Di Giulio Meotti da Il Foglio del 15/12/2021
Leggendo l’ultimo drammatico rapporto dell’Istat sul crollo demografico italiano, ad Antonio Golini torna in mente un aneddoto. All’inizio degli anni Ottanta, Golini fu contattato dai responsabili della Plasmon. L’azienda si disse interessata alle sue analisi sulla popolazione. I manager della Plasmon erano preoccupati per una tendenza che stavano osservando in Italia, principale mercato di sbocco per i loro prodotti alimentari per l’infanzia: “Professore, i bambini italiani stanno diminuendo e, se l’attuale trend dovesse continuare, diminuiranno sempre più rapidamente. Capirà bene che per noi, che finora tanto abbiamo investito sulla prima età, si tratterebbe di una catastrofe. Lei crede sia possibile a breve una qualche inversione di rotta nell’andamento delle nascite?”.
La risposta di Golini, all’epoca docente di Demografia all’Università La Sapienza di Roma, fu un deciso “no”, articolato con statistiche e ragionamenti “che – vox clamantis in deserto – andavo elaborando da qualche tempo riguardo ai pericoli dell’eccesso di denatalità in Italia”. I dirigenti della Plasmon allora, cercando di immaginare come potessero adattare la propria produzione a una demografia in pieno capovolgimento, controbatterono con un’altra domanda: “Sarebbe corretto riposizionare il focus della produzione aziendale, diversificando rispetto al mercato dell’infanzia e dedicandosi per esempio a una linea di prodotti ‘Misura’ per adulti?”. Stavolta Golini rispose di “sì”.
L’aneddoto è contenuto nel libro Italiani poca gente (Luiss University Press, scritto con Marco Valerio Lo Prete). Golini, docente di Demografia alla Luiss Guido Carli di Roma, membro dell’Accademia dei Lincei, già presidente dell’Istat, con all’attivo trent’anni di studi demografici, che quando era di moda col “club di Roma” discettare della “bomba demografica” affermava che l’Italia correva il rischio opposto, morire dentro la palude della bassa natalità, non è sorpreso dai numeri dell’Istat usciti ieri. Ancora un record negativo per la natalità. Il tasso di fertilità è sceso a 1,17. “Il numero più basso di sempre”. Crollo di un terzo delle nascite dal 2008, dove ci eravamo già arrivati con alle spalle trent’anni di incessante declino. “L’Italia si avvia a morire, perché evidentemente il numero ridottissimo di figli non sostituisce i genitori e ci sono sempre meno donne in età fertile” dice Golini al Foglio. “Ma ci sono moltissimi africani. E ce ne saranno sempre di più, il Mediterraneo è un mare piccolo e si attraversa facilmente e abbiamo necessità di manodopera”. In Italia il tema demografico non si è mai imposto. “Solo in Francia è sentito in maniera totale, perché i tedeschi sono arrivati tre volte a Parigi e questo ha scosso le coscienze e dato pieno significato alla crisi demografica” continua Golini. “Mentre in Italia c’è stato il fascismo in cui si diceva che volevamo conquistare tutto il mondo e questo ha nuociuto alla natalità e al concetto di crescita demografica. Insomma, abbiamo devitalizzato il concetto di persona e di nascita. Come se il vitalismo fosse ancora visto come sinonimo di fascismo”. Nella storia non si ricorda una società che esce da una simile trappola. “Difficilissimo uscire da 1,2 di natalità, occorrerebbe che un grande numero di coppie avesse 4-5 figli e nelle condizioni attuali è impossibile. Qui è già successo al crollo dell’Impero romano. Noi possiamo solo sperare di accompagnare questo nuovo declino italiano”.