E’ giusto continuare a parlare pubblicamente di sacralità della vita e unicità della famiglia naturale?
di Marco Invernizzi
Prendo spunto da uno dei tanti interventi di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI contenuti nel recente libro sull’Europa con introduzione di Papa Francesco (Cantagalli 2021) per ritornare su un tema divisivo anche all’interno del mondo cattolico. Il Papa emerito scriveva nel 1987 che «non bisogna rassegnarsi» a tacere in tema di aborto, anche se questo comporta scontri e incomprensioni e ci sono tematiche dove si troverebbe maggiore consenso (per esempio oggi il tema dell’ambiente). Premesso che la dottrina sociale della Chiesa tratta tutti i temi antropologicamente rilevanti, quindi sia vita e famiglia ma anche ambiente, Ratzinger ricorda come «il rispetto di ogni vita umana è condizione essenziale perché sia possibile una vita sociale degna di questo nome» e «quando nella sua coscienza l’uomo perde il rispetto per la vita come cosa sacra, inevitabilmente egli finisce per smarrire anche la sua stessa identità». Ratzinger scriveva queste parole nel 1987, ma oggi trattare il tema dell’aborto comporta ancora come allora polemiche e reazioni astiose.Tuttavia, c’è una novità, anche importante: esiste una generazione (quella che oggi ha meno di 40 anni e non ha combattuto le battaglie per la vita degli Anni Settanta e Ottanta) quasi completamente assuefatta ad accettare l’aborto come qualcosa di normale. E’ chiaro che ogni possibile ribaltamento, o anche attenuazione, della legislazione abortista (come avvenuto in Texas per esempio) deve essere preceduto da un lungo e paziente lavoro di persuasione culturale del corpo sociale, quasi un “porta a porta” faticoso ma necessario, pena andare incontro a inevitabili sconfitte (come avvenuto a San Marino, anche se si tratta di un piccolo campione).
Quindi, da una parte non bisogna mai smettere di parlarne, ma contemporaneamente bisogna parlarne bene, con intelligenza e delicatezza.
Non bisogna rassegnarsi a tacere, scriveva Ratzinger, perché «ogni legalizzazione dell’aborto implica (…) l’idea che è la forza che fonda il diritto». Questo credo valga anche per altri temi sensibili, come l’unicità del matrimonio fondato sulla comunione di un uomo e una donna, o come il diritto all’obiezione di coscienza di fronte a leggi ingiuste, un diritto che oggi sembra essere entrato nel mirino delle forze progressiste.
Ma non bisogna, oggi, trascurare quanto accaduto dal 1987, in oltre 30 anni di costante lavaggio del cervello da parte di un pensiero che è quasi diventato unico. E proprio per questo bisogna trovare il modo di “parlarne bene”. Spesso questi temi vengono affrontati più per galvanizzare una minoranza molto motivata, che si è venuta a creare in tanti anni di battaglie per la vita, piuttosto che per convincere la grande maggioranza, che ha ormai accettato il “pensiero unico” su temi come la vita e la famiglia.
E allora che fare? Non si può tacere, ma spesso se ne parla in modo sbagliato. Tacere è la peggiore soluzione: è inaudito che nelle associazioni e nei movimenti cattolici, per fare un esempio, o nelle parrocchie, i temi sensibili non vengano affrontati perché divisivi. Come diceva il card. Angelo Scola, questo silenzio comporterà nuove e maggiori divisioni. Semplicemente non possiamo permetterci di tacere, perché si tratta di principi fondamentali e irrinunciabili. Ma non dobbiamo parlarne neppure solo per il desiderio di perseguire scopi di visibilità personale o associativa, limitandoci alla polemica dai toni accesi. La condizione per essere davvero incisivi e persuasivi, oltre all’unità del fronte pro-life, è cercare di essere attrattivi, mostrando la bellezza della vita oltre all’ingiustizia di tutto quanto congiura contro di essa.
Credo valga la pena di riflettere sul che fare, senza la pretesa di avere la soluzione a portata di mano, ma con la convinzione che, come scrive il Papa emerito, «non bisogna rassegnarsi».
Venerdì, 8 ottobre 2021