Un Paese diviso, la delusione dell’elettorato di Bolsonaro, il rischio del ritorno della sinistra
di Stefano Nitoglia
Grandi manifestazioni pro-Bolsonaro (Jair Messias Bolsonaro) si sono svolte il 7 settembre in Brasile in occasione della festa del 199mo anniversario dell’indipendenza del Brasile dal Portogallo (7 settembre 1822).
A Brasilia diverse centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza davanti al Parlamento federale per appoggiare il governo del presidente conservatore (così si è pubblicamente definito) del Brasile, eletto il 1 gennaio 2019, il cui mandato scade alla fine del 2022, mentre le elezioni presidenziali sono fissate per il mese di ottobre dell’anno prossimo.
Il giorno successivo (8 settembre) si è svolta un’altra grande manifestazione in appoggio del presidente nella Avenida Paulista, una delle arterie stradali più importanti di San Paolo del Brasile, terminata con un discorso di Bolsonaro. Ci sono state anche altre manifestazioni a Rio de Janeiro e in altre città brasiliane, ma anche la sinistra è scesa in piazza.
Durante il discorso a San Paolo il leader brasiliano ha attaccato duramente Alexandre de Moraes, ex politico e giurista progressista, Ministro del Supremo Tribunale Federale (STF), massima assise della magistratura brasiliana con funzioni simili a quella della Suprema Corte degli Stati Uniti e delle nostre Cassazione e Corte Costituzionale, che lo sta indagando per presunta diffusione di “fake news” sui possibili brogli del sistema di votazione elettronica, che potrebbe essere hackerato durante le prossime presidenziali (la stessa accusa mossa dagli ambienti progressisti americani contro Trump, che hanno portato alla chiusura dei suoi siti social).
Bolsonaro ha alzato i toni della polemica accusando de Moraes di «andare contro la democrazia» e di «non rispettare la Costituzione»; ha accusato anche le forze progressiste con la magistratura politicizzata di macchinare contro la sua rielezione (nihil novi sub sole). Una lotta all’ultimo sangue dalla quale, ha affermato: «ne uscirò o incarcerato, o morto o vincitore» (Fabio Mato, “Nuncaserei preso”, dizBolsonaro, sulla rivista telematica brasiliana Oeste del 07.09.2021).
La stampa mainstream progressista ha fornito dei dati non veritieri sulla presenza alle manifestazioni conservatrici (100 mila presenti a quella di Brasilia e 125 mila a quella di San Paolo, mentre la gente era molto di più, basta vedere le immagini che circolano in rete) e ha accusato Bolsonaro di mire golpiste.
Dal canto suo, il giudice Robert Barroso, presidente del Tribunale Supremo Elettorale, che dovrà giudicare eventuali ricorsi circa le prossime elezioni presidenziali, ha accusato Bolsonaro di essere un “falsario” (Cristyan Costa, Em 1° discurso pós-7 de Setembro, Barroso atacaBolsonaro e manifesta apoioao TSE, ‘Aspessoassabemquemé o farsante’, disse o ministro. sulla rivista telematica brasiliana Oeste del 09.09.2021).
In Brasile, scosso da una grave crisi economica e politica, è in atto un duro scontro istituzionale tra la magistratura progressista e la classe politica conservatrice e di destra, che si fa sempre più infuocato in prossimità delle elezioni presidenziali del 2022, nelle quali l’ex presidente comunista Lula (Luiz Inácio Lula da Silva), leader del PT (PartidodosTrabalhadores), potrebbe scontrarsi con Bolsonaro. I sondaggi lo danno in vantaggio (40% Lula contro il 24% di Bolsonaro), ma la battaglia è ancora lunga e si sa che non sempre i sondaggi ci prendono e spesso sono manipolati; inoltre, la situazione è piuttosto ingarbugliata. Infatti, Lula è stato condannato in appello a 12 anni di prigione per lo scandalo delle tangenti Petrobras (la compagnia petrolifera brasiliana), pena confermata dalla Corte Suprema Federale, con sospensione dei diritti politici e quindi la sua candidatura è virtualmente nulla. Nel novembre 2018, inoltre, ha ricevuto una nuova incriminazione, ma il 7 novembre 2019 il Tribunale supremo federale ha deciso, per 6 voti a 5, che i detenuti condannati in secondo grado devono essere scarcerati in attesa di sentenza definitiva, e Lula è stato scarcerato.
Il quindicennio di dominio politico ed economico socialcomunista, prima con Lula, nel 2002, e poi con Dilma Roussef (Dilma Vana Rousseff), che è stata presidente del Brasile dal 1 gennaio 2011 al 1 gennaio 2016, aveva causato una grave crisi economica e il rigetto del progressismo da parte della maggioranza dei brasiliani. Nel 2013 questa maggioranza antiprogressista è scesa in piazza con imponenti manifestazioni e ciò aveva portato alla elezione di un presidente di destra, come Bolsonaro, suscitando grandi speranze.
Bolsonaro aveva promesso di smantellare la politica economica socialcomunista e dirigista di Lula e Dilma e del PT con delle riforme “liberali”, ma dopo tre anni di governo non è riuscito nel suo intento e questo ha deluso i suoi sostenitori. Le dimostrazioni di qualche giorno fa in favore del presidente dimostrano, però, che la sua popolarità non è del tutto tramontata, anche perché il candidato ufficiale fino ad ora del PT, in attesa dello sblocco della situazione di Lula, Fernando Haddad, già sconfitto da Bolsonaro nelle ultime presidenziali, non è considerato una valida alternativa. Insomma, Bolsonaro agli occhi dei conservatori è considerato il male minore. Soprattutto di fronte alla situazione di estrema polarizzazione della politica brasiliana e di crisi sempre maggiore dell’economia. Una situazione che molti definiscono esplosiva.
Sabato, 11 settembre 2021