Da Il poliedro del Dicembre 2018. Foto da meteoweb.eu
Cos’è il Natale se non una nascita? E cosa scandalizza di più la post-modernità -cioè l’epoca che doveva realizzare l’emancipazione dell’uomo da ogni limite, sia di ordine ſ sico che morale- se non proprio il nascere, ovvero il fatto che non ci facciamo da soli e che proveniamo da altri? Vi sono, però, due modi per reagire ad uno scandalo, cioè dinanzi ad un inciampo: proseguire oltre, come se nulla fosse accaduto, oppure fermarsi. E, una volta fermi, osservare ciò che ci sta intorno, ciò verso cui correvamo e, ſ nalmente, noi stessi. Qualcosa di inusuale, non vi è dubbio; anzi di inconcepibile secondo i parametri dell’uomo moderno, impegnato a consumare freneticamente il presente; qualcosa per cui non sono necessarie tecniche rafſ nate, ma solo silenzio e ascolto. Se, però, quell’inciampo ci fa aprire anche un solo occhio, la luce dell’artiſ cio cede il passo alla luce vera e le cose -le nostre cose- iniziano ad assumere tutto un altro aspetto. Intorno a noi, appare il mondo cosi come è, fatto di frammenti in costante conƀ itto fra loro. Oltre noi, incombe la chimera di una felicità come autoaffermazione, come appagamento di qualsiasi desiderio. Dentro di noi, il senso dell’impotenza e della sconſ tta; e, soprattutto l’acre sapore del rancore e della disperazione. La Natività è, allora, il nostro inciampo, ma anche la nostra grande occasione. Se, infatti, in quel Bambino rivediamo noi stessi, potremo davvero iniziare a liberarci dei pregiudizi della post-modernità, dei suoi falsi miti, delle sue vuote promesse. Potremo renderci conto della nostra intrinseca debolezza, della nostra non-autosufſ cienza, ma, al contempo, iniziare ad assaporare la verità su noi stessi: siamo nati non per mano di un uomo e nessuna mano di uomo può decidere di noi, neppure la nostra stessa mano. Questa, e non altra, è la nostra incommensurabile dignità. Ritornare alla nascita significa, allora, rinascere a nuova vita, riscoprire il senso stesso della nostra vita. Non attraverso elaborazioni intellettualistiche, ma partendo dalla nostra condizione, dalle ferite che questo tempo di suadenti menzogne ha inferto al nostro corpo ed al nostro cuore. Tutto molto incarnato, insomma. Come il presepe, che è scandalo nello scandalo. Perché non solo celebra la nascita, ma racconta di un Dio che decide di nascere come un uomo, per rendere visibile, percepibile all’uomo stesso, la Verità. Il presepe è, dunque, soprattutto oggi, l’atto “rivoluzionario” per eccellenza. Al centro, non vi è un adulto, con le sue voglie, ma un bimbo appena nato; un bambino che è stato fatto nascere e che non è stato soppresso nel grembo materno. Accanto a lui, una mamma ed un papà. Attorno a quella famiglia, è radunata una comunità, fatta di uomini che riconoscono in quel Bambino il centro, verso cui orientare la loro vita, anche sociale. Davvero felice è stata l’intuizione di Sant’Alfonso nel pensare ad un presepe fatto di uomini di ogni tempo e di ogni condizione sociale, perché quella Natività altro non è che la scena della nostra vita. Il presepe, la Natività, diventa, allora, il nostro esame di coscienza, individuale e sociale. Quanto siamo distanti rispetto a quel Bambino? Quanto siamo lontani rispetto alla Verità? E’ vero che gli Erode del nostro tempo continuano, in maniera talora sfacciata talaltra subdola, a dare la caccia a quel Bambino. E’ vero che i sapienti del mondo hanno messo la taglia sulla Verità, come qualcosa di pericoloso per gli uomini. Ma è altrettanto vero che l’uomo non può fare a meno di ricercare la Verità, non può desiderare se non l’inſ nito, perché questo è scritto nel suo cuore e tutto il resto sono solo ingannevoli surrogati, pur se presentati come diritti. Dinanzi ad un mondo che ha paura di un Bambino indifeso, che ha paura della Verità, il Presepe ci trasmette, invece, il senso della serenità che prende gli uomini quando vincono quella paura e decidono di ritornare a quel Bambino, di ritornare come quel Bambino. Qualcuno ha detto che questo non è il tempo delle recriminazioni, ma delle decisioni. Rosario Livatino, il giudice santo, ha osservato che decidere signiſ ca scegliere, fra più soluzioni; e che per scegliere, occorre la luce e che nessun uomo è luce a sé stesso. La Natività può davvero essere la nostra luce, sia per le nostre vite che per le nostre società. Da quello scandalo, da quell’inciampo, può nascere la vera speranza.
Domenico Airoma