Aprire il cuore al Signore, cioè alla Speranza, come sprona san Giovanni Battista
di Michele Brambilla
Il 5 dicembre Papa Francesco celebra la Messa nella Megaron Concert Hall di Atene, nel corso del viaggio apostolico a Cipro e in Grecia. Come evidenzia nell’omelia, «in questa seconda Domenica di Avvento la Parola di Dio ci presenta la figura di San Giovanni Battista. Il Vangelo ne sottolinea due aspetti: il luogo dove si trova, il deserto, e il contenuto del suo messaggio, la conversione». L’insistenza della liturgia su questi due aspetti, osserva il Pontefice, permette di intuirne l’importanza fondamentale.
Il Papa presenta antitutto «il deserto. L’evangelista Luca introduce questo luogo in un modo particolare. Parla infatti di circostanze solenni e di grandi personaggi del tempo», dall’imperatore Tiberio ad Erode Antipa, ma «a questo punto dichiara: “La parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto” (Lc 3,2)». C’è in Luca una sottile vena ironica, che ha come scopo puntualizzare che «il Signore predilige la piccolezza e l’umiltà. La redenzione non inizia a Gerusalemme, ad Atene o a Roma, ma nel deserto. Questa strategia paradossale ci dona un messaggio molto bello: avere autorità, essere colti e famosi non è una garanzia per piacere a Dio; anzi, potrebbe indurre a insuperbirsi e a respingerlo. Serve invece essere poveri dentro, come povero è il deserto».
Il deserto, infatti, è più di un luogo: «proprio lì, nel luogo dell’aridità, in quello spazio vuoto che si stende a perdita d’occhio e dove quasi non c’è vita, lì si rivela la gloria del Signore, che – come profetizzano le Scritture (cfr Is 40,3-4) – cambia il deserto in un lago, la terra arida in sorgenti d’acqua (cfr Is 41,18). Ecco un altro messaggio rincuorante: Dio, adesso come allora, volge lo sguardo dove dominano tristezza e solitudine. Possiamo sperimentarlo nella vita: Egli spesso non riesce a raggiungerci mentre siamo tra gli applausi e pensiamo solo a noi stessi; ci riesce soprattutto nelle ore della prova», i “deserti” della vita. «Cari fratelli e sorelle», sottolinea Francesco, «nella vita di una persona o di un popolo non mancano momenti in cui si ha l’impressione di trovarsi in un deserto. Ed ecco che proprio lì si fa presente il Signore, il quale spesso non viene accolto da chi si sente riuscito, ma da chi sente di non farcela. E viene con parole di vicinanza, compassione e tenerezza: “Non temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio. Ti rendo forte e ti vengo in aiuto” (Is 40,10)».
Allora «passiamo al secondo aspetto, la conversione. Il Battista la predicava senza sosta e con toni veementi (cfr Lc 3,7). Anche questa è una tematica “scomoda”. Come il deserto non è il primo luogo nel quale vorremmo andare, così l’invito alla conversione non è certamente la prima proposta che vorremmo sentire», dato il nostro “attaccamento” ai vizi e ai peccati che più ci contraddistinguono. Forse «parlare di conversione può suscitare tristezza; ci sembra difficile da conciliare con il Vangelo della gioia. Ma questo succede quando la conversione viene ridotta a uno sforzo morale, quasi fosse solo un frutto del nostro impegno. Il problema sta proprio qui, nel basare tutto sulle nostre forze»: un eccesso che ci conduce facilmente alla frustrazione e, quindi, alla tristezza. Meglio riconoscere, come san Paolo, che serve un aiuto dall’Alto. Nel caso del Pontefice e dei fedeli greci radunati nella Megaron Concert Hall, «ci può venire in aiuto la vostra bella lingua, il greco, con l’etimologia del verbo evangelico “convertirsi”, metanoéin. È composto dalla preposizione metá, che qui significa oltre, e dal verbo noéin, che vuol dire pensare. Convertirsi è allora pensare oltre, cioè andare oltre il modo abituale di pensare, al di là dei nostri soliti schemi mentali», per aprirci alla novità del Vangelo, che è l’umanità pienamente realizzata secondo il piano di Dio.
«Convertirsi, allora, significa non dare ascolto a ciò che affossa la speranza», esorta il Santo Padre, «a chi ripete che nella vita non cambierà mai nulla – i pessimisti di sempre. È rifiutare di credere che siamo destinati ad affondare nelle sabbie mobili della mediocrità. È non arrendersi ai fantasmi interiori, che si presentano soprattutto nei momenti di prova per scoraggiarci e dirci che non ce la faremo, che tutto va male e che diventare santi non fa per noi. Non è così, perché c’è Dio. Bisogna fidarsi di Lui, perché è Lui il nostro oltre, la nostra forza. Tutto cambia se si lascia a Lui il primo posto». Pertanto, «chiediamo la grazia di credere che con Dio le cose cambiano, che Lui guarisce le nostre paure, risana le nostre ferite, trasforma i luoghi aridi in sorgenti d’acqua. Chiediamo la grazia della speranza. Perché è la speranza che rianima la fede e riaccende la carità. Perché è di speranza che i deserti del mondo sono assetati oggi».
Martedì, 7 dicembre 2021