Don Francesco Saverio Venuto, Cristianità n. 407 (2021)
Testo dell’intervento svolto da don Francesco Saverio Venuto, docente di Storia della Chiesa presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – Sezione Parallela di Torino, in occasione dell’incontro organizzato da Alleanza Cattolica su La ricezione del Concilio Vaticano II. Voci a confronto, tenutosi online il 27 novembre 2020.
Il Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985 (1), convocato per celebrare il ventesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II (1962-1965) e verificarne la recezione da parte delle comunità ecclesiali, rappresenta una tappa fondamentale dell’articolato e complesso periodo post-conciliare (2). Il dibattito sinodale, infatti, non si limitò soltanto a commemorare il Vaticano II, ma concentrò i suoi sforzi nel tentativo di valutarne la recezione (ermeneutica e applicazione). Inoltre, una più integrale promozione del Concilio, senza alcun processo di revisionismo, fu l’unico e manifesto scopo del Sinodo: conoscenza della lettera e dello spirito del Vaticano II; accertamento della comprensione delle novità e intuizioni conciliari da parte dei pastori e dei fedeli (3); individuazione dell’origine delle resistenze o delle opposizioni al Vaticano II; suggerimento, infine, di proposte per una sua più adeguata assimilazione.
Ripercorrendo le principali fasi storiche del Sinodo Straordinario (4), dal suo annuncio fino alle sue decisioni, vorrei metterne in evidenza la peculiarità, in particolare in relazione ai criteri ermeneutici per il Concilio e i suoi documenti, così come furono individuati e suggeriti dai Padri sinodali.
1. La preparazione
Il 25 gennaio 1985, al termine della celebrazione dell’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani, Giovanni Paolo II (1978-2005) comunicò ai presenti l’intenzione di convocare un Sinodo Straordinario per rievocare il Concilio Vaticano II a vent’anni dalla sua chiusura, l’8 dicembre 1965. L’assemblea dei vescovi — dichiarò il Papa — avrebbe dovuto «[…] rivivere in qualche modo quell’atmosfera straordinaria di comunione ecclesiale» (5) che aveva contraddistinto il Vaticano II.
All’annuncio del Papa seguirono disparate reazioni. Un’accentuata polarizzazione caratterizzava gli ambienti ecclesiali del tempo, soprattutto in Europa e nel Nord America (6). Due orientamenti su fronti opposti criticarono l’iniziativa wojtyliana. Un certo tradizionalismo valutò la ferma volontà del Pontefice di proseguire in continuità con la linea conciliare come un’ulteriore conferma dell’errore dottrinale e pastorale presente nella Chiesa, del quale il Concilio Vaticano II sarebbe l’origine. All’opposto, un più indefinito progressismo qualificò l’iniziativa di Giovanni Paolo II e dei suoi più stretti collaboratori un subdolo atto di «restaurazione» del regime ecclesiastico preconciliare. Il riferimento è ai responsabili dei dicasteri della Curia Romana, sotto la regìa del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’allora card. Josef Ratzinger. La responsabilità di quest’ultimo nella presunta congiura trovava fondamento, secondo l’opinione progressista, in alcune sue dichiarazioni apparse nell’estate del 1984 sul periodico cattolico italiano Jesus (7). Così, le opposte tendenze, sebbene con argomentazioni differenti, concordavano paradossalmente nell’addebitare al Concilio la piena responsabilità di una grave crisi all’interno della Chiesa. Una «terza via», maggioritaria in ambito ecclesiale e composita per sensibilità teologiche, ma meno risonante a livello mediatico, distinguendo il Concilio dal periodo ad esso successivo, indicò piuttosto nelle intemperanze ermeneutiche e applicative post-conciliari la vera causa della crisi ecclesiale. Diversamente dal progressismo e dal tradizionalismo, la «terza via» accetta pienamente il Concilio Vaticano II. Essa esprime non soltanto un giudizio equidistante da entrambi i precedenti estremismi, ma anche una visione teologica tradizionale e allo stesso tempo rinnovata, in nessun modo compromissoria (8).
L’iniziativa di Giovanni Paolo II ottenne un primo consenso da parte di alcune eminenti personalità del mondo ecclesiale, interpellate per la circostanza dalla Segreteria generale del Sinodo (9), a motivo della loro diretta partecipazione al Concilio Vaticano II o per una riconosciuta competenza teologica (10). Le risposte non tardarono ad arrivare a Roma. In esse si coglie un comune invito ad affrontare con urgenza la questione ermeneutica dell’avvenimento conciliare, soprattutto con rimandi ad argomenti più specifici in ambito ecclesiologico, associati alla Lumen gentium, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa (11). Era necessario rinnovare, se non addirittura iniziare, dopo tante sterili controversie, uno studio integrale della storia e dei documenti del Vaticano II, senza voler in alcun modo sminuire il novum conciliare, quanto piuttosto confermare e argomentare la continuità del Vaticano II con il depositum fidei della Chiesa, denunciando come fasulla e artificiosa la tesi dell’esistenza di due Chiese, una «pre-conciliare» e una «post-conciliare».
In tal senso, una lettura integrale e contestuale dei documenti conciliari avrebbe evitato l’isolamento di singole affermazioni, la ingannevole dicotomia fra lo spirito e la lettera del Vaticano II, e allo stesso tempo anche un’esegesi legalistica dei documenti, sfumando le intenzioni che ispirarono i vescovi nella redazione dei testi. La formulazione di specifici criteri ermeneutici avrebbe favorito una comprensione più omogenea del Concilio. Il Sinodo — si legge ancora nelle risposte — non avrebbe dovuto offrire soluzioni a particolari questioni, rispetto alle quali gli stessi Padri conciliari lasciarono volutamente un ampio margine interpretativo: questo organismo di natura puramente consultivo non possedeva l’autorità necessaria per intervento su un concilio, così da modificarne i testi. Inoltre, alle costituzioni Lumen gentium e Dei Verbum sarebbe stato necessario accordare una preminenza: entrambe, infatti, delineano quell’orizzonte ermeneutico dal quale dipendono i restanti documenti.
Tuttavia, senza una realistica considerazione del pressing mediatico sul Vaticano II — interno ed esterno alla Chiesa —, tutto quanto era stato portato all’attenzione della Segreteria del Sinodo da parte degli esperti interpellati sarebbe risultato un inutile sforzo. Con risolutezza sarebbe stato indispensabile — osservò con acume il teologo Henri-Marie de Lubac S.J. (1896-1991) — liberare il Vaticano II dalla pesante cappa ideologica del Concilio rivoluzionario, fortemente sostenuta dall’azione congiunta di una certa teologia e dei mass media. De Lubac per primo denominò quell’insieme di opinioni e posizioni teologiche parallele e alternative ai reali contenuti del Vaticano II e amplificata dai mass media con il termine di «paraconcilio». Senza dubbio, la rivoluzione culturale della fine degli anni 1960 — dichiara de Lubac —, temporalmente coincidente con l’epoca durante la quale si svolse il Vaticano II, e l’insistenza sulle difficoltà, sopraggiunte nella delicata fase di aggiornamento, avrebbero fornito pretesti a teologi e mezzi di comunicazione per diffondere l’immagine di una Chiesa non solo assediata da problemi e da divisioni interne, ma anche ricattata da una visione troppo idealizzata di un glorioso passato. Tuttavia, senza negare la presenza di incertezze e fatiche all’interno della Chiesa riguardo alla recezione e all’applicazione del Concilio, sarebbe stato prudente evitare di offrire facili occasioni di critica a un sistema informativo già incline di per sé a evidenziare quasi sempre gli aspetti negativi (12).
Il Sinodo, contrariamente a queste dinamiche riduttive, avrebbe dovuto mettere in luce quei fattori positivi e attivi nella vita della Chiesa conseguenti al Concilio e alla sua intenzione di promuovere integralmente il ricco patrimonio della fede cristiana, rendendolo esistenzialmente più rilevante. Riguardo alla Lumen gentium, De Lubac mise in evidenze tre problematiche. La prima, una considerazione assoluta del secondo capitolo, concernente il popolo di Dio, a scapito del primo sulla Chiesa come mistero, favorendo in questo modo un’ecclesiologia riduttiva e orizzontale. La seconda, una considerazione parziale del terzo capitolo, concernente la costituzione gerarchica della Chiesa con riferimento particolare all’episcopato, per cui, malgrado diversi interventi di chiarimento, esso sarebbe stato diffusamente ritenuto l’atto di nascita di una «nuova Chiesa», ovverosia una Chiesa interamente collegiale. La terza, il dibattito sull’articolato rapporto fra chiese locali e Chiesa universale, con particolare attenzione al ruolo e alle competenze della Curia Romana (13).
Il segretario generale del Sinodo, mons. Jozef Tomko, nei mesi precedenti all’inizio dei lavori sinodali ne precisò per la stampa il programma attraverso un trinomio operativo: «celebrare-verificare-promuovere» (14). A parere del segretario, i futuri Padri sinodali si sarebbero anche potuti avvalere di un’opera promossa dall’allora arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyła, in vista della recezione del Concilio nella sua diocesi (15).
Il Consiglio della Segreteria generale del Sinodo (16) optò per una consultazione generale dell’episcopato, attraverso l’invio di un questionario ai presidenti delle conferenze episcopali (17).
Alcuni episcopati convennero sulle costituzioni del Vaticano II, specialmente la Lumen gentium e la Gaudium et spes, come principale argomento dell’imminente dibattito sinodale (18). Rispetto alla recezione del Concilio, furono messi in evidenza gli sforzi, in parte riusciti, affinché il Vaticano II fosse compreso fin da subito nello spirito e nella lettera da parte delle comunità cristiane, lamentando tuttavia il diffondersi di interpretazioni parziali e di abusi applicativi. In generale, il Vaticano II è stato recepito, ma con un opportuno distinguo. Gli episcopati delle diocesi di più recente erezione — più estranee alla dialettica bipolare «passato-presente» (19) —, misero in rilievo per loro comunità un positivo avvio di recezione del Concilio. Viceversa, il rinnovamento conciliare apparve più problematico e carico di tensione in quei luoghi attraversati da profondi mutamenti culturali: per esempio, il movimento del 1968, che fu indubbiamente più articolato e più attivo in Europa Occidentale e nel Nord America.
In Europa è opportuno segnalare il caso dei Paesi dell’Est. L’oppressione dei regimi comunisti ha fatto sì che il periodo postconciliare in queste Chiese locali assumesse un orientamento sostanzialmente differente rispetto a quelle occidentali. A tal proposito, è di particolare interesse la risposta al questionario consultivo da parte della Chiesa polacca. In Polonia, per forza numerica e profonda coesione rispetto ad altre comunità dell’Est europeo, la Chiesa cattolica aveva svolto un ruolo di rilievo di fronte al potere politico e, nonostante le restrizioni impostele da parte del regime comunista, era riuscita a godere di una relativa libertà di azione. Il card. Józef Glemp (1929-2013), a nome dell’episcopato polacco, osservò come un apprendimento graduale della dottrina del Concilio, lo studio attento della sua realizzazione e un’accurata formazione del clero e dei laici, abbiano evitato agitazioni, sconvolgimenti ed errori. Tuttavia, secondo il cardinale, alcune tematiche avrebbero necessitato di un ulteriore approfondimento: per esempio, il rapporto Chiesa-mondo alla luce degli insegnamenti della Gaudium et spes (20). Tutti gli episcopati unanimemente sottolinearono la necessaria distinzione fra Concilio e post-Concilio: «post Concilium, sed non propter Concilium» (21). Non sempre quello che accadde o si realizzò dopo il Vaticano II fu un frutto genuino dello stesso. Con questa osservazione si volevano contrastare le tesi di chi in modo categorico rifiutava il Vaticano II, ritenendolo unico responsabile della dissoluzione della Chiesa cattolica.
Il movimento tradizionalista, e in particolare mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), reagendo agli abusi e intemperanze in campo disciplinare, liturgico e dottrinale, successivi al Vaticano II, da un giudizio critico passarono nel tempo a un vero e proprio rifiuto di molti punti del Concilio. Il tradizionalismo individuava un nesso di «causa-effetto» tra il Concilio e la crisi che interessava molte comunità ecclesiali, soprattutto in Europa (22). Il discernimento e la verifica della recezione conciliare rappresentavano dunque una questione che nella sua complessità doveva andare ben oltre la semplice elaborazione di un elenco di errori e abusi (23). Il fenomeno, denunciato più volte, di una polarizzazione nella Chiesa non era semplicemente l’esito di differenti scelte operative, ma innanzitutto la conseguenza di interpretazioni eterogenee e il più delle volte anche in radicale contrapposizione fra loro (24). La crisi di autorità e preparazione di chi era preposto a responsabilità pastorali, la mancanza di un’adeguata formazione dei fedeli, l’impreparazione delle Chiese locali, l’influenza dei mezzi di comunicazione di massa, secondo l’episcopato, favorirono l’estendersi del fenomeno della polarizzazione (25). Una correzione di errori e di abusi, sebbene necessaria, non era sufficiente. Urgeva piuttosto una modalità positiva di promozione e di conoscenza integrale del Vaticano II.
La discussione intorno all’iniziativa del Pontefice non appassionò soltanto gli ambienti ecclesiali (26), ma anche quelli extra-ecclesiali (27), sollecitati dall’intervento dei mass media (28). Le molteplici dichiarazioni che si susseguirono durante la preparazione del Sinodo ripresentavano in qualche modo gli schieramenti interpretativi dell’avvenimento conciliare (29). Da alcuni ambienti si sollevarono critiche al Sinodo. I gruppi tradizionalisti erano ostinati nel paragonare il Concilio Vaticano II alla Rivoluzione francese. Come nel 1789, attraverso la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, furono promulgati i princìpi di «libertà, fraternità e uguaglianza», allo stesso modo fra il 1962 e il 1965, con la libertà religiosa, con l’ecumenismo e con il concetto di popolo di Dio, avrebbero fatto ingresso nella Chiesa gli stessi princìpi rivoluzionari; e come in seguito Napoleone Bonaparte (1769-1821) istituzionalizzò la Rivoluzione con la fondazione dell’Impero Francese, allo stesso modo Giovanni Paolo II fece con il Vaticano II pubblicando il nuovo Codice di Diritto Canonico (30).
Osservazioni critiche furono avanzate anche da parte di un gruppo di teologi e teologhe appartenenti alla rivista internazionale Concilium, pubblicando in tutte le edizioni della rivista una lettera aperta ai Padri sinodali (31). Certi radicalismi dipesero da un’esasperazione di questioni non ben ponderate durante e dopo il Vaticano II: alcuni giudizi radicali da parte tradizionalista rappresentavano una reazione agli abusi liturgici e dottrinali, forse non fermati a tempo debito; allo stesso modo le intemperanze di alcuni gruppi rivelavano probabilmente una superficialità nell’applicazione del rinnovamento in particolar modo rispetto al tema della collegialità (responsabilità delle comunità locali) e della partecipazione del laicato nella Chiesa.
2. I lavori sinodali
I cardinali Gabriel-Marie Garrone (32) e Godfried Danneels (1933-2019) (33) avviarono i lavori sinodali con una relazione storico-teologica.
Il card. Garrone (34), secondo il desiderio del Papa, ricevette l’incarico di ricostruire e di ricreare quell’atmosfera che aveva contraddistinto lo svolgimento delle sessioni conciliari. Il presule, ripercorrendo i momenti principali del Vaticano II e rievocando specialmente il discorso inaugurale di Giovanni XXIII (1958-1963) dell’11 ottobre 1962 (35), richiamò l’attenzione dei Padri sinodali sulla finalità del Concilio: adesione con spirito rinnovato all’intera dottrina cristiana e sua riproposizione al mondo (36). Il tema portante e unificante dell’avvenimento conciliare, secondo il porporato, fu essenzialmente la riflessione sul mistero della Chiesa e sul rapporto di questa con il mondo (37), in special modo sulla base della Costituzione dogmatica Lumen gentium, fonte di ispirazione per tutti gli altri documenti (38). Il Concilio — proseguiva il presule —, fedele all’ispirazione di Papa Roncalli, non inventò nulla di nuovo ma, ripresentando in un modo più semplice ed efficace la fede della Chiesa (39), risultò così essere innovativo. Infine, il card. Garrone invitò i presenti a considerare che le interpretazioni dei testi conciliari avrebbero dovute essere soppesate in misura della consapevolezza raggiunta sul Concilio e sul suo spirito (40).
La relazione del card. Danneels, con lo scopo di valutare lo stato della recezione del Concilio, si articolò su quattro punti: il Sinodo; il bilancio postconciliare; la conoscenza del Vaticano II; gli obiettivi che l’assemblea avrebbe dovuto in qualche modo realizzare e promuovere (41). Illustrato in breve il rapporto fra Sinodo e Concilio Vaticano II (42), Danneels sottolineò due generali reazioni dell’episcopato. Prima: la speranza generatasi dal Vaticano II, l’intenso lavoro svolto per la sua applicazione e, nonostante alcune resistenze, anche una diffusa e positiva accoglienza del Concilio da parte dei fedeli (43). Seconda: l’opportunità di liberare il Vaticano II dal sillogismo ideologico del «post Concilium, ergo propter Concilium» (44) e di avviarne una lettura positiva significava recuperare un senso storico, in grado di valutare gli avvenimenti ecclesiali, e particolarmente i concili, attraverso una prospettiva di fede e ben oltre gli schemi precostituiti (45). La Chiesa del dopo Concilio, pur manifestando vitalità (46), secondo il presule era segnata da complessi problemi su molteplici fronti che esigevano soluzioni (47). Si sarebbe potuto — affermò ancora il cardinale — ricorrere a misure di carattere disciplinare, tuttavia senza mai realmente giungere al cuore dei problemi e mancando quasi di speranza e di fiducia nell’azione dello Spirito Santo (48). Diversamente, con senso critico, si sarebbe potuta ponderare la situazione presente, compiendo un’opera di discernimento sui conflitti postconciliari e su alcuni avvenimenti non prevedibili (49), per esempio il movimento di contestazione che monopolizzò la fine degli anni 1960, specialmente in Europa Occidentale e in Nord America. Ma per il porporato risultava assai preoccupante constatare che le nuove generazioni fossero iniziate al Concilio attraverso slogan riduttivi e ideologizzati (50). All’alternanza tra facili entusiasmi e delusioni del dopo Vaticano II — terminò Danneels — era piuttosto necessario favorire l’avvio di una fase di equilibrio attraverso uno studio particolare e integrale dei testi conciliari: unità fra lettera e spirito, fra dimensione dottrinale e pastorale, e nel pieno rispetto dell’unità della Tradizione della Chiesa (51).
Il Sinodo si protrasse per due settimane, dal 24 novembre al 7 dicembre 1985, completando i lavori l’8 dicembre 1985, nel giorno in cui ricorreva il ventesimo anniversario dalla cerimonia di chiusura del Concilio.
3. I documenti finali del Sinodo
Il sinodo approvò due documenti: un messaggio per il popolo di Dio, Nos, episcopi (52), e una relazione conclusiva, Exeunte coetu secundo (53). Nel primo documento i vescovi rilevarono quanto il Concilio Vaticano II fosse stato un dono di Dio alla Chiesa e al mondo, ancora da realizzare pienamente e del quale, nonostante la presenza di sbandamenti nel periodo postconciliare, era già possibile evidenziare alcuni risultati positivi. Era necessario, tuttavia — secondo i Padri sinodali — uno sforzo maggiore per cogliere il significato del Vaticano II nella sua interezza (54). Il secondo documento fu articolato su due parti: il Concilio, come obiettivo principale del Sinodo, e alcune questioni di ordine ecclesiologico. Della relazione conclusiva, la prima parte è indubbiamente quella più rilevante, specialmente per l’indicazione dei criteri ermeneutici.
La verifica attuata dal Sinodo — secondo l’episcopato — rivelò la presenza di difficoltà e di resistenze nella recezione del Vaticano II. Il ritardo e la timidezza nell’applicazione delle indicazioni conciliari e una preoccupazione per un’azione pastorale troppo attenta a un ripensamento dell’apparato ecclesiale esterno dovevano cedere il passo a una riflessione di più ampio respiro. La stessa apertura al mondo, voluta espressamente dal Concilio, a volte non fu condotta secondo un valido discernimento, cosicché prevalsero spesso criteri di giudizio secondo una mentalità dettata da una lettura prevalentemente sociologica della realtà (55). Ed ecco il suggerimento da parte dei vescovi di alcuni criteri ermeneutici:
- —considerazione integrale di tutti i documenti nella loro specificità e nel loro reciproco rapporto;
- —priorità per le quattro grandi Costituzioni (Sacrosanctum Concilium, Dei Verbum, Lumen gentium, Gaudium et spes);
- —unità fra dimensione pastorale e dottrinale, fra spirito e lettera;
- —continuità del Concilio Vaticano II con la grande Tradizione della Chiesa (56).
L’assemblea sinodale con l’approvazione della relazione finale poteva ritenersi soddisfatta. L’unanimità nel condurre a compimento gli obiettivi della convocazione, l’eliminazione dei timori più o meno fondati di una possibile «restaurazione» o di un annullamento del Vaticano II (57), ma particolarmente la professione di fedeltà al Concilio, furono i risultati più evidenti.
Tuttavia, rimase insoluta una questione: il bilancio tracciato dai Padri sinodali, relativo ai primi venti anni di recezione del Concilio (1965-1985), e le proposte riguardo ai criteri ermeneutici da applicare ai documenti del Vaticano II, per una sua piena comprensione e applicazione, si possono giudicare come pacificamente e pienamente condivisi negli ambienti ecclesiali?
4. Il dopo Sinodo
La celebrazione del Sinodo contribuì positivamente a ravvivare il dibattito sul Concilio Vaticano II, ma fu vissuta anche come occasione di attrito fra gli ambienti ecclesiali più sensibili al tema. Nonostante gli appelli per una convergenza di posizioni, continuarono a permanere i giudizi contrastanti sui contenuti del Sinodo. Un primo gruppo concordava, in linea generale, nel porre in rilievo il clima positivo e l’unanimità dei consensi, durante tutte le fasi di lavori (58). L’indiscutibile validità del Concilio Vaticano II e dei suoi documenti, e la sua assoluta estraneità rispetto alla crisi della fase post-conciliare, rappresentavano un comune riferimento. Il timore dei mesi precedenti al Sinodo — diffuso anche tra i vescovi — per una limitata libertà di discussione sui problemi interni alla Chiesa, fu contraddetta dal positivo esordio del Sinodo: le richieste da parte delle rispettive Chiese locali a Roma furono prese in considerazione, senza l’imposizione di argomenti preconfezionati. Il dibattito fra i vescovi non si esaurì in un trionfalismo celebrativo, ma fu un’occasione propizia per prendere coscienza dello stato della Chiesa in relazione al Vaticano II.
Un secondo gruppo, diversamente dal primo, si distinse per un giudizio critico e ostile verso l’avvenimento sinodale. Orientamenti più o meno progressisti (59) e forme di tradizionalismo (60) valutarono negativamente, alla luce della loro precomprensione e interpretazione del Vaticano II, lo sviluppo dei lavori sinodali. Alcuni sostennero che la convocazione e l’organizzazione del Sinodo avrebbero rappresentato l’esito di una scelta solitaria e affrettata, insufficiente per poter avviare un’accurata riflessione e una consultazione ecclesiale (61). Il Sinodo sarebbe stato ostaggio di una Curia Romana che, sebbene difendesse formalmente il Vaticano II e le sue istanze, in realtà avrebbe lanciato contro questo un attacco laterale, giudicando devianti, piuttosto che legittime, le interpretazioni, le scelte e alcune applicazioni attivate dai vescovi nelle loro diocesi (62). Un certo progressismo manifestò dissenso anche in relazione ai criteri adottati per la scelta dei membri sinodali. Esponenti autorevoli della Segreteria permanente del Sinodo sarebbero stati volutamente allontanati ed emarginati, in ragione delle loro opinioni differenti e contrastanti rispetto a quelle ufficiali (63). Qualcuno giunse persino a sostenere la presenza di macchinazioni e d’intimidazioni (64), pianificate contro l’episcopato da parte del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il card. Ratzinger; altri più moderatamente, sullo stesso argomento, valutavano l’incidenza del cardinale sull’opinione ecclesiale piuttosto come un’inevitabile conseguenza di una inadeguata preparazione del Sinodo (65).
La segretezza imposta sulle risposte al questionario inviato alle conferenze episcopali, l’assenza di libertà nelle discussioni, la censura del conflitto fra alcuni episcopati e la Curia Romana (66), il dirottamento a destra della Chiesa, l’ombra di un disfattismo restauratore contro lo spirito conciliare e di Giovanni XXIII, l’ambiguità del Sinodo verso la Tradizione della Chiesa (67), e ancora la congiura di Papa Wojtyła per far tacere i vescovi (68), rappresentarono i più diffusi luoghi comuni sull’avvenimento sinodale. Anche il documento conclusivo del Sinodo divenne bersaglio preferito di critiche: troppo superficiale di fronte alla complessità dei problemi emersi prima e durante il dibattito sinodale (69) ed ennesimo compromesso fra diverse posizioni, cioè un testo di basso profilo con poche prospettive per il futuro (70).
5. Il Sinodo e il Concilio Vaticano II
Il Sinodo aprì un varco all’interno dell’animato dibattito nella Chiesa del dopo Concilio, fra posizioni progressiste e conservatrici, tentando di dare così voce a una lettura del Vaticano II e della fase postconciliare oltre uno sterile conflitto ideologico. L’intenzione di Giovanni Paolo II e dei Padri sinodali non coincise in modo assoluto con una correzione di rotta della navigazione della Chiesa rispetto alle decisioni conciliari, né con una disperata manovra per trovare una soluzione politicamente corretta. La proposta sinodale si concretizzò nella necessità di promuovere una conversione al Vaticano II, perché divenisse sempre di più faro di rinnovamento per la Chiesa.
Agli esponenti delle correnti più progressiste la Relazione finale sembrò disattendere questo proposito, così da apparir loro non solo in contraddizione rispetto ai propositi iniziali, ma anche lontana dai reali problemi che tormentavano l’umanità. All’orientamento più tradizionalista, al contrario, lo stesso documento apparve come l’atto con cui si alimentava ulteriormente l’ambiguità del Vaticano II nei confronti della Tradizione.
Quanto e come il Sinodo Straordinario sia stato recepito, compreso e attuato rimangono ancora questioni aperte. In questo breve, e indubbiamente non esaustivo esame, ci è sembrato piuttosto importante rilevare come un sinodo abbia invitato tutta la Chiesa a riflettere sul complesso problema della recezione del Vaticano II, imprimendo in questo modo un nuovo orientamento agli studi sul Concilio: accanto a uno studio teologico dei documenti, si è affiancato un maggiore interessamento per il Vaticano II come fatto storico da comprendere alla luce della storia della Chiesa.
All’esigenza, invocata da alcuni membri dell’assemblea sinodale, di fornire un’interpretazione ufficiale del Vaticano II, prevalse la linea di suggerire criteri interpretativi, senza alcuna pretesa di risolvere questioni che neanche il Concilio volle dirimere. Due anni dopo la sua conclusione si consumò un doloroso scisma da parte di una frangia tradizionalista guidata da mons. Marcel Lefebvre. Quanto accadde fu un chiaro segnale dell’urgenza di comprendere più a fondo le radici storico-teologiche del dibattito sul Concilio Vaticano II, e allo stesso tempo di contenere un fenomeno che contraddistingue comunemente ogni tempo post-conciliare: le posizioni che hanno cooperato al conseguimento di un consenso sembrano tornare ad appropriarsi del proprio contributo o punto di vista conciliare (71). Il 22 dicembre del 2005, Benedetto XVI ha individuato l’origine del problema nel serrato confronto tra un’ermeneutica della «riforma nella continuità» e una della «rottura nella discontinuità» (72). Esso è come una luce crepuscolare che, alimentata da due poli opposti, impedisce ancora una corretta recezione del Concilio (73). Il mettere a nudo le dinamiche soggiacenti a questa serrata dialettica potrebbe diventare l’occasione per un rinnovato interesse sul Concilio Vaticano II, oltre vetusti paradigmi ideologici.
Note:
(1) Per una trattazione più ampia cfr. Francesco Saverio Venuto, Il Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985, in Idem, La recezione del Concilio Vaticano II nel dibattito storiografico dal 1965 al 1985. Riforma o discontinuità, Effatà, Cantalupa (Torino) 2011, pp. 53-107. Per le abbreviazioni delle titolature delle riviste ci siamo attenuti a Siegfried M.[anfred] Schwertner (a cura di), Internationales Abkürzungsverzeichnis für Theologie und Grenzegebiete, De Gruyter, 2a ed., Berlino-New York1992.
(2) Cfr. Gilles Routhier, L’Assemblée extraordinaire de 1985 du synode des évêques: moment charnière de relecture de Vatican II dans l’Église catholique, Vatican in II et la théologie. Persepectives pour le XXIe siècle, a cura di Philippe Bordeyne e Laurent Villemin, Cerf, Parigi 2006, pp. 61-88.
(3) Si pensi alla riforma liturgica (Sacrosanctum concilium), alle riflessioni e agli approfondimenti a proposito del concetto di Rivelazione (Dei verbum), dell’ecclesiologia (Lumen gentium) e al rapporto Chiesa-mondo (Gaudium et spes).
(4) La maggior parte della documentazione concernente il Sinodo è ancora inedita e si trova depositata presso l’Archivio della Segreteria Generale del Sinodo a Roma. In seguito a una previa richiesta alla Segreteria Generale, mi è stato concesso di visionare gli atti delle Congregazioni sinodali, Synodus Episcoporum, Acta secundi Coetus Generalis Extraordinarii, cura et auctoritate Secretarii Generalis Joannis P. Schotte (1928-2005), 2 voll., Roma 1985, Synodus Episcoporum, Secreteria Generalis (d’ora in poi ASE), e altro materiale. I documenti ufficiali e fondamentali del Sinodo sono reperibili in Enchiridion del Sinodo dei Vescovi, a cura della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, 3 voll., EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2005, vol. I, 1965-1988, nn. 2684-2779 (d’ora in poi ESV); il resoconto quotidiano a cura de L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso (d’ora in poi OR), dal 25 novembre 1985 fino al 10 dicembre 1985; la cronaca di Giovanni Caprile S.J. (1917-1993), Il Sinodo dei Vescovi. Seconda Assemblea Generale Straordinaria (24 novembre-8 dicembre 1985), La Civiltà Cattolica, Roma 1986.
(5) L’annuncio fu inaspettatamente dato prima della benedizione finale, durante la celebrazione conclusiva di preghiera per l’unità dei cristiani (25 gennaio 1985) presso la Basilica di San Paolo Fuori le Mura in Roma, come già accadde con Giovanni XXIII (1958-1963) per il Vaticano II nel 1959: cfr. Giovanni Paolo II, Annuncio «Con intima gioia e commozione», in OR, 27-1-1985. Si veda anche G. Caprile S.J., op. cit., pp. 1-2.
(6) Piersandro Vanzan S.J. (1934-2011), Sinodo Straordinario dei Vescovi a vent’anni: un bilancio, in RdT, XXVII, 1986, n. 2, pp. 122-124. Sul periodo postconciliare, cfr. il vol. 25, tomo 2. La Chiesa del Vaticano II (1958-1978), della Storia della Chiesa, Augustin Fliche (1884-1951) e Victor Martin (1886-1945) (iniziatori), Storia della Chiesa, trad. it., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1994; La Chiesa nel ventesimo secolo, vol. 10 della Storia della Chiesa, diretta da don Hubert Jedin (1900-1980), 10 voll. in 16 tomi, Jaca Book, Milano 1995, pp. 152-157, pp. 198-235 e pp. 450-483; Angelo Acerbi, Il Pontificato di Paolo VI, in A. Fliche e V. Martin (iniziatori), Storia della Chiesa, cit., vol. 25, tomo 1, pp. 82-94; Juan Arias, L’enigma Wojtyła,Borla, Roma 1986, pp. 175-263; Nicola Colaianni, La critica del concilio Vaticano II nella letteratura attuale, in Conc(I), XIX, 1983, n. 7, pp. 170-178; Franz König (1905-2004), Chiesa dove vai? Gianni Licheri interroga il Cardinale Franz König, Borla, Roma 1985, pp. 103-104; Jean-Marie Mayer, Il Papato dopo il Concilio, in Storia del Cristianesimo, a cura di J.-M. Mayer, trad. it., Città Nuova, Roma 2003, vol. 13, pp. 124-139; Daniele Menozzi, Vers une nouvelle contre-réforme?, in ASSR, LXII, 1986, n. 1, pp. 135-150; Vittorio Messori, Rapporto sulla fede: a colloquio con il Cardinale Joseph Ratzinger, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1985, pp. 32-38; Giovanni Miccoli (1933-2017), In difesa della fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Rizzoli, Milano 2007, pp. 13-30; Andrea Riccardi, Il Potere del Papa. Da Pio XII a Paolo VI, Laterza, Roma-Bari 1988, pp. 253-260 e pp. 308-322; Daniele Saresella, Dal concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli anni del cambiamento, Morcelliana, Brescia 2005, pp. 1-35 e pp. 322-470; Francesco Spadafora (1913-1997), Il Postconcilio. Crisi: diagnosi e terapia, Settimo Sigillo, Roma 1991, pp. 7-194; George Weigel, Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II, Mondadori, Milano 1999, pp. 627-631; Gianfranco Zizola, La restaurazione di Papa Wojtyla, Laterza, Roma-Bari 1985.
(7) Cfr. «Ecco perché la fede è in crisi». Vittorio Messori a colloquio con il Cardinal Joseph Ratzinger, a cura di V. Messori, in Jesus, anno VII, n. 11, 11-11-1984, pp. 67-74. Cfr. l’intervista integrale al card. Ratzinger in Idem, Rapporto sulla fede: a colloquio con il Cardinale Joseph Ratzinger, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1985.
(8) Cfr. G. Caprile S.J., op. cit., pp. 62-79.
(9) La Segreteria generale del Sinodo interpellò i cardinali Gabriel-Marie Garrone (1982-1988), Franz König e Léon-Joseph Suenens (1904-1996), i vescovi Carlo Colombo (1909-1991) e Joseph Gargitter (1917-1991) (vescovo di Bolzano-Bressanone) e i teologi Hans Urs von Balthasar (1905-1988), Umberto Betti (1922-2009), Yves Congar O.P. (1904-1995), Walter Kasper, Henri de Lubac e Gustave Thils (1909-2000). Ad eccezione di von Balthasar e Kasper tutti gli altri avevano preso parte, a diverso titolo, al Concilio Vaticano II. Il teologo von Balthasar nella sua breve lettera autografa si limitò a segnalare due osservazioni di carattere generale: il rapporto fra la vastità dell’argomento e il breve tempo a disposizione per la riflessione e la discussione e, di conseguenza, il suggerimento di limitare l’agenda sinodale, focalizzando il dibattito al massimo su cinque o sei punti (cfr. Hans Urs von Balthasar, Documenta secundi Coetus Generalis Extraordinarii: Responsa (1985), 23 febbraio 1985, Città del Vaticano, Synodus Episcoporum, Secreteria Generalis, ms. 173/85, 1 f).
(10) L’invito per la consultazione fu inviato dalla Segreteria generale del Sinodo il 12 febbraio 1985, e all’incirca dopo un mese giunsero le risposte: cfr. G. Caprile S.J., op. cit., pp. 7-8.
(11) Walter Kasper, Henri de Lubac, Gabriel-Marie Garrone, Umberto Betti e Gustave Thils affrontarono il problema ermeneutico; Franz König, Léon-Joseph Suenens, Joseph Gargitter, Carlo Colombo e Yves Congar si concentrarono su problematiche di carattere ecclesiologico.
(12) Cfr. H. de Lubac, Concile et paraconcile, in Petite catéchèse sur Nature et Grâce, Fayard, Parigi 1980, pp. 165-180.
(13) Cfr. Idem, Risposta alla Segreteria Generale, 12 marzo 1985, Città del Vaticano, Segreteria Generale del Sinodo, 232/85, 3 ff.
(14) Jozef Tomko, Vivere il Concilio, in OR, 20-2-1985, p. 1; cfr. anche G. Caprile, op. cit., p. 9.
(15) Cfr. Karol Wojtyła, Alle fonti del rinnovamento. Studi sull’attuazione del Concilio Vaticano II, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 1981. Il testo, pubblicato per la prima volta in occasione del decimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, fu anche utilizzato ampiamente come principale opera di riferimento durante il Sinodo diocesano di Cracovia, dedicato all’applicazione del Concilio (cfr. Il sinodo straordinario di Cracovia 1972-1979, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1985).
(16) Il Consilium Secretariae Generalis Synodi Episcoporum, istituito da Paolo VI nel 1970 su indicazione della Prima Assemblea Straordinaria (1969), è composto da quindici membri: dodici sono eletti dall’Assemblea e tre vengono indicati dal Papa.
(17) Cfr. G. Caprile S.J., op. cit., p. 13.
(18) In questo senso si espressero le conferenze episcopali del Brasile (Synode extraordinaire, cit., p. 123) e del Canada (ibid., p. 173).
(19) In linea di massima i vescovi delle Chiese dell’Africa, dell’America latina e dell’Asia, concentrandosi particolarmente sui singoli decreti e dichiarazioni del Concilio e le rispettive implicanze pastorali — processi di inculturazione, possibilità di adattamenti della liturgia, coinvolgimento dei laici, formazione del clero, e così via —, fornirono un bilancio positivo rispetto all’avvio della recezione del Vaticano II nelle loro comunità.
(20) Cfr. Documenta secundi Coetus Generalis Extraordinarii: Responsa, cit., n. 64. Al contrario, si pone su una posizione critica rispetto alla recezione del Concilio Vaticano II in Polonia l’articolo di C. Sliwinski, Lettre de Varsavie: «no problem», in ARMo, n. 26 (1985), pp. 33-34.
(21) L’espressione «post Concilium sed non propter Concilum» fu utilizzata dai Padri sinodali durante lo svolgimento dell’Assemblea, onde evitare di attribuire una diretta responsabilità della crisi ecclesiale al Vaticano II. Tuttavia, la Conferenza episcopale olandese costatava una certa difficoltà nell’affermare con assoluta certezza se alcuni errori ed abusi fossero del tutto estranei al Vaticano II, o piuttosto fossero stati una conseguenza di problematiche non risolte: cfr. Synode extraordinaire, cit., p. 249.
(22) Sul movimento lefebvriano e i movimenti tradizionalisti, cfr. Jean Anzevui, Le drame d’Ecône, Valprint, Sion 1976; Bernard Tissier de Mallerais, Mons. Marcel Lefebvre. Una vita, Tabula Fati, Chieti 2005; Yves Congar, La crisi nella Chiesa e Mons. Lefebvre, Querinina, Brescia 1976; D. Menozzi, L’anticoncilio (1966-1984), in Il Vaticano II e la Chiesa, a cura di Giuseppe Alberigo (1926-2007) e Jean-Pierre Jossua, Paideia, Brescia 1985, pp. 433-464; Luc Perrin, Il caso Lefebvre, a cura di D. Menozzi, Marietti, Genova 1991; Émile Poulat (1920-2014), Une Église ébranlée. Changement, conflit et continuité de Pie XII à Jean-Paul II, Casterman, Tournai 1980, pp. 266-282; Wigand Siebel (1929-2014), Katholisch oder konziliar. Die Krise der Kirche heute, Langen-Müller, Monaco-Vienna 1978. Sullo sviluppo ideologico del movimento lefebvriano si tenga presente il periodico Itinéraires, specialmente le annate comprese fra il 1965 e il 1977, e alcune opere di mons. Lefebvre: Accuso il Concilio, Edizioni il Borghese, Roma 1977; Un Vescovo parla, Rusconi, Milano1974; e Il colpo da maestro di Satana, Il Falco, Milano 1977.
(23) La Conferenza episcopale olandese, per esempio, preferiva non parlare di errori formali del periodo post-conciliare, ma piuttosto di accentuazioni unilaterali della dimensione orizzontale del cristianesimo dal punto di vista di un’apertura verso il mondo. Questo fenomeno si profilava anche come il risultato di una lettura non sufficientemente attenta e parziale dei testi: cfr. G. Caprile, op. cit., p. 50.
(24) I temi che maggiormente creavano tensioni all’interno della Chiesa dopo il Vaticano II vertevano sia su questioni di carattere ecclesiologico — collegialità, rapporto Chiesa universale/Chiese particolari, ministeri — sia su problematiche relative al rapporto Chiesa/mondo e Chiesa/modernità.
(25) Cfr. le osservazioni della Conferenza episcopale del Gabon (Synode extraordinaire, cit., p. 216), della Conferenza episcopale brasiliana (ibid., p. 122) e della Conferenza episcopale belga (ibid., pp. 99-100).
(26) Parecchi furono gli interventi da parte di rappresentanti dell’episcopato o di personalità ecclesiali. Ricordiamo le relazioni finali dei diversi gruppi di vescovi europei che presero parte al 6° Simposio dei Vescovi d’Europa (Roma, 7-11 ottobre 1985), in Sintesi dei gruppi regionali, in Il Regno-doc, n. 19, 1985, pp. 604-606, e l’intervento nel medesimo raduno di mons. Jean Vilnet (1922-2013), vescovo di Lille e presidente della Conferenza episcopale francese, in Jean Vilnet, Prima del Sinodo straordinario: quale evangelizzazione per l’Europa, in Il Regno-doc, n. 19, 1985, pp. 602-604. Cfr. la lunga intervista del card. de Lubac in cui spiega come il termine latino restaurare, già usato dal card. Ratzinger, sia da interpretarsi come ricerca del senso autentico del Vaticano II per favorire il progresso della sua applicazione, in H. de Lubac, Entretien autour de Vatican II. Souvenir et Réflexions, France Catholique/Cerf, Parigi 1985, pp. 114-115. L’analisi del teologo milanese Giuseppe Colombo sul significato del Sinodo e particolarmente sugli sviluppi della teologia nel post-concilio, in G. Colombo, Verso il sinodo. Sguardo sulla teologia post-conciliare, in RCL, LXVI, 1985, n. 11, pp. 741-750. L’articolo del card. Edoardo Pironio (1920-1998), presidente del Pontificio Consiglio per i laici, nel quale il Sinodo è definito un evento di speranza per il Concilio, in E. Pironio, Un Sinodo di speranza, in RCL, LXV, 1985, n. 5, pp. 322-326. L’intervista a von Balthasar, a cura di Angelo Scola, in cui l’eminente teologo esprime la speranza che il Sinodo rilanci il tema portante della Costituzione Dei Verbum, particolarmente sul rapporto fra Scrittura, Tradizione e Magistero, e riaffermi la communio hierarchica fra i vescovi, superando così ogni forma di complesso antiromano, in H. de Lubac-H. U. von Balthasar, Viaggio nel Concilio. Viaggio nel Postconcilio, EDIT, Milano 1985, pp. 40-42 e p. 44. Si tengano presenti anche due interviste, ai cardinali Ratzinger e König: V. Messori, Rapporto sulla fede, cit.; F. König, Chiesa dove vai? Gianni Licheri interroga il Cardinale Franz König, Borla, Roma 1985. Ratzinger sosteneva l’importanza di cogliere una continuità del Concilio Vaticano II rispetto alla Tradizione della Chiesa, poiché la Chiesa è un soggetto unico che continuamente cresce e si riforma. La continua riforma di cui necessita la Chiesa — osservava Ratzinger — dovrebbe essere nella linea di una restauratio, cioè la tensione verso un equilibrio fra presente e passato ecclesiale. König evidenziava piuttosto la novità dell’evento conciliare, evitando tuttavia di utilizzare il termine restaurazione, occasione di fraintendimenti e inutili speculazioni.
(27) Cfr. un resoconto dettagliato in G. Caprile, op. cit., pp. 36-94 e pp. 453-461.
(28) Cfr. L. Accattoli, Il Sinodo e l’opinione pubblica mondiale, in Ang., LXIII, 1986, n. 3, pp. 396-402.
(29) Un caso particolare è rappresentato dalle reazioni all’intervista di Ratzinger: cfr. A. Filippi, Il Prefetto intervistato. Rapporto sui sintomi, in Il Regno-att., n. 553, 1985, pp. 345-347; e D. Menozzi, La recezione. Spirito del concilio e spirito lefebvriano, in Il Regno-att., n. 533, 1985, pp. 510-511. Sulle reazioni seguite alla pubblicazione dell’intervista del card. Ratzinger, cfr. G. Caprile, op. cit., pp. 74-79; e Pietro Cantoni, Rapporto sulla fede, in Renovatio, XX, 1985, 4, pp. 591-598.
(30) Cfr. Dario Composta S.D.B. (1917-2002), Le nouveau Code de Droit canonique et les droit subjectifs, in Cath(P), IX, 1995, 47, pp. 26-38; M. Lefebvre, Un Vescovo parla, cit., p. 195; Georges de Nantes (1924-2010), Errare humanum est, perseverare diabolicum, in La Contre-Réforme Catholique au XXe siècle, n. 209, 1985, pp. 1-2; e la lettera di mons. Lefebvre inviata al Papa da Ecône il 31 agosto 1985, ibid., n. 220, 1986, pp. 1-2 8alcune parti di questa lettera sono state tradotte in italiano in Lefebvre scrive, Ratzinger risponde, in Il Regno-att., n. 551, 1985, p. 255).
(31) Cfr. Lettera aperta delle teologhe e dei teologi di Concilium a proposito del prossimo Sinodo, in Conc(I), XXI, 1985, n. 5, pp. 11-14. In Francia apparve un appello, l’Appello di Montpellier, in opposizione al progetto del card. Ratzinger, ritenuto restauratore: cfr. Montpellier un appel a débattre, in ARMo, n. 24, 1985, p. 31. A questo appello seguì anche messaggio, rivolto questa volta al popolo di Dio: cfr. G. Caprile, op. cit., p. 69. L’iniziativa non ottenne il consenso sperato, anzi l’episcopato francese, gruppi di sacerdoti e laici espressero il loro dissenso: cfr. ibid.,pp. 71-73.
(32) Il card. Garrone, padre conciliare in tutte e quattro le sessioni del Concilio Vaticano II, durante lo svolgimento del Sinodo ebbe il compito di redigere la relazione storica all’inizio dei lavori assembleari.
(33) Arcivescovo dell’arcidiocesi belga di Malines-Bruxelles dal 1979.
(34) Cfr. Synodus episcoporum, Relatio historica ad secundum generalem extraordinarium Synodi coetum celebrantem vigesimum solemnis conclusionis Concili Vaticani Secundi anniversarium, Città del Vaticano 1985, pp. 1-24 (d’ora in poi Relatio historica). In lingua italiana, cfr. G. Caprile, op. cit., pp.105-108.
(35) Cfr. Giovanni XXIII, Discorso «Gaudet mater Ecclesia» nella solenne apertura del concilio (Sessione I), dell’11-10-1962, in AAS, LIV, 1962, pp. 791-792.
(36) Cfr. Relatio historica, p. 6.
(37) Cfr. ibid., p. 7.
(38) Cfr. ibid., pp. 7-8
(39) Cfr. ibid., p. 9.
(40) Cfr. ibid., p. 21.
(41) Cfr. Synodus Episcoporum, Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi. Praesentatio et explicatio Relationis ab eminentissimo Relatore Cardinale Godefrido Danneels Espiscoporum Synodi anno 1985 secundo extraordinario coetui datae, Città del Vaticano 1985, pp. 1-20 (d’ora in poi Praesentatio). Per un compendio in lingua italiana, cfr. G. Caprile, op. cit., pp. 109-112.
(42) Cfr. Praesentatio, pp. 3-4.
(43) Cfr. ibid., p. 5.
(44) «Dopo il Concilio, dunque a causa del Concilio» e, la variante, «dopo il Concilio, dunque non a causa del Concilio» furono due espressioni utilizzate spesso durante il Sinodo per indicare il rapporto tra le difficoltà del post-concilio e il Concilio.
(45) Cfr. Praesentatio, p. 5.
(46) Cfr. ibid., p. 8.
(47) Il card. Danneels si riferiva alla liturgia, alla diffusione della Parola di Dio, all’ecclesiologia e, infine, al complesso rapporto Chiesa-mondo: cfr. ibid., pp. 9-12.
(48) Cfr. ibid., p. 12.
(49) Cfr. ibid., pp. 12-13.
(50) Cfr. ibid., p. 13.
(51) Cfr. ibid., p. 14.
(52) Cfr. Synodus episcoporum, Nos, episcopi, in ESV I, nn. 2709-2717 (testo in latino e in italiano). Per il processo redazionale, cfr. G. Caprile, op. cit., pp. 382-386; pp. 395-397; p. 399 e pp. 402-403. Il Messaggio finale fu proclamato in diverse lingue al termine della solenne celebrazione dell’8 dicembre, ripetendo in qualche modo il gesto della cerimonia conclusiva del Concilio Vaticano II.
(53) Cfr. Synodus Episcoporum, Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi. Relatio finalis ab Em.mo D. Godefrido card. Danneels, Archiepiscopo Mechlinensi-Bruxellensi, relatore, redacta ad suffragationem patrum submissa, annuente summo pontifice publicata, cit., pp. 1-20; il testo in latino e in italiano: ESV I, nn. 2718-2757 (d’ora in poi Relatio finalis). Per il processo redazionale, cfr. G. Caprile S.J., op. cit., pp. 386-394 e pp. 402-405.
(54) Cfr. Nos, episcopi, in ESV, I, nn. 2710-2712.
(55) Cfr. Relatio finalis, pp. 4-5: ESV I, nn. 2722-2723.
(56) Cfr. ibid., p. 5: ESV I, n. 2724. Le indicazioni ermeneutiche contenute nel documento finale del Sinodo ricalcano in qualche modo quelle proposte da Kasper con la sua relazione alla Segreteria generale del Sinodo nella fase preparatoria.
(57) Espressioni di mons. Schotte in Angelo Scelzo, Una straordinaria assemblea convocata nel segno di un grande evento ecclesiale, in OR, 10-12-1985.
(58) Cfr. G. Danneels, L’esperienza della comunione e le tensioni della pluralità, a cura di F. Strazzari, in Il Regno-att., n. 543, 1985, pp. 1-3; Jean-Marie Lustiger (1926-2007), Pour «un nouvel âge de l’histoire humaine», NRTh, CVII, 1985, n. 6, pp. 801-813; Aloísio Lorscheider (1924-2007), Testimonianza sul Sinodo alla luce del Vaticano II, in Conc(I), XXII, 1986, n. 6, pp. 108-114; le rassicurazioni sulla libertà di discussione e l’attestazione dell’assenza di revisioni o di rettifiche rispetto al Vaticano II da parte dei vescovi Antonio Quarracino (1923-1998) e Marcos Gregorio McGrath (1924-2000), rappresentanti dell’episcopato dell’America latina, in G. Caprile, op. cit., pp. 440-441; la riflessione del card. Anastasio Ballestrero (1913-1998), arcivescovo di Torino, sull’unanimità di pensiero dei Padri sinodali e sulla mancanza di conflitti tra Chiese, in Anastasio Ballestrero, Concilio: storia di oggi e impegno per il domani, in RCL, LXVII, 1986, 2, pp. 82-85; la testimonianza del card. Poupard, interessante per il giudizio sui mezzi di informazione che cercarono di descrivere l’evento sinodale in senso conflittuale, in Paul Poupard, Un sinodo straordinario, in VP, LXVIII, 1986, n. 2, pp. 85-91. Fondamentale è il commento del teologo del Sinodo, Walter Kasper. Partendo da un’attenta analisi della prima fase post-conciliare, caratterizzata particolarmente nell’Europa Occidentale e nel nord dell’America dalla rivoluzione culturale del ’68, Kasper individua il punto di origine della crisi ecclesiale nelle modalità di comprensione della Chiesa (problema ecclesiologico) e, per questa ragione, evidenzia come l’applicazione del Concilio sia strettamente connessa all’esegesi dei suoi documenti: cfr. W. Kasper, Il futuro dalla forza del Concilio, cit.
(59) Alcuni giudizi a volte mancano di fondamento. La ricostruzione storica dell’evento sinodale a cura del gesuita britannico Peter Hebblethwaite (1930-1994) è un esempio di questo genere: egli sostiene la tesi secondo la quale Giovanni Paolo II e il card. J. Ratzinger avrebbero progettato un dirottamento della vita della Chiesa verso destra, gettando nell’oblio il Concilio Vaticano II e cancellandone l’originalità: cfr. P. Hebblethwaite, Synod Extraordinary. The Inside Story of the Rome Synod, November/December 1985, Darton,Longman & Todd Ltd, Londra 1986. Di natura diversa si manifestano gli articoli apparsi sulla rivista Concilium in un numero monografico dedicato al Sinodo del 1985. Alberigo, per esempio insiste su alcune presunte anomalie nella fase di preparazione del Sinodo: il breve intervallo di tempo fra convocazione e celebrazione; l’orientamento del questionario verso una visione statica del Concilio Vaticano II e una lettura allarmistica della situazione della Chiesa; l’influsso tendenzioso del libro intervista di Ratzinger. L’insieme di questi fattori avrebbe compromesso il lavoro sinodale: cfr. G. Alberigo, Nuovi equilibri ecclesiali oltre il Sinodo, in Conc(I), XXII, 1985, n. 6, pp. 183-194. Anche Melloni difende l’ipotesi che il card. Ratzinger avrebbe tentato di imporre la sua opinione durante la fase preparatoria del Sinodo, ma senza raggiungere alcun successo; inoltre, Melloni non risparmia il suo giudizio critico rispetto alla Relazione finale, troppo indulgente verso posizioni pessimiste e conservatrici: cfr. A. Melloni, Il postconcilio e le Conferenze episcopali: le risposte, in Conc(I), XXII, 1985, n. 6, pp. 30-44.
(60) Il fronte tradizionalista si compiace della condanna degli abusi e delle deformazioni contro la Tradizione diffusisi con un utilizzo strumentale del Vaticano II, ma allo stesso tempo condanna severamente il fatto che non si voglia da parte della Chiesa riconoscere proprio nell’ultimo Concilio l’origine della crisi del magistero e della dottrina: cfr. Il Concilio non è intoccabile, in Sì Sì No No, XI, 1985, n. 18, p. 7; Una delusione: «Rapporto sulla fede» del card. Ratzinger, ibid., n. 15, pp. 1-5; La tradizione il concilio e i «tradizionalisti», Albano Laziale 1999, che riproduce una serie di articoli apparsi sulla rivista tradizionalista Sì Sì No No nel febbraio 1989; Romano Amerio (1905-1997), Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Ricciardo Ricciardi, 3a ed., Milano-Napoli1989; Jean Madiran (1920-2013), Le Concile en question. Correspondance Congar-Madiran sur Vatican II et sur la crise de l’Eglise, D. M. Morin, Brouère 1985; F. Spadafora, Il Postconcilio,cit.; Idem, La Tradizione contro il Concilio, Volpe, Roma 1989; e Claude Barthe, Une page tournée, in Cath(P), n. 1, 1987, pp. 29-33.
(61) Cfr. P. Hebblethwaite, op. cit., p. 3 e p. 30; G. Alberigo, Nuovi equilibri oltre il Sinodo, cit., pp. 183-184; e P. Valadier, Vagues nouvelles dans l’Èglise, in Études, n. 364, 1985, pp. 383-397 (p. 389).
(62) Cfr. P. Valadier, op. cit., p. 389.
(63) Questa tesi faceva riferimento all’esclusione di due eminenti personalità del mondo ecclesiale, ritenute di tendenza progressista, come i cardinali Bernardin, arcivescovo di Chicago, e Martini, arcivescovo di Milano.
(64) Cfr. P. Hebblethwaite, op. cit., pp. 133-134.
(65) Cfr. G. Alberigo, Nuovi equilibri oltre il Sinodo, cit., p. 185, e A. Melloni, Il Postconcilio e le Conferenze episcopali: le risposte, cit., p. 34: secondo Melloni, il card. Ratzinger avrebbe riscosso pochi consensi.
(66) Il riferimento era in relazione al contrasto con l’episcopato dell’America Latina sul tema della teologia della liberazione.
(67) Cfr. La tradizione il concilio e i «tradizionalisti», cit., pp. 27-29; C. Barthe, Un page tournée, cit., p. 33; Idem, Droit au désaccord et règle de foi, in Cath(P), n. 3, 1987, pp. 24-35; e F. Spadafora, La Tradizione contro il Concilio, cit., pp. 189-190. Secondo costoro il Sinodo dogmatizzò il Vaticano II e contribuì a incrementare la crisi nella Chiesa.
(68) In questo senso, senza fondamento e ideologicamente, si esprime di recente lo studioso Massimo Faggioli nel suo breve accenno al dibattito sinodale del 1985: cfr. Massimo Faggioli, Il dibattito al sinodo del 1985, in Interpretare il Vaticano II. Storia di un dibattito, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2013, pp. 86-92.
(69) Cfr. Paul Ladrière (1927-2013), Le Catholicisme entre deux interprétations du Concile Vatican II. Le Synode extraordinaire de 1985, in ASSR, LXII, 1986, n. 1, pp. 9-51.
(70) Cfr. A. Melloni, Il Postconcilio e le Conferenze episcopali: le risposte, cit., p. 43.
(71) Cfr. J. Ratzinger, Unidad en la tradición de la fe, in Cuaderno Humanitas, n. 20, 2008, p. 38.
(72) Benedetto XVI, Allocuzione «Expergiscere, homo», 22-12-2005, in AAS, 98, 2006, pp. 40-53.
(73) Cfr. J. Ratzinger, Theologische Prinzipienlehre. Bausteine zur Fundamentaltheologie, Erich Wewel Verlag, Monaco di Baviera 1982, p. 391.