Leonardo Gallotta, Cristianità n. 408 (2021)
Innanzitutto la data, il 25 marzo, festa dell’Annunciazione. A Firenze, proprio in questo giorno, iniziava l’anno secondo il computo ab Incarnatione e tale data, vicino all’equinozio di primavera e nella prospettiva pasquale, era associata alla creazione del mondo e alla redenzione operata da Cristo sulla Croce. Proprio per il 25 marzo è stato istituito il «Dantedì», la giornata di Dante Alighieri (1265-1321), in quanto la maggior parte degli studiosi ritiene che sia questa la data d’inizio del viaggio nell’oltretomba di Dante e quindi della Divina Commedia, non un poema qualsiasi, anche perché viene definito da Dante stesso, nel Paradiso, il «poema sacro/ al quale ha posto mano cielo e terra» (Par. XXV, 1-2). E proprio il 25 marzo è stata pubblicata la lettera apostolica Candor lucis aeternae, con la quale Papa Francesco vuole onorare il Sommo Poeta a settecento anni dalla morte (1).
1. Le parole dei pontefici dell’ultimo secolo su Dante Alighieri
In occasione del sesto centenario della morte del Poeta, Papa Benedetto XV (1914-1922) commemorò l’anniversario sia con la lettera enciclica In praeclara summorum (2), sia promuovendo lavori di restauro della chiesa ravennate di San Pietro Maggiore, popolarmente chiamata di San Francesco, dove furono celebrate le esequie di Alighieri e nella cui area cimiteriale venne sepolto. In quella enciclica, e già prima in una lettera all’arcivescovo di Ravenna, mons. Pasquale Morganti (1852-1921), rivendicava Dante al cattolicesimo, così scrivendo: «Infatti chi potrà negare che il nostro Dante abbia alimentato e rafforzato la fiamma dell’ingegno e la virtù poetica, traendo ispirazione dalla fede cattolica, a tal segno che cantò in un poema quasi divino i sublimi misteri della religione?» (3). Il momento storico era segnato da sentimenti di laicistica ostilità alla Chiesa e da qui la necessità della rivendicazione. L’opera di Dante — aggiungeva il Pontefice — è un eloquente e valido esempio per «[…] dimostrare quanto sia falso che l’ossequio della mente e del cuore a Dio tarpi le ali dell’ingegno, mentre lo sprona e lo innalza» (4).
Al settimo centenario della nascita del Poeta, nel 1965, si collegano invece i diversi interventi di san Paolo VI (1963-1978). Egli donò una Croce dorata per il tempietto dove riposano le spoglie di Dante e alla conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) offrì in dono un’aurea corona di alloro, con incastonato il monogramma di Cristo, al Battistero di San Giovanni, a suo tempo luogo di investitura di cavalieri e di poeti. Il Pontefice volle in quel modo offrire a Dante quella laurea poetica che egli attendeva dalla sua Firenze e che mai ebbe, ma soprattutto ne onorò la memoria con la lettera apostolica Altissimi cantus (5).
Secondo san Paolo VI la sferza usata contro più di un Pontefice romano e le accuse contro chi avrebbe dovuto annunciare il Vangelo e rappresentare non sé stesso ma Cristo, non scossero mai la sua fede cattolica e la sua filiale devozione alla Chiesa. A dire il vero non erano tanto questi — o almeno non solo — i motivi per cui, già poco dopo la morte, Dante fu duramente contestato da alti esponenti del clero. Sotto accusa era infatti il suo trattato sulla monarchia universale De monarchia, dove esponeva la teoria «dei due soli», e le accuse continuarono per qualche secolo, addirittura con la messa all’Indice dei libri proibiti dal Concilio di Trento (1545-1563), tolta solo per merito di Leone XIII (1878-1903) con la scomparsa, in tal modo, di ogni condanna (6). San Paolo VI continuava dicendo che la Commedia si proponeva non solo di essere poeticamente bella e moralmente buona, ma anche in grado di portare l’uomo «dal disordine alla saggezza, dal peccato alla santità, dalla miseria alla felicità, dalla contemplazione terrificante dell’Inferno a quella beatificante del Paradiso» (7).
Fra i tanti aspetti messi in rilievo da san Paolo VI nella lettera apostolica, fra cui i valori umani riconosciuti ed esaltati e il rapporto teologia-bellezza, occorre segnalare l’accento posto sulla Commedia come poema di pace, quando scrive che «per restaurare l’ordine e la salvezza, vengono chiamate a illuminare, in reciproca armonia, la Fede e la ragione, Beatrice e Virgilio, la Croce e l’Aquila, la Chiesa e l’Impero. […]
«Certamente la Divina Commedia è poema di pace: lugubre canto della pace per sempre perduta nell’Inferno; dolce canto della pace verso cui sospira la speranza è il Purgatorio; e il Paradiso è un magnifico canto di esultanza della pace posseduta nella pienezza e per sempre» (8).
Papa Francesco, dopo aver segnalato i rimandi a Dante nei discorsi e nei documenti di san Giovanni Paolo II (1978-2005) e di Benedetto XVI (2005-2013), ricorda di aver fatto riferimento a Dante nella Lumen fidei (9), di aver scritto un messaggio in occasione dei 750 annidalla nascita del Poeta (10) e di aver dato l’annuncio della futura lettera apostolica a una delegazione dell’arcidiocesi di Ravenna-Cervia il 10 ottobre 2020.
2. La vita di Dante Alighieri, paradigma della condizione umana
A causa dei conflitti politici interni al Comune di Firenze, Dante, che ne era divenuto priore (11), fu accusato dai suoi nemici Guelfi Neri di «baratteria», cioè di corruzione nell’esercizio di funzioni pubbliche, e inizialmente esiliato per due anni, interdetto dai pubblici uffici e condannato al pagamento di una multa. Avendo rifiutato il verdetto, viziato da false testimonianze, e ritenendosi Dante assolutamente incolpevole (12), la condanna divenne ancor più severa: esilio perpetuo e poi confisca dei beni e condanna a morte in caso di ritorno in patria. Cercò quindi rifugio e protezione presso alcune signorie italiche, i Malaspina in Lunigiana, gli Scaligeri a Verona e i Da Polenta a Ravenna, dove morì ed è sepolto. L’amarezza e lo sconforto di Dante per l’esilio ingiustamente subìto sono ben descritti nella profezia del trisavolo Cacciaguida: «Tu lascerai ogni cosa diletta/ più caramente; e questo è quello strale/ che l’arco de lo essilio pria saetta./ Tu proverai sì come sa di sale/ lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e ’l salir per l’altrui scale» (Par. XVII, 55-60).
Papa Francesco ricorda che l’amore per la sua città si trasforma spesso in triste nostalgia. E Dante — che di norma poco indulge a sentimentalismi «romantici» — quando parla del proprio esilio diventa struggente, come nei versi del canto VIII del Purgatorio: «Era già l’ora che volge il disio/ ai naviganti e intenerisce il core/ lo dì ch’han detto ai dolci amici addio» (Purg. VIII, 1-3). Forse proprio pensando alla propria situazione personale, Dante la trasforma in un paradigma della condizione umana, presentata come un cammino, interiore prima che esteriore, che mai si arresta finché non giunge alla meta.
3. La missione del Poeta, profeta di speranza
Dante, scrive il Pontefice, rileggendo la propria vita di uomo fallito e deluso, si trasforma, alla luce della fede, in poeta di speranza. Nell’Epistola a Cangrande della Scala, signore di Verona, egli dichiara lo scopo dell’opera, cioè «rimuovere i viventi in questa vita da uno stato di miseria e condurli ad uno stato di felicità» (13). E viene investito di tale missione con chiare parole da Beatrice che nel Paradiso terrestre, alla sommità della montagna del Purgatorio, gli dice: «Però in pro del mondo che mal vive/ al carro [della Chiesa] tieni or li occhi, e quel che vedi,/ ritornato di là, fa che tu scrive» (Purg. XXXII, 103-105). La stessa missione gli sarà confermata nel Paradiso celeste dal trisavolo Cacciaguida (14) e addirittura da san Pietro (15). Nella missione di Dante si inseriscono la denuncia nei confronti di credenti, di alti prelati e persino di pontefici che hanno tradito l’adesione a Cristo idolatrando potere e ricchezze. Tuttavia, nonostante la corruzione imperante, si fa portavoce di un rinnovamento profondo e invoca la Provvidenza perché lo favorisca e lo renda possibile.
4. Dante, cantore del desiderio umano
Nel Convivio Dante analizza il dinamismo del desiderio: «Lo sommo desiderio di ciascuna cosa e primo dalla natura dato, è lo ritornare al suo principio. E però che Dio è principio delle nostre anime […] essa anima massimamente desidera tornare a quello» (Conv. IV, XII, 14-15). L’itinerario di Dante, particolarmente nella Divina Commedia, è davvero il cammino del desiderio, quello proprio di ogni essere umano: proseguire il percorso finché non sia raggiunto l’approdo finale, finché non si sia trovata la verità, la risposta ai perché dell’esistenza fino a quando, come già affermava sant’Agostino (354-430) il cuore non trovi riposo e pace in Dio (16).
5. Poeta della misericordia di Dio e della libertà umana
Il cammino poco sopra indicato, scrive Papa Francesco, non è né illusorio né utopico, ma realistico e possibile, e in esso tutti possono inserirsi, perché la misericordia di Dio offre sempre la possibilità di convertirsi, di ritrovarsi e di scoprire la via verso la felicità. Sono così ricordati gli esempi dell’imperatore Marco Ulpio Nerva Traiano (53-117) che rende giustizia a una «vedovella» (Par.XX, 45) a cui era stato ucciso il figlio, interrompendo la marcia della sua spedizione militare (17), e di Buonconte da Montefeltro (1250 ca.-1289) che si salva per una «lagrimetta» (Purg. V, 107) di pentimento versata in punto di morte (18). Infine, vi è re Manfredi di Svevia (1232-1266) (19), che dopo aver riconosciuto come orribili i suoi peccati, dice: «[…] ma la bontà infinita ha sì gran braccia/ che prende ciò che si rivolge a lei» (Purg. III, 122-123).E sembra quasi di scorgere la figura del padre della parabola evangelica, con le braccia aperte pronto ad accogliere il figliol prodigo che a lui ritorna. Tali esempi non solo mostrano l’infinita misericordia di Dio, ma confermano che l’essere umano può sempre scegliere, con la sua libertà, quale via seguire e quale sorte meritare.
6. L’immagine dell’uomo nella visione di Dio
Ora il cammino della libertà e del desiderio non porta con sé una riduzione dell’umano, non aliena la persona da sé stessa, non annulla ciò che ne ha costituito l’esistenza storica. Dante ci mostra l’umanità nella sua compiuta perfezione di anima e di corpo, prefigurando la resurrezione della carne. Il Papa ricorda che il mistero dell’Incarnazione è il vero centro ispiratore e il nucleo essenziale di tutto il poema. «In esso si realizza quello che i Padri della Chiesa chiamavano “divinizzazione”, l’admirabile commercium, il prodigioso scambio per cui, mentre Dio entra nella nostra storia facendosi carne, l’essere umano, con la sua carne, può entrare nella realtà divina, simboleggiata dalla rosa dei beati» (20). Al centro dell’ultima visione, nell’incontro con la Santissima Trinità, che Dante scorge proprio un volto umano, quello di Cristo, della Parola eterna fattasi carne nel seno di Maria. È solo nella visio Dei che si placa il desiderio dell’uomo e termina il suo faticoso cammino.
7. Le tre donne della Commedia: Maria, Beatrice e Lucia
Cantando il mistero dell’Incarnazione, Dante non può esimersi dal cantare le lodi di Maria, la Vergine Madre che con il suo «sì» ha reso possibile che il Verbo si facesse carne. Nella Candor lucis aeternae il Papa afferma che nella Commedia troviamo un bel trattato di mariologia. Particolarmente nella preghiera pronunciata da san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) (21), Dante sintetizza tutta la riflessione teologica su Maria e sulla sua partecipazione al mistero di Dio: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio,/ umile e alta più che creatura,/ termine fisso d’etterno consiglio,/ tu se’ colei che l’umana natura/ nobilitasti sì, che ’l suo fattore/ non disdegnò di farsi sua fattura./ Nel ventre tuo si raccese l’amore,/ per lo cui caldo ne l’etterna pace/ così è germinato questo fiore./ Qui se’a noi meridiana face/ di caritate, e giuso, intra ’mortali,/ se’ di speranza fontana vivace./ Donna, se’ tanto grande e tanto vali,/ che qual vuol grazia e a te non ricorre,/ sua disianza vuol volar senz’ali./ La tua benignità non pur soccorre/ a chi domanda, ma molte fiate/ liberamente al dimandar precorre./ In te misericordia, in te pietate,/ in te magnificenza, in te s’aduna/ quantunque in creatura è di bontate» (Par. XXXIII, 1-21).
Maria è tuttavia presente nella Divina Commedia già dall’inizio. È lei che tramite santa Lucia, che rappresenta la Fede, e Beatrice, che è simbolo di Speranza, fa incontrare Dante con la sua prima guida, il poeta latino Publio Virgilio Marone. Ma è pure presente nel Purgatorio come modello delle virtù che si oppongono ai vizi, è la stella del mattino che aiuta a uscire dalla selva del peccato, è la presenza costante, «il nome del bel fior ch’io sempre invoco/ e mane e sera» (Par. XXIII, 88-89), che prepara all’incontro con Cristo e con il mistero di Dio. È quasi superfluo notare l’importanza della presenza femminile per il cammino salvifico di Dante.
8. Francesco, sposo di Madonna Povertà
Non poteva mancare, prima delle esortazioni finali, un richiamo a san Francesco d’Assisi (1181/1182-1226), visto che il Papa ha scelto per sé, primo nella storia della Chiesa, proprio il nome del grande santo. Infatti, fra i tanti santi del Paradiso il poverello di Assisi è quello su cui si appunta maggiormente l’attenzione nell’enciclica. San Francesco andò a predicare fra la gente, per le vie di borghi e città, e Dante per il suo poema sull’aldilà utilizzò la lingua di tutti, quella volgare, invece della lingua dei dotti, cioè il latino. Un altro tratto, poi, accomuna i due personaggi: l’apertura alla bellezza e al mondo creaturale, specchio e «vestigio» del suo Creatore.
Ma la mirabile vita del santo, scrive il Pontefice, è imperniata sul suo rapporto privilegiato con Madonna Povertà, la dama amata dal cavaliere Francesco. Di contro, si potrebbero portare moltissimi esempi e citare passi in cui Dante condanna l’avidità e la cupidigia, causa di tutti i mali per i singoli credenti e anche, soprattutto, per chi riveste importanti cariche ecclesiali e politiche. Basti ricordare che all’inizio della Commedia è proprio la lupa, simbolo di avidità, che risospinge Dante nella selva oscura, mentre il Veltro che la ricaccerà nell’Inferno avrà caratteristiche virtuose del tutto opposte.
9. Accogliere la testimonianza di Dante Alighieri
Il Papa, infine, prova a farsi interprete della voce del Poeta e scrive che Dante non chiede oggi di essere semplicemente letto, commentato, studiato, analizzato. Chiede piuttosto di essere ascoltato, di farci suoi compagni di viaggio, perché anche oggi vuole mostrarci qual è l’itinerario verso la felicità, la via retta per vivere pienamente la nostra umanità, superando la selva oscura in cui perdiamo l’orientamento e la dignità. Il patrimonio culturale lasciatoci da Dante «[…] chiede di essere reso accessibile al di là delle aule scolastiche e universitarie» (22), scrive il Pontefice,che esorta le comunità cristiane, soprattutto quelle presenti nelle città che conservano le memorie dantesche, a diffondere il messaggio della Commedia nella sua pienezza. E conclude: «In questo particolare momento storico, segnato da molte ombre, da situazioni che degradano l’umanità, da una mancanza di fiducia e di prospettive per il futuro, la figura di Dante, profeta di speranza e testimone del desiderio umano di felicità, può ancora donarci parole ed esempi che danno slancio al nostro cammino. Può aiutarci ad avanzare con serenità e coraggio nel pellegrinaggio della vita e della fede che tutti siamo chiamati a compiere, finché il nostro cuore non avrà trovato la vera pace e la vera gioia, finché non arriveremo alla méta ultima di tutta l’umanità: l’amor che move il sole e l’altre stelle (Par. XXXIII, 145)» (23).
Note:
1) Cfr. Francesco, Lettera apostolica «Candor lucis aeternae» nel VII centenario della morte di Dante Alighieri, del 25-3-2021.
2) Cfr. Benedetto XV, Lettera enciclica «In praeclara summorum» in occasione del VI centenario della morte di Dante Alighieri, del 30-4-1921.
3) Idem, Lettera «Nobis, ad Catholicam», del28-10-1914.
4) Idem, Lettera enciclica «In praeclara summorum» in occasione del VI centenario della morte di Dante Alighieri, cit.
5) Cfr. Paolo VI, Lettera apostolica motu proprio «Altissimi cantus», in occasione del settecentesimo anno dalla nascita di Dante Alighieri, del 7-12-1965; con il titolo «Il signore dell’altissimo canto»: Dante Alighieri, in Cristianità, anno XXVII, n. 294, ottobre 1999, pp. 23-29 e p. 32, alla cui traduzione redazionale ci atteniamo.
6) Cfr. il mio Per Dante, signore dell’altissimo canto, ibid.,anno XLIX, n. 407, gennaio-febbraio 2021, pp. 43-50 (p. 45).
7) Paolo VI, «Il signore dell’altissimo canto»: Dante Alighieri, cit., p. 25.
8) Ibid., p. 26.
9) Cfr. Francesco, Lettera enciclica «Lumen fidei» sulla fede, del 29-6-2013, n. 4.
10) Cfr. Idem, Messaggio al Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura in occasione della celebrazione del 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri, del 4-5-2015.
11) Nel 1297 Dante risultava iscritto all’Arte dei Medici e degli Speziali (i farmacisti), la corporazione a cui aderivano gli intellettuali, e tale iscrizione era condizione necessaria per poter partecipare alla vita politica comunale. Membro del Consiglio dei Trentasei del Capitano del Popolo e poi del Consiglio dei Cento, fece carriera fino all’ottenimento, nel 1300, della carica pubblica più prestigiosa, il priorato. La politica fiorentina era caratterizzata dallo scontro tra i Bianchi e i Neri, due diversi schieramenti del partito guelfo. I Bianchi si appoggiavano alla famiglia dei Cerchi ed esprimevano gli interessi di banchieri e mercanti, mentre i Neri erano guidati dalla famiglia dei Donati, sostenitori della restaurazione del potere nobiliare e disposti ad appoggiarsi al Papa per raggiungere questo scopo. Dante, difensore dell’autonomia del Comune, sostenne il primo schieramento e si trovò in conflitto con Papa Bonifacio VIII (1294-1303), che cercava di favorire i Neri per affermare la propria egemonia in Toscana. Lo scontro raggiunse l’acme proprio durante il priorato di Dante, che prese la decisione di esiliare i capi più violenti delle due fazioni, fra cui anche l’amico Guido Cavalcanti (1258-1300). L’anno successivo, il 1° novembre del 1301, mentre Dante era di ritorno da un’ambasceria a Roma, dove si era recato per sondare le intenzioni del Pontefice, l’angioino Carlo di Valois (1270-1325), alleato del Papa, entrò in Firenze con la forza, deponendo il governo in carica, con la conseguente e ovvia sanguinosa repressione dei Bianchi da parte dei Neri. Da ciò la prima condanna di Dante, seguita dalla seconda ancora più grave per avere egli partecipato a tentativi di rientro, anche con la forza delle armi, in Firenze.
12) In alcune Epistole (cfr. le n. III, V, VI, VII) Dante si definisce «exul immeritus» e nella XIII, indirizzata a Cangrande della Scala (1291-1329), «florentinus natione, non moribus», cioè «fiorentino di nascita, non di costumi».
13) Dante Alighieri, Epistola XIII, n. 39.
14) Cacciaguida è scelto fra i propri avi perché è quello di più alti meriti cavallereschi e quindi il più degno, dal Cielo di Marte in cui si trovano i combattenti per la fede, a investire Dante della sua missione. Cacciaguida fu seguace dell’imperatore Corrado III di Svevia (1093-1152) che, apprezzando il suo valore militare, lo fece cavaliere. Seguì l’imperatore nella seconda crociata in Terrasanta contro gli infedeli da cui, in battaglia, ebbe la morte (cfr. Par. XV, 130-148). A Dante, che ricorda brevemente il suo cammino nell’aldilà e gli fa presente la difficoltà di comunicare quelle verità che fanno male, il trisavolo ribatte: «Coscienza fusca/ o de la propria o de l’altrui vergogna,/ pur sentirà la tua parola brusca./ Ma nondimen, rimossa ogni menzogna/ tutta tua vision fa manifesta» (Par. XVII, 124-128). E ancora: «Questo tuo grido farà come vento,/ che le più alte cime più percuote;/ e ciò non fa d’onor poco argomento» (vv. 133-135). Insomma, Dante poeta, tramite Cacciaguida, è investito cavaliere per una profetica missione voluta dal Cielo.
15) Identico incitamento Dante riceve da san Pietro, là dove l’Apostolo, dopo una tremenda invettiva contro Bonifacio VIII, così gli si rivolge: «E tu figliuol, che per lo mortal pondo/ ancor giù tornerai, apri la bocca,/e non asconder quel ch’io non ascondo» (Par. XXVII, 64-66).
16) Cfr. Sant’Agostino d’Ippona, Confessioni, libro I, 1,1.
17) L’episodio è narrato nella cornice dei superbi in Purgatorio come esempio di umiltà esaltata. Dante pone Traiano nel sesto Cielo, quello di Giove, ove si trovano i principi giusti, dando credito a una leggenda assai diffusa nel Medioevo secondo la quale Papa san Gregorio Magno (590-604), venuto a conoscenza dell’atto di umiltà e giustizia compiuto dall’imperatore pagano, pregò intensamente per lui fino ad ottenergli la salvezza eterna.
18) Siamo nel secondo balzo dell’Antipurgatorio, dove si trovano i morti di morte violenta pentitisi in fin di vita. Fra gli altri Dante incontra Buonconte, di nobile famiglia e capo ghibellino, morto nella battaglia di Campaldino, nei pressi di Poppi (Arezzo), nel 1289. Tra le file dell’esercito guelfo vincitore vi era anche Dante. Ferito alla gola, Buonconte fuggì a piedi fino alla foce del torrente Archiano, dove perse la vista e la parola, poi chiuse la sua vita nel nome di Maria. E proprio di questo, di una «lagrimetta» di pentimento, si lamentava l’angelo infernale, il diavolo, che vedeva sfuggirgli l’anima di Buonconte e che non fece più ritrovare il suo corpo.
19) Proprio all’inizio dell’Antipurgatorio si trovano le anime degli scomunicati pentiti. Una di queste chiede di essere riconosciuta. Si tratta di Manfredi, capo dei ghibellini, avversario del Papa Clemente IV (1265-1268) che gli oppose Carlo d’Angiò (1226-1285). Nella battaglia di Benevento, del 1266, il re svevo fu vinto e ucciso. Ed è lì nell’Antipurgatorioa scontare l’indugio a pentirsi. Anche se i suoi peccati furono assai gravi, Dio, che è soprattutto misericordia, pietosamente accolse il suo pentimento in punto di morte; e tuttavia egli dice a Dante che è grave pure la colpa di quegli ecclesiastici che si accaniscono sui peccatori anche quando son morti. Il riferimento di Manfredi è al vescovo di Cosenza, Bartolomeo Pignatelli (1200 ca.-1272 ca.), che disseppellì il suo cadavere e lo fece trasportare in terreno sconsacrato decretando, per così dire, anche la scomunica del suo corpo.
20) Francesco, Lettera apostolica «Candor lucis aeternae» nel VII centenario della morte di Dante Alighieri, cit., n. 6.
21) Nel XXXI canto del Paradiso Beatrice scompare per riprendere il suo posto nella rosa dei beati e le subentra un personaggio che guiderà il poeta nell’ultima parte del viaggio. Dopo Virgilio (70-19 a.C.), simbolo della razionalità, dopo Beatrice simbolo della teologia, ecco Bernardo di Chiaravalle che rappresenta il momento mistico. Perché proprio lui? Perché san Bernardo è un santo mariano quant’altri mai. Dice ai vv. 100-102: «E la regina del cielo, ond’io ardo/ tutto d’amor, ne farà ogne grazia,/ perch’i’ sono il suo fedel Bernardo», e il canto XXXI è proprio il canto del trionfo di Maria. A Maria è rivolta la preghiera in versi forse più bella di tutti i tempi. Però Bernardo non era solo un mistico, ma anche un combattente, visto che scrisse il trattato De laude novae militiae per i cavalieri templari. E Dante sentiva in sé quello spirito cavalleresco che era stato del trisavolo Cacciaguida e che gli aveva dato il coraggio di proseguire dalla selva oscura fino alla rosa dei beati.
22) Francesco, Lettera apostolica «Candor lucis aeternae» nel VII centenario della morte di Dante Alighieri, cit., n. 9.
23) Ibidem.