Oscar Sanguinetti, Cristianità n. 408 (2021)
Pio XII (1939-1958) è stato un Papa decisamente anti-comunista. A lui si deve la scomunica contro i comunisti italiani iscritti a un partito «ancora» ateo nel suo statuto, come pure, nel secondo dopoguerra, lo strenuo sforzo di sostegno materiale e diplomatico della «Chiesa del Silenzio», perseguitata nei Paesi caduti nell’orbita del regime sovietico. Allo scoppio della Guerra Fredda, nel 1947, Papa Pacelli si schiera senza esitazione a favore del blocco atlantico animato dagli Stati Uniti d’America contro quello che Ronald Wilson Reagan (1911-2004) chiamerà negli anni 1980 «l’impero del male».
Dunque, un Pontefice fortemente inviso alle centrali del comunismo internazionale e a tutte le loro innervature del mondo liberal, non esclusi — anzi talora fra i primi, in nome di una pace fraintesa e largamente ingiusta — gli ambienti «pensanti» e «impegnati» del mondo cattolico, laico e clericale.
Pio XII aveva avuto il merito inestimabile di guidare la Barca di Pietro e la cristianità mondiale attraverso le tempeste dei sei anni del terrificante secondo conflitto mondiale (1939-1945), cui si era trovato a dover far fronte non appena asceso al pontificato. E lo aveva fatto con sagacia e con acuta sofferenza interiore: tanto gli era infatti costato sia constatare la potenza degli odi scatenatisi — i cui effetti omicidi la modernità tecnologica moltiplicava esponenzialmente —, sia mantenere la linea di equidistanza fra i popoli in lotta e di costante e concreto soccorso a tutti coloro che di questi odi e di questa lotta mondiale erano vittime innocenti, indipendentemente dalla nazionalità, dalla religione, dal comportamento. Fra le rovine in cui l’Europa e il mondo si trovavano al termine dello scontro bellico la sua prestigiosa figura svettava eretta e i popoli facevano a gara per ringraziarlo della fermezza e della generosità da lui mostrate nel governare e nel dispensare le risorse spirituali e — le poche — materiali che, pur fra mille difficoltà, era riuscito a elargire.
Fra i primi a rendere testimonianza e omaggio al suo concreto interessamento erano state le organizzazioni ebraiche internazionali e singoli israeliti europei, che più volte, passata la sanguinosa prova dell’Olocausto, avevano in più forme espresso la loro gratitudine al Pontefice (1).
Alla sua morte, nel 1958, il clima nella Chiesa cambia e le timide «aperture» di san Giovanni XXIII (1958-1963) sono lette da ambienti ostili al cristianesimo, specialmente dai comunisti, come un’occasione per dialettizzare e dividere il popolo cattolico, contrapponendo i cosiddetti «tradizionalisti» ai progressisti che allora, dopo un lungo periodo di oscuramento, trovavano nuovo spazio e nuovo alimento. Era così necessario per tali ambienti contrapporre la figura del «Papa buono» Giovanni XXIII — il Papa «del dialogo», che distingueva fra l’errore e l’errante —, all’austero e ieratico Pio XII, nemico della «nuova teologia» e radicalmente anti-comunista, raffigurando quest’ultimo come un simpatizzante del nazionalsocialismo hitleriano — il Pontefice era stato nunzio in Germania, apprezzava la grande cultura tedesca e, «addirittura», amava la musica di Richard Wagner (1813-1883) — e la negazione assoluta tanto come maestro quanto come pastore.
Screditare l’autorità morale del loro promotore serviva altresì a neutralizzare o a indebolire le operazioni, palesi e clandestine, di sostegno alle Chiese e ai popoli dominati dal comunismo avviate dal defunto Pontefice, nonché rafforzare la strategia del dialogo, dal quale, non essendo condotto ad armi pari (2), il comunismo si attendeva profitti fino a poco prima insperati.
Non vi è pertanto da stupirsi se le centrali del progressismo, «laiche» e cattoliche, a partire dai primi anni 1960, abbiano scatenato contro la sua memoria una forsennata campagna denigratoria, assumendo come arma privilegiata — un’arma dal terribile potenziale — l’accusa di un suo presunto silenzio e di una sua presunta colpevole inerzia riguardo al consumarsi dell’Olocausto ebraico negli anni del conflitto mondiale.
Com’è noto, l’innesco della campagna non fu un saggio di uno storico o un altro contributo di tipo scientifico, bensì una farraginosa piéce teatrale, Der Stellvertreter, «Il vicario», del drammaturgo tedesco occidentale Rolf Hochhuth (1931-2020) (3), uscita a Berlino Ovest nel 1963 per la regia dell’intellettuale filo-comunista Erwin Piscator (1893-1966), amico del drammaturgo comunista Bertolt Brecht (1898-1956), e poi replicata sui palcoscenici dei maggiori teatri dell’Occidente, in cui l’«accusa del silenzio» contro Pio XII trovò la prima formulazione compiuta. Gli ambienti artistici e teatrali berlinesi — come raccontato nel film Le vite degli altri (4) — erano allora abbondantemente infiltrati da agenti tedesco-comunisti: oggi è praticamente assodato che all’origine dell’operazione vi fossero i servizi segreti della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) (5).
La campagna di «disinformazione» — non è un termine generico ma una ben precisa dottrina della «scienza dello spionaggio» (6) — contro Papa Pacelli, accusato di complicità indiretta nello sterminio ebraico, dilagò negli anni seguenti, sostenuta e amplificata dallo sforzo di ambienti intellettuali liberal, ebraici e cattolici, di corroborarla scientificamente.
Solo a gran fatica studiosi seri e documentati, sgomenti dalla veemenza, proporzionale alla superficialità, del «montaggio» che allora dispiegava il massimo della sua potenza disinformativa, cominciarono a poco a poco a ristabilire la verità «vera». Dopo alcune reazioni «a caldo» (7), negli anni più recenti molteplici opere (8) sono apparse a smentire la «macchina del fango» attivata contro colui che è stato forse il più sincero ed efficace protettore dell’ebraismo italiano ed europeo. Tuttavia, l’inaccessibilità degli archivi vaticani sul periodo della guerra — ne esistevano solo sillogi parziali — rendeva arduo documentare tutti gli sforzi compiuti dal Papa a favore di coloro che san Giovanni Paolo II (1978-2005) chiamerà i «fratelli maggiori» (9).
Come noto, il 20 marzo dello scorso anno l’embargo — dovuto soprattutto all’esigenza di catalogare i cospicui fondi archivistici — per volontà di Papa Francesco è stato rimosso e gli studiosi accreditati hanno potuto finalmente prendere visione delle carte vaticane. Vi è chi dopo un giorno solo di apertura dei fondi ha tentato di lanciare scoop a effetto su una presunta conferma delle decennali accuse: altri studiosi invece, con maggior calma, hanno compulsato le carte e ne hanno fornito una lettura che scagiona in toto Pio XII da ogni addebito.
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Un esempio preclaro di queste ultime letture critiche più ponderate è l’opera recente di Johan Ickx, Pio XII e gli ebrei (trad. it., Rizzoli, Milano 2020, 416 pp.).
Lo ha scritto un bibliotecario di professione, responsabile della sezione Rapporti con gli Stati dell’Archivio della Segreteria di Stato vaticana (10) e gran conoscitore di archivi ecclesiastici. Belga di Anversa, cattolico (11), Ickx, avvalendosi di migliaia e migliaia di documenti prodotti e ricevuti dal cosiddetto «Bureau» — ossia il ristretto cerchio di prelati vaticani operanti all’interno della Segreteria di Stato, cui Pio XII si riferiva prioritariamente, e l’unico organo, ancorché informale pur essendo composto dai vertici dei dicasteri e degli uffici vaticani, autorizzato a parlare a suo nome —, ricostruisce la miriade di relazioni intrattenute dal Pontefice con soggetti di tutto il mondo: nunzi, diplomazie, organizzazioni di soccorso, singoli personaggi di rilievo, povera gente sottoposta ovunque — ma con maggior frequenza e gravità nei Paesi dell’Europa Orientale, dove infierì per anni lo scontro fra i due colossi totalitari, germanico e russo — a tremende discriminazioni e sanguinose persecuzioni da parte del regime nazionalsocialista, dei governi satellizzati via via da Adolf Hitler (1887-1945) come pure di quello bolscevico.
Le angustie e i drammi degli anni del devastante secondo conflitto mondiale propiziavano, infatti, un flusso enorme di ricorsi alla Santa Sede per i bisogni più svariati da parte di centinaia di persone, gruppi sociali, enti, Stati, chiese, soggetti religiosi e ogni documento relativo a tali ricorsi, che finivano poi negli archivi. Ickx, grazie alla sua pluriennale esperienza delle carte ecclesiastiche, ricostruisce con minuzia e sagacia decine e decine di liaison, di scambi di informazioni, di vicende umane a essi sottostanti: da tutto ciò insieme emerge l’entità incommensurabile dello sforzo compiuto dal Vicario di Cristo e dai suoi collaboratori per sovvenire alle esigenze di ognuno di tali multiformi soggetti. Egli attinge in particolare a due fondi: i fascicoli dell’archivio diplomatico vero e proprio, divisi per Paese, e una serie di faldoni a sé stanti, intitolati «Ebrei», di compilazione sconosciuta, contenenti i dossier personali di circa quattromila persone di origine — non necessariamente di religione — ebraica da lui reperiti nell’archivio.
Di questo vasto materiale — ma «il grosso» è ancora da elaborare e da portare al pubblico — Ickx fa una elaborazione forzatamente selettiva ma del tutto sufficiente per illuminare come veramente siano andate le cose nel rapporto fra la Santa Sede di Pio XII e l’ebraismo perseguitato.
Ed espone i fatti con una prosa semplice, in una forma narrativa — ognuno dei diciotto capitoli in cui il libro è diviso è il racconto di una vicenda particolare — agile e comprensibile, senza i formalismi tipici di un saggio scientifico, senza eccedere nel numero e nel volume delle note a piè di pagina, pur conservandone a pieno titolo il plafond. Con i dati dell’archivio diplomatico ristabilisce la realtà dei «punti caldi» sotto discussione — nei dodici capitoli relativi intitolati ognuno «Racconto su…» —, mentre con i profili dei quattromila ebrei svolge delle brevi narrazioni biografiche, nei sei capitoli intitolati «Breve storia di…».
Sarebbe davvero arduo, e forse non del tutto gradevole per chi legge, descrivere, anche solo in sede recensoria, la fittissima trama di relazioni, udienze, domande, provvedimenti, scambi di dispacci, biglietti, lettere, petizioni — moltissime quelle di autorità ebraiche internazionali che, quasi ad attribuirgli un’autorità, in realtà insussistente, chiedono a Papa Pio XII di rompere l’equidistanza fra i belligeranti —, opinioni manoscritte, intessuta nell’arco degli anni della persecuzione — grosso modo dagli 1930 al 1945 — e del genocidio degli ebrei europei. Di essa lo storico belga dà un accurato resoconto, riportando brani — anche quelli più raccapriccianti — dei documenti più significativi, senza limitarsi a proporre i documenti a più forte effetto emotivo, come altri hanno fatto, ma controllando accuratamente, attraverso confronti incrociati, l’attendibilità delle testimonianze che propone.
Fra le tante cose, quella che emerge è che dell’Olocausto — imminente e poi in atto — sapevano tutti, quanto meno a partire dall’approvazione delle leggi razziali in Germania, in Italia e via via in tutti i Paesi alleati o esposti all’influenza del Terzo Reich. Ed emerge altresì che la Santa Sede, nei suoi organi centrali e territoriali di ogni genere — nunzi, delegati apostolici, vescovi e superiori religiosi —, si mobilita fin da subito in maniera straordinariamente decisa per risolvere con i mezzi di cui dispone — un apparato diplomatico capillare e rapporti talora buoni con le autorità civili e amministrative all’estero — i problemi, talora esiziali, che affliggono quanti si rivolgono a lei, sia i cittadini europei di fede ebraica sia ogni altra persona vessata, fra cui migliaia di membri del clero cattolico e religiosi, specialmente appartenenti alla Chiesa di Polonia, fatti oggetto di persecuzione cruenta.
Il progetto di annientamento delle comunità ebraiche europee, la «soluzione finale» (12) deliberata nella conferenza del Wannsee a Berlino nel gennaio del 1942, e la notizia che nella Polonia orientale erano entrati in funzione i campi di sterminio veri e propri, mentre alle spalle del fronte tedesco-russo operavano i terribili Einsatzgruppe — Gruppi speciali misti, composti di polizia, di SS e di reparti di riserva, non solo composti da tedeschi, della Wehrmacht —, furono subito noti al mondo diplomatico grazie anche alla Santa Sede. Tuttavia, se quest’ultima, come detto, si attivò a oltranza, non fecero lo stesso le altre potenze. Quelle in pace con il Reich prima del 1941-1942 si limitarono a concedere, anche su pressione dalla Santa Sede, qualche centinaio di visti per favorire l’espatrio, ma quando gli ebrei rimasero intrappolati dalla guerra nel Reich e nei Paesi a legislazione anti-semita — anche se questa non fu univoca né nel dettato, né nei tempi di applicazione — e ciò non bastò più, gli sforzi per venire in aiuto agli ebrei fecero perno sull’unica entità sovranazionale e davvero neutrale in grado di fare qualcosa: la Santa Sede.
Per inciso, resta tuttora enigmatico l’atteggiamento manifestato in blocco dagli Alleati, specialmente dopo la svolta della guerra a sfavore dell’Asse, alla fine del 1942. Dal 1943 al 1945 l’aviazione alleata bombarda infatti ogni notte in maniera sempre più martellante e devastante le città e le linee del fronte nemiche, ma evita — o non riesce — fino all’ultimo istante della guerra di colpire le linee ferroviarie lungo le quali migliaia di ebrei di ogni parte d’Europa continuavano a essere concentrati in Polonia per esservi con crescente certezza sterminati. Lo stesso sconcerto rimane riguardo al reiterato rifiuto della via — ripugnante in sé ma talora rivelatasi efficace — di aprire trattative con l’avversario, soprattutto quando il regime genocida cominciava a vacillare, cosa che ai suoi massimi esponenti diventava ogni giorno più chiaro: trattative su base monetaria — se si pensa alle immense risorse che potevano mettere sul tavolo le decine di miliardari di origine ebraica statunitensi e britannici… — o sulla base della fornitura di salvacondotti da usare prima del tracollo o della promessa di attenuanti nel giudizio che vi sarebbe stato nel dopoguerra (13).
Lo sforzo dello storico cattolico belga, di cui in filigrana traspare l’intenso amore per la verità e per la Chiesa, nonché la devozione alla figura del venerabile Pontefice, fornisce un contributo di grande valore per dissipare le ultime nebbie che ancora gravano intorno all’opera della Chiesa di Pio XII verso gli ebrei, un’opera dalla ininterrotta e inesauribile vena e segnata da un indefesso zelo per chiunque dovesse subire sofferenze per la sua fede, la sua nazionalità, la sua «stirpe», la sua classe sociale.
Vorrei altresì, concludendo, segnalare quanto sottolinea nelle ultimissime pagine del suo saggio Johann Ickx e cioè che la dichiarazione sulle religioni non cristiane Nostra aetate proclamata dal Concilio Ecumenico Vaticano II nel 1965 è stata forgiata, nei rispettivi ruoli, da uomini — Giovanni Battista Montini (1897-1978), Domenico Tardini (1888-1961), Luigi Maglione (1877-1944), Angelo Dell’Acqua (1903-1972) e lo stesso Angelo Giuseppe Roncalli (1881-1963) — formatisi sotto Pio XII, di cui avevano assimilato la innovativa teologia dei rapporti con il popolo eletto — tutte le teologie per affermarsi richiedono tempi lunghi e quella sbocciata nel Concilio veniva addirittura dai tempi di Benedetto XV (1914-1922) — e non solo condiviso ma vissuto quotidianamente per lunghi anni l’opera instancabile per rendere tali rapporti vivi e fecondi.
Note:
1) Cfr. una rassegna ordinata, fra l’altro, in Rosario Francesco Esposito S.S.P. (1921-20079, Processo al Vicario. Pio XII e gli ebrei secondo la testimonianza della storia, Editrice SAIE, Torino 1964.
2) Sulla «manipolazione» — imputabile ai comunisti e subìta ingenuamente dai cattolici — del dialogo fra cattolici e comunisti, cfr. il saggio di Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo, 1965, trad. it., a cura di Giovanni Cantoni (1938-2020) e Silvio Vitale (1928-2005), L’Alfiere, Napoli 1970 (n. ed., Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo. Note sulla guerra psicologica contro i cattolici. Il mito del dialogo relativista. Una strategia di conquista che continua, Editoriale Il Giglio, Napoli 2012).
3) L’edizione italiana apparve — guarda caso — presso l’editrice comunista Feltrinelli di Milano; cfr. Rolf Hochhuth, Il Vicario. Dramma in 5 atti, 1963, con una prefazione Un dramma cristiano (p. 7-15) di Carlo Bo (1911-2001), una nota di Erwin Piscator (1893-1966) e delucidazioni storiche dell’autore, trad. it., Feltrinelli, Milano 1964.
4) Cfr. Le vite degli altri (Das Leben der Anderen), film del 2006, per la regìa di Florian Henckel von Donnersmarck, vincitore del Premio Oscar 2007 per il miglior film straniero: il film racconta la vita e la crisi finale di un funzionario dei più accanitamente fedeli al regime comunista, della StaSi, la Staatssicherheit, la polizia politica tedesco-orientale.
5) Cfr., per esempio, le memorie del generale e dirigente della Securitate romena, che passò all’Occidente nel 1978, Ion Mihai Pacepa (1928-2021), Moscow’s Assault on the Vatican. The KGB made corrupting the Church a priority, in National Review, 25-1-2007, nel sito web <https://www.nationalreview.com/2007/01/moscows-assault-vatican-ion-mihai-pacepa>, consultato il 30-4-2021.
6) Sulle raffinate operazioni di disinformacija condotte dal V Direttorato del Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti (KGB), il Comitato per la Sicurezza dello Stato, i servizi segreti sovietici, cfr. il romanzo-documento di Vladimir Volkoff (1932-2005), Il montaggio, 1982, trad. it., Rizzoli, Milano 1985.
7) Mi piace citare fra i più precoci e più seri sforzi quello, già citato, del padre paolino Esposito — il futuro pronubo dell’accordo fra cattolici e massoneria —, che nel 1964 ha redatto uno studio ben costruito — per prima cosa espone ampiamente i contenuti della pièce anti-piàna — e documentato — ovviamente sulla base dei documenti disponibili allora, poco dopo l’esplosione della «questione». Fra i commenti «a caldo» quello, anch’esso di qualità, di padre Angelo Martini S.J., La vera storia e il Vicario di Hochhuth, in La Civiltà Cattolica, anno CXV, quad. 2735, n. 11, 6-6-1964, pp. 437-454; nonché, infine, del belga Alexis Curvers (1906-1992), Pio XII, il Papa oltraggiato, 1964, trad. it., Le Edizioni del Borghese, Milano 1965: Curvers scrive alla fine di dicembre del 1963, mentre Il vicario è in scena al Teatro dell’Athénée di Parigi.
8) Per alcune indicazioni, sebbene ormai da integrare — anche se le uscite posteriori non sono state numericamente sterminate —, cfr. il mio La tragedia dell’Olocausto ebraico e le sue responsabilità morali, in Annali Italiani. Rivista di studi storici, anno I, n. 1, Istituto per la Storia delle Insorgenze, Milano 2001, pp. 9-66. L’articolo prende spunto dalla quasi simultanea pubblicazione in Italia di due saggi di studiosi stranieri: l’americano Richard [David] Breitman, Il silenzio degli Alleati. La responsabilità morale di inglesi e americani nell’Olocausto ebraico, 1998, trad. it., Mondadori, Milano 1999; e l’israeliano Yehuda Bauer, Ebrei in vendita? Le trattative segrete fra nazisti ed ebrei. 1933-1945, 1994, trad. it., Mondadori, Milano 1998. Cfr. anche l’articolo del rabbino statunitense David G.[il] Dalin, Pio XII e gli ebrei. Una difesa, in Cristianità, anno XXIX, n. 304, marzo-aprile 2001, pp. 11-20.
9) Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso pronunciato in occasione dell’incontro con la comunità ebraica nella sinagoga della città di Roma, del 13-4-1986, n. 4.
10) In particolare, sono contenuti nel Fondo Sacra Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari. Pio XII, parte I e II.
11) Insegnammo entrambi negli anni 2000 nel corso di laurea in Scienze Storiche dell’Università Europea di Roma dei Legionari di Cristo.
12) La «soluzione finale» pensata nell’anteguerra privilegiava la deportazione degli ebrei dalle terre del Reich verso Paesi lontani — si era pensato al Madagascar — o nel Lebensraum di futura conquista a oriente, ma, scoppiato il conflitto e quando esso assume i caratteri di un colossale massacro incrociato, la penuria di risorse e la prospettiva non remota di una sconfitta suggerì alle autorità genocidarie tedesche di bloccare gli ebrei entro le frontiere controllate dalla Germania, di concentrarli a est e di procedere alla loro liquidazione fisica indiscriminata, anche con mezzi industriali.
13) Per alcune considerazioni su entrambe le strade mai percorse, cfr. il mio il mio La tragedia dell’Olocausto ebraico e le sue responsabilità morali, cit.