (354-430) e san Tommaso d’Aquino (1226-1274) la natura dei beni finiti, partecipazione dell’Essere di Dio agli enti, consiste nella misura, nella forma e nell’ordine: per poter essere ricevuto dalle cose è necessario che l’essere sia com-misurato, cor-rispondente alla natura e alle disposizioni del soggetto che lo riceve. Perciò il «bene» di un ente finito coincide con il possesso delle qualità corrispondenti alla sua natura. Così, se un «difetto» è naturale in una cosa, non si può dire che sia un suo male: «non è un male per esempio che l’uomo non abbia le ali o che una pietra non abbia la capacità di vedere, dato che ciò avviene secondo la loro natura» (28). Per questa ragione, non si deve affermare l’esistenza del «male ontologico» designando con ciò la finitudine e il limite delle nature create: infatti, nessun uomo percepisce come «male» il fatto di non avere le ali o le branchie. Le alterazioni e anche i potenziamenti fisici che snaturano drasticamente le capacità umane non costituiscono perciò un miglioramento dell’uomo, ma il tentativo di fabbricare una nuova entità. Il corpo umano, con le sue caratteristiche specifiche, è un elemento costitutivo dell’identità personale e i cambiamenti che toccano i suoi aspetti sostanziali si riflettono sull’identità di tutta la persona; così, poter esercitare qualche facoltà in più «oltre misura» rispetto all’equilibrio naturale tra le facoltà stesse, non è un bene, ma un male per l’uomo.
Si potrebbe obiettare che non si capisce perché un cambiamento «migliorativo», che accresce capacità già presenti, debba essere considerato male, considerando anche che tutto ciò che esiste è bene, in senso ontologico. San Tommaso ci aiuta a risolvere questa difficoltà distinguendo due modi in cui il male può essere «causato» dal bene sia nella sfera fisica sia in quella morale, cioè quella degli atti umani (29): per privazione (30) oppure «accidentalmente», cioè come scopo non voluto (31).
Di per sé il male non ha un’essenza propria, è parassitario rispetto al bene e inoltre non può mai essere oggetto d’intenzione, cioè non può essere voluto o desiderato in quanto male. Ciò però non significa che esso sia semplicemente non essere. Il non essere non è né bene né male, perché non c’è. Il male esiste: non è qualcosa, ma è nelle cose. Esso è nelle cose come privazione; la privazione che chiamiamo male non è una generica carenza di essere, ma una carenza qualificata: è assenza di qualcosa che dovrebbe esserci in una entità secondo misura. In questo senso si può considerare anche l’eccesso come una forma di privazione della giusta misura, dell’ordine e della corrispondenza alla natura, cioè una carenza rispetto a una regola.
Dunque, il male può esistere come privazione di un bene che un ente dovrebbe avere secondo la propria natura; per esempio, la cecità per l’uomo è male perché è privazione della vista, ma anche un’ipotetica super-vista che inondi la coscienza con una quantità di stimoli, sovradimensionata rispetto ai tempi e ai modi del giudizio, sarebbe male perché paralizzerebbe la ragione e la volontà o le aggirerebbe basando la decisione su automatismi che le escluderebbero di fatto.
In definitiva, mentre è doveroso curare la malattia al fine di ristabilire la salute, l’intervento per abolire la fragilità dell’esistenza umana o per potenziare singole facoltà finisce per ridurre la salvezza attesa dall’uomo a una condizione neurofisiologica. Per il transumanesimo un vecchio, un disabile, un malato cronico grave sono delle macchine rotte, inutili a sé e agli altri, macchine che la tecnologia può, o potrà, aggiustare e «salvare».
In fondo, il transumanesimo non fa che presentare in modo nuovo l’antica tentazione gnostica di costruirsi da sé la salvezza, superando i limiti naturali in modo disordinato e distruttivo; andando anche oltre la pretesa della gnosi tradizionale intesa come «sapere quel che sa Dio», per addentrarsi «nel campo della creatività e della normazione come pretesa di decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo»; avanzando l’ipotesi «di asservire Dio e di servirsi di Dio» (32). Il pensiero debole che si afferma in seguito alla crisi della metafisica ha lasciato scoperto «come unico luogo di convergenza tra gli uomini quello definito dalla tecnologia, che così assurge al rango di “magia debole”, di “magia tecnologica” unico termine medio tra individui che non hanno ormai altro su cui convenire […] una tecnica che esprime e assicura potere, cioè una magia» (33).
Ma vi è anche un modo ordinato e perfettivo di superare il limite della natura. A differenza degli esseri infraumani, infatti, l’uomo non è totalmente definito nel proprio ordine specifico; la sua apertura alla trascendenza implica realmente la possibilità di superare i limiti della sua natura per accedere alla dimensione divina dell’essere. La divinizzazione, o santificazione, dell’uomo può essere considerata una sorta di enhancement, un potenziamento, della persona umana, ma, a differenza dello stesso concetto applicato allo sviluppo tecnologico, si tratta di un’azione essenzialmente estrinseca, non costruita dall’uomo, ma dono di Dio. L’uomo davvero «aumentato» è l’uomo divinizzato, che in prospettiva escatologica vivrà in una realtà veramente aumentata perché redenta (cfr. Rm. 8).
Anche l’idea di ibridazione, strettamente collegata a quella di realtà aumentata (enhancement) va a toccare un aspetto antropologico essenziale: la dimensione della comunione. La persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio secondo l’archetipo divino che è il Figlio, conserva nel suo intimo una traccia sostanziale della Trinità divina. In Dio uno e trino l’alterità è costitutiva dell’unità: non esistono prima le Persone trinitarie e poi la loro unione, o una sostanza comune e poi la distinzione. Si tratta di un’alterità assoluta — fra le Persone divine non vi è confusione — e ontologica: non è una qualità morale o psicologica, ma una relazione essenziale.
Nella costituzione della persona umana l’impronta trinitaria si manifesta nella capacità di comunione. Nella dinamica della comunione l’uomo si perfeziona superando la frontiera della propria individualità attraverso il dono di sé che, analogamente alle relazioni trinitarie, implica sia l’individuazione sia l’alterità, cioè, per esempio, la distinzione tra chi ama e chi viene amato. Ed è solo grazie alla comunione interpersonale che l’uomo può fare esperienza della felicità (34).
Il transumanesimo tenta invece di oltrepassare le barriere dell’uomo, assorbendo in sé ciò che può aiutarlo a raggiungere uno scopo prefissato — benessere, potenziamento fisico o intellettuale, e così via — cosicché la realtà della comunione, che implica il mantenimento di individuazione e alterità e può realizzarsi solo tra soggetti, si dissolve nell’ibridazione in cui l’alterità viene assimilata e annullata.
Le ragioni per non sottovalutare il progetto transumanistico
«L’utopia transumanistica non sta tanto nell’immaginare un mondo perfetto, ma nel trasformare la nostra concezione della vita e della condizione umana. Essa cerca di convincerci dell’anormalità della nostra condizione attuale; in breve, essa richiede la nostra conversione ideologica» (35).
Il progetto transumanistico non va sottovalutato, perché la sua attrattiva sta nella promessa di una vita sana, produttiva, felice e soprattutto lunga, in prospettiva immortale.
Anche se le sue promesse non si realizzassero, esso sta già condizionando la nostra concezione del mondo e la nostra visione etica, in quanto orienta il modo in cui il soggetto spende il suo tempo e le sue risorse, oltre a incidere sulla qualità dei suoi rapporti interpersonali. Basta considerare la sua influenza sulla medicina rigenerativa, che costituisce attualmente il fronte forse più sensibile, visto che altre prospettive sono ancora fantascientifiche. La principale scienza alla base della medicina rigenerativa è l’ingegneria genetica. Mentre la medicina chimica tradizionale interviene per supplire a una disfunzione, la medicina rigenerativa cura la malattia riparando il danno e, in teoria, producendo minori effetti collaterali. Il beneficio generale verso cui tende la medicina rigenerativa è assicurare una vita più sana e più longeva. Ma il passo ulteriore è facile: se la medicina rigenerativa considerasse la vecchiaia al pari di una malattia da curare, non starebbe di fatto proponendosi di sconfiggere la morte? Allora la pratica medica non si preoccuperebbe più di lenire le sofferenze e verrebbe così cancellata l’invisibile linea che separa la terapia dal «miglioramento/potenziamento», il trattamento dal «ringiovanimento»: «Di fatto la medicina cercherebbe di riprogrammare e riprogettare la natura stessa dell’uomo. Ed è proprio questo che pare stia avvenendo soprattutto a livello cellulare in cui la combinazione di bio e nanotecnologie viene impiegata nel tentativo di superare il cosiddetto limite di Haiflick, o il numero massimo di divisioni cellulari, pari circa a 50, a cui possono andare incontro le cellule somatiche, permettendone invece una continua suddivisione. In quest’ultimo caso il soggetto sarebbe contemporaneamente sia il beneficiario che il manu-fatto della medicina rigenerativa, una medicina che ora si troverebbe nella possibilità estrema di alter-are (di rendere irrimediabilmente “altra”) la condizione umana». Intervenire in maniera così invasiva sul corpo non significa, in fondo, «[…] cedere alla tentazione di pensare che l’uomo possa “creare” qualcuno, mentre di fatto egli può solo “produrre” qualcosa?» (36).
Alla fine, la partita decisiva riguarda la deificazione del potere umano: elevare all’assoluto ciò che non è assoluto non può che generare nuove forme d’idolatria e di asservimento dell’uomo.
Note:
(1) «Transumanesimo significa, letteralmente, “oltre l’uomo”, cioè H+ (che si legge “humanity plus”) è una filosofia che vuole fare “trascendere” all’uomo la sua attuale “condizione”, appunto umana, per farlo divenire qualcosa di diverso, di “superiore”» (Giuseppe Vatinno, Il trasumanesimo. Una nuova filosofia per l’uomo del XXI secolo, Armando Editore, Roma 2011, p. 25). Vatinno è stato responsabile scientifico del Network dei Transumanisti italiani dal 2003 al 2009. Espulso nel 2015 da Humanity Plus, l’organizzazione umanistica mondiale, è stato deputato nella XVI legislatura e membro della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori pubblici. Dal 2012 al 2014 è stato membro della Segreteria tecnica del ministro dell’Ambiente, occupandosi di tematiche relative alle nanotecnologie per l’ambiente. È co-fondatore e membro del direttivo nazionale degli Ecologisti Democratici (cfr. il sito web <https://en.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Vatinno> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 21-12-2020).
In data 21 giugno 2022 il sito di Alleanza Cattolica ha ricevuto dall’on. Giuseppe Vatinno la richiesta, a cui volontieri aderisce, di rettificare la notizia relativa alla sua espulsione dalla WTA in quanto, come specificato dall’onorevole, il suo allontanamento è stato volontario.
(2) Tiziano Tosolini, L’uomo oltre l’uomo, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2015, p. 9. Cfr. anche Sherry Turkley, Insieme, ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, 2011, trad. it., Einaudi, Torino 2019.
(3) Cfr. Francesca Ferrando, Postumanesimo, transumanesimo, antiumanesimo, metaumanesimo e nuovo materialismo. Relazioni e differenze, in Lo Sguardo. Rivista di filosofia, anno VI, vol. II, Limiti e confini del postumano, a cura di Giovanni Leghissa, Carlo Molinar Min, Carlo Salzani, n. 24, 2017, pp. 51-61, nel sito web <http://www.losguardo.net/it/postumanesimo-transumanesimo-antiumanesimo-metaumanesimo-e-nuovo-materialismo-relazioni-e-differenze>.
(4) Cfr. il sito web <https://humanityplus.org>.
(5) Cfr. Nick Bostrom, A History of Transhumanist Thought, in Journal of Evolution and Technology, anno XV, n. 14, 2005, pp. 1-25; nel sito web <https://www.nickbostrom.com/papers/history.pdf>.
(6) Benedetto XVI (2005-2013), Lettera enciclica «Spe salvi» sulla speranza cristiana, del 30-11-2007, n. 16.
(7) Ibid., n. 18.
(8) Ibid., n. 17.
(9) Raffaele Danese, Natura e responsabilità, Akademos Edizioni, Collepasso (Lecce) 2018, p. 29.
(10) «17. Stabilì infine l’ottimo artefice che a colui cui non si poteva dare nulla di proprio fosse comune quanto apparteneva ai singoli. 18. Prese perciò l’uomo, opera dall’immagine non definita, e postolo nel mezzo del mondo così gli parlò: “Non ti abbiamo dato, o Adamo, una dimora certa, né un sembiante proprio, né una prerogativa peculiare affinché avessi e possedessi come desideri e come senti la dimora, il sembiante, le prerogative che tu da te stesso avrai scelto”. 19. La natura agli altri esseri, una volta definita, è costretta entro le leggi da noi dettate. 20. Nel tuo caso sarai tu, non costretto da alcuna limitazione, secondo il tuo arbitrio, nella cui mano ti ho posto, a decidere su di essa. 21. Ti ho posto in mezzo al mondo, perché di qui potessi più facilmente guardare attorno a quanto è nel mondo. 22. Non ti abbiamo fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché come libero, straordinario plasmatore e scultore di te stesso, tu ti possa foggiare da te stesso nella forma che avrai preferito» (Giovanni Pico della Mirandola, La dignità dell’uomo, nel sito web <https://mikeplato.myblog.it/2009/02/27/discorso-sulla-dignita-dell-uomo>).
(11) Ermanno Pavesi, Poco meno di un angelo. L’uomo soltanto una particella della natura?, presentazione di Mauro Ronco, D’Ettoris, Crotone 2016, p. 114.
(12) Julian Sorell Huxley, fratello del più noto Aldous Huxley (1894-1963) — conosciuto soprattutto per il suo romanzo distopico Il mondo nuovo —, nel 1927 pubblicava a Londra Religion without Revelation in cui veniva usato per la prima volta il vocabolo transhumanism.
(13) Julian Huxley, New Bottles for New Wine, Chatto&Windus, Londra 1957, pp. 13-17, cit. in Enrica Perucchietti, Cyber Uomo, Arianna Editrice, Bologna 2019, p. 66.
(14) Cfr. Max More, I Princìpi Estropici. Versione 3.0. Una Dichiarazione Transumanista, 1999, nel sito web <http://www.estropico.com/id102.htm>.
(15) Cfr. F. Ferrando, op. cit., p. 53. Sul trasumanesimo democratico, cfr. James Hughes, Citizen Cyborg. Why Democratic Societies Must Respond to the Redesigned Human of the Future, Cambridge (Massachusetts) 2004. Cfr. anche Antonio Allegra, Postumanesimo e vitalismo. Note su un nodo teorico, in Studium ricerca, anno CXIV, 2018, n. 2, pp. 86-91; e Idem, Visioni transumane. Tecnica, salvezza ideologia, Orthotes, Nocera Inferiore (Salerno) 2017. Questo libro analizza storia, preistoria e ideologia delle narrazioni transumaniste, che funzionano come un’ambiziosa mitologia sul potere della tecnica in nome della redenzione da una condizione umana percepita come intollerabile o addirittura nefasta. La tecnica risulta essere il surrogato di visioni religiose o ideologiche.
(16) Cfr. su questa possibilità Valter Maccantelli, Il mondo di Matrix, in Cristianità, anno XLVIII, n. 402, marzo-aprile 2020, pp. 19-38.
(17) Cfr. Jacques Ellul, La tecnica. Rischio del secolo, trad. it., Giuffré, Milano 1969. La proposta culturale di Ellul è portata avanti dalla International Jacques Ellul Society, che ha come programma la critica alla tecnologia e la limitazione delle sue applicazioni. Attualmente la Society promuove una ricerca culturale in cui la critica alla tecnologia si coniuga con i temi ambientali. Cfr. IJES. Association Internationale Jacques Ellul, nel sito web <https://www.jacques-ellul.org>.
(18) Hans Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, trad. it., Einaudi, Torino 2002, p. 10.
(19) Ibid., p. 11.
(20) Ibid., p. 12.
(21) Ibid., p. 16.
(22) Ibid., p. 58.
(23) Ibid., p. 54.
(24) Ibid., p. 126.
(25) L’espressione, utilizzata dai think tank che studiano il problema, si riferisce al rischio dell’annientamento della specie umana causato dallo sviluppo della tecnologia. Cfr. Mark O’Connell, Essere una macchina, trad. it., Adelphi, Milano 2018, p. 93.
(26) «Continuo a credere che le potenzialità della specie vadano sviluppate, ma […] nel transumanesimo c’è troppo entusiasmo acritico per la tecnologia, troppa fede in un esponenziale miglioramento delle cose: la mentalità prevalente è lasciare che il progresso segua il suo corso. E io, col passare degli anni, ne ho preso le distanze […]. Continuo a pensare che nel giro di poche generazioni sarà possibile trasformare il sostrato dell’umanità. E penso che il motore di questa trasformazione sarà la superintelligenza artificiale» (Intervista a Nick Bostrom, in M. O’Connell, op. cit., p. 95).
(27) Francis Fukuyama, The World’s Most Dangerous Ideas: transhumanism, nel sito web <https://www.au.dk/fukuyama/boger/essay>.
(28) Cfr. Laura Boccenti, Se c’è Dio perché esiste il male?, Quaderni del Timone, IDA. Istituto di Apologetica, Milano 2012, p. 49.
(29) Cfr. Tommaso d’Aquino, De malo,q. 1, a. 3.
(30) Per esempio, il dolore della ferita come privazione dell’integrità dei tessuti, la morte come privazione di vita, la cecità come privazione di vista, e così via.
(31) Per esempio, se Tizio mangia una fetta di torta per nutrirsi, il che è un suo bene, Caio rimane senza fetta di torta; se Tizio commette un adulterio per provare piacere, che è un suo bene, sua moglie viene tradita.
(32) Giovanni Cantoni (1938-2020), Dopo Marx, i maghi? La riscoperta del pensiero magico in una cultura postmarxista, in CESNUR. Centro Studi sulle Nuove Religioni, Il ritorno della magia. Una sfida per la società e per la Chiesa, Effedieffe, Milano 1992, pp. 35-70 (p. 65).
(33) Ibid., p. 68.
(34) Sulla relazione fra comunione interpersonale e felicità, cfr. Giacomo Samek Lodovici, Transumanesimo, immortalità, felicità, in Etica & Politica/Ethics & Politics, anno XX, 2018, n. 3, pp. 517-538.
(35) Bernard Ars, Il transumanesimo, un totalitarismo tecno-scientifico, in Cultura&Identità. Rivista di studi conservatori, anno IX, n. s., n. 17, 29 settembre 2017, p. 23.
(36) T. Tosolini, op. cit., pp. 70 e 72.