Al giorno d’oggi, specie in ambito ecclesiale, la parola “servizio” è un po’ logora, ma nel Vangelo ha un significato ben preciso: fare come Gesù
di Michele Brambilla
Affacciandosi per l’Angelus domenicale, il 19 settembre Papa Francesco riassume con queste parole la pagina evangelica del giorno: «il Vangelo della liturgia odierna (Mc 9,30-37) narra che, lungo il cammino verso Gerusalemme, i discepoli di Gesù discutevano su chi “tra loro fosse più grande” (Mc 9,34). Allora Gesù rivolse loro una frase forte, che vale anche per noi oggi: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”(Mc 9,35)».
Queste parole di Cristo inaugurano per i credenti in Lui una prospettiva “rovesciata” rispetto a quella mondana: «il valore di una persona non dipende più dal ruolo che ricopre, dal successo che ha, dal lavoro che svolge, dai soldi in banca; no, no, non dipende da quello; la grandezza e la riuscita, agli occhi di Dio, hanno un metro diverso: si misurano sul servizio. Non su quello che si ha, ma su quello che si dà».
Il Papa riconosce che «oggi la parola “servizio” appare un po’ sbiadita, logorata dall’uso», specie nell’ambito ecclesiastico, in cui è molto comune, «ma nel Vangelo ha un significato preciso e concreto. Servire non è un’espressione di cortesia: è fare come Gesù, il quale, riassumendo in poche parole la sua vita, ha detto di essere venuto “non per farsi servire, ma per servire” (Mc 10,45)». Persino «la nostra fedeltà al Signore dipende dalla nostra disponibilità a servire. E questo, lo sappiamo, costa, perché “sa di croce”. Ma, mentre crescono la cura e la disponibilità verso gli altri, diventiamo più liberi dentro, più simili a Gesù. Più serviamo, più avvertiamo la presenza di Dio».
«Gesù, proprio per illustrare questo, dopo aver parlato del primato del servizio, compie un gesto. Abbiamo visto» più volte nei Vangeli canonici «che i gesti di Gesù sono più forti delle parole che usa. E qual è il gesto? Prende un bambino e lo pone in mezzo ai discepoli, al centro, nel luogo più importante», dove nessuno, nella società dell’epoca, l’avrebbe mai posto. Il Pontefice ricorda che «il bambino, nel Vangelo, non simboleggia tanto l’innocenza, quanto la piccolezza. Perché i piccoli, come i bambini, dipendono dagli altri, dai grandi, hanno bisogno di ricevere. Gesù abbraccia quel bambino e dice che chi accoglie un piccolo, un bambino, accoglie Lui (Mc 9,37). Ecco anzitutto chi servire: quanti hanno bisogno di ricevere e non hanno da restituire».
Il Santo Padre interroga, allora, i pellegrini: «cari fratelli e sorelle, interpellati dal Vangelo, facciamoci delle domande: io, che seguo Gesù, mi interesso a chi è più trascurato? Oppure, come i discepoli quel giorno, vado in cerca di gratificazioni personali? Intendo la vita come una competizione per farmi spazio a discapito degli altri oppure credo che primeggiare significa servire? E, concretamente: dedico tempo a qualche “piccolo”, a una persona che non ha i mezzi per contraccambiare? Mi occupo di qualcuno che non può restituirmi o solo dei miei parenti e amici?». Abbiamo davanti un esempio eminente: «la Vergine Maria, umile serva del Signore, ci aiuti a comprendere che servire non ci fa diminuire, ma ci fa crescere. E che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr At 20,35)». Il Papa sottolinea il 175° anniversario delle apparizioni di La Salette (1846): «le lacrime di Maria fanno pensare a quelle di Gesù su Gerusalemme e alla sua angoscia nel Getsemani. Sono un riflesso del dolore di Cristo per i nostri peccati e un appello sempre attuale ad affidarsi alla misericordia di Dio».
Lunedì, 20 settembre 2021