Di Lucia Capuzzi da Avvenire del 14/07/2021
E’ l’immagine-simbolo delle proteste: una ragazza, avrà avuto meno di trent’anni, sfilava per le vie del centro storico dell’Avana con un neonato in braccio e un bimbo tenuto per mano. Nel mentre gridava: “Abbasso il governo”. Quella era una mamma diventata manifestante non per ragioni ideologiche ma perché non sapeva come sfamare i propri figli», racconta Mauricio Mendoza, giornalista del Diario de Cuba. Lo scorso 27 novembre, era fra quanti si sono riuniti di fronte al ministero della Cultura per sostenere il Movimento San Isidro: trenta di loro, incluso Mendoza, sono stati chiamati a negoziare con le autorità.
Una rivolta di artisti e intellettuali, differente da quella che ora infiamma l’isola intera. Nel mezzo, ci sono stati otto mesi di collasso provocato dalla pandemia. Il Covid si sta rivelando particolarmente crudele con i cosiddetti “punti ciechi” della geopolitica globale. America Latina in testa, dove il virus è arrivato per restare, in termini sanitari ed economici, per la lentezza delle vaccinazioni. A partire dalla fragilissima regione caraibica, come Haiti dimostra. La pandemia ha fatto irruzione in una Cuba già in emergenza.
«Le 242 sanzioni imposte dall’Amministrazione Trump l’hanno messa in ginocchio. Ovvio: la situazione era già difficile prima, per le politiche inefficienti del governo cubano. Le restrizioni trumpiane, però, l’hanno resa impossibile», spiega Arturo López-Levy, politologo della Holy Names University di Oakland, tra i più acuti interpreti della realtà del Paese. Se la prima e la seconda ondata sono state in parte “contenute”, con la terza il contagio è dilagato. Nelle ultime 24 ore ci sono stati oltre 5.600 casi e 29 morti per un totale di più di 250mila infettati e 1.600 decessi. E questi sono i dati ufficiali che, secondo l’opposizione, sarebbero “ritoccati” al ribasso.
Numeri a parte, il sistema sanitario è in grave difficoltà, con una penuria di medicinali e dispositivi. «Da poco ho avuto una specie di influenza. Mi sono curato da solo con i suffumigi. Se fossi andato dal medico mi avrebbe fatto chiudere in un centro Covid, senza nemmeno farmi un test. A contatto con altri contagiati, mi sarei ammalato», prosegue Mendoza.
Critica soprattutto la situazione di Matanzas, dove il virus è arrivato insieme ai turisti russi, gli unici in pratica ad aver ripreso i viaggi nell’isola. L’avvio della somministrazione di Abdala, il vaccino nazionale – la cui efficacia al 92 per cento è stata annunciata con orgoglio dal governo che ne ha altri tre in fase di sperimentazione –, contrariamente alle attese, non ha alleviato il malcontento. Anche perché appena un 15 per cento della popolazione è immunizzata.
La ripresa del turismo internazionale si prospetta, dunque, lontana. Troppo per la gran parte degli abitanti, stremati dalla penuria di cibo, non nuova ma mai di tale portata. Gli alimenti a costo calmierato, erogati mensilmente, durano al massimo una settimana. E i prezzi degli altri crescono giorno dopo giorno. «Le proteste sono il risultato di questa disperazione. Difficile in tale situazione immaginare quella transizione pacifica, graduale e ordinata auspicata dalle forze democratiche a Washington. Cuba rischia di implodere. E sprofondare nel caos – conclude López-Levy –. Per evitarlo, è fondamentale che gli Usa riprendano la politica del disgelo dell’era Obama».
È, tuttavia, il muro contro muro che sembra prevalere Joe Biden – pur architetto di quella strategia – non è disposto a fare concessioni: anche ieri il dipartimento di Stato ha ribadito la condanna per la repressione. Mentre le spinte riformiste interne al sistema sono strangolate dal pugno di ferro con il presidente Miguel Díaz-Canel ha scelto di rispondere alle proteste.
Con Internet bloccato da 48 ore, è impossibile avere un dato certo degli arresti: un centinaio secondo Cubalex, 73 per Amnesty International. Tra loro, i giornalisti Maikel Castillo e Camila Acosta, corrispondente del quotidiano spagnolo Abc, i dissidenti Mike González Rivero, Leonardo Romero Negrín e il minore Marcos Antonio Pérez. Anche il sacerdote Castor Álvarez Defesa è stato fermato a Camagüey e poi rilasciato. Arresti definiti «inaccettabili» dall’alto commissario Ue, Josep Borrell. Forte preoccupazione per «l’indurimento delle posizione» è stato espresso dai vescovi cubani: «La violenza genera violenza, l’aggressività infligge ferite difficili da sanare».
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