La pandemia ha accelerato il processo di riduzione ideologica della realtà, in corso da molti decenni, che divide, distrae, impoverisce il pensiero e rende caotica l’informazione e l’analisi dei problemi
di Aurelio Carloni
Tutti parlano di Covid e solo di Covid. E dei poveri morti, del loro numero, del perché vengono conteggiati in una certa maniera e non in un’altra. Di quello che si fa in Italia e all’estero per contrastare la pandemia. Di che cosa sarebbe giusto fare o non fare.
Siamo tutti epidemiologi, statistici, clinici, immunologi, politici, che prendono partito per una tesi o per l’altra, riducendo la realtà alla sola pandemia. Così si finisce col considerare i soli morti di Covid come se non si morisse per altre cause. Anzi, come se i problemi posti dall’emergenza sanitaria (come il sovraffollamento degli ospedali e delle strutture sanitarie) non fossero all’origine del rinvio di interventi chirurgici (secondo i dati dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, riferiti al 2020, il numero dioperazioni per tumore alla mammella si è ridotto del 22%) e di visite specialistiche fondamentali per patologie importanti, che, realizzate con mesi di ritardo, possono avere un esito tragico.
In Italia si continua a morire anche di altro e, proprio per la situazione descritta, per alcune patologie come quelle cardiologiche e quelle oncologiche più di prima. E si nasce sempre meno, fino a far prospettare, salvo improbabili cambiamenti delle attuali tendenze, lo spopolamento dell’Italia in pochi decenni. Il numero di morti totali nel 2020 in Italia è stato, secondo Istat, pari a 746.000, il più alto dal 1945, ossia 100.000 in più rispetto alla media 2015/2019. Sempre nel 2020 si sono registrati 342.000 morti in più rispetto ai nati.
Eppure, il tema della desertificazione sociale della nazione non sembra appassionare nessuno, men che meno le istituzioni, che nelle oceaniche risorse del PNRR hanno trovato solo rivoli irrilevanti per misure a favore delle famiglie. Confermando, così, la “cautela” dell’Italia nel destinare loro risorse: il 19% delle spese pubbliche per politiche sociali, contro il 30% dell’Eurozona.
Ma a non “bucare” non è solo l’inverno demografico, che pare interessi solo al Papa e al presidente di Istat, Giancarlo Blangiardo.
Si parla di referendum sull’omicidio del consenziente o di quello per le droghe libere? La Cina vuole annettersi Taiwan, nel silenzio più o meno imbarazzato dell’Occidente? Il paradiso ecologico prospettato da una certa sinistra verde, radical chic, e non solo, con la decarbonizzazione e il solo uso di fonti di energia alternativa è una delle principali cause dell’aumento del cento per cento delle bollette delle famiglie italiane?
Niente. Sono tutte notizie relegate con scarsa evidenza e poco spazio, anche nei grandi quotidiani, dopo le molte pagine dedicate al Covid.
Notizie che non appassionano, che non meritano commenti.
Dove nasce questo fenomeno? Nella riduzione ideologica della realtà, fondata su una cultura della “specializzazione universale” (tutti sanno tutto), sul relativismo e sull’impoverimento del pensiero, derivante anche dall’uso inappropriato dei social media.
L’esito è verificabile nel giudizio che diviene assoluto anche in materie opinabili e nella chiusura nelle cosiddette eco-chamber, dove ciascuno ascolta solo sé stesso e quanti la pensano come lui. Il confronto sereno e volto all’acquisizione della verità, intesa come realtà esterna all’uomo che può essere raggiunta solo grazie all’osservazione e alla riflessione, viene di fatto bandito.
Le fonti più accreditate spesso non sono quelle delle persone più autorevoli ma di quelle più celebri. L’autorevolezza è stata soppiantata dalla celebrità. I sapienti dagli influencer. Così famiglie naturali, amici e ambienti umani hanno conosciuto lo spirito di divisione in tempi in cui la solidarietà e la vicinanza dovrebbero essere la cifra delle relazioni sociali.
Siamo entrati da decenni in quella che Emanuele Samek Lodovici definiva già alla fine degli anni ‘70 il culto dell’opinione: «l’infinità delle informazioni, infatti, può essere tradotta nella infinità delle opinioni che si hanno sulle informazioni; qualunque cosa si possa pensare, purché si abbia un io disposto ad enunciarla, avrà eguale diritto ad essere espressa. (…) Si finisce così per seguire specularmente i rumori del giorno amputandosi dal passato, dai ricordi significativi sia personali sia sociali; e un uomo separato dal suo passato, un uomo che non ha più ricordi, è la preda più facile ed ambita da ogni totalitarismo» (Metamorfosi della gnosi).
È quindi ora di riprendere a guardare la realtà per quella che è, e di combattere la “dittatura del relativismo” preconizzata da Benedetto XVI.
Sabato, 15 gennaio 2022