Torniamo sul tema dei vaccini in Africa (già trattato nei giorni scorsi) e, per fare seguito anche all’appello del Santo Padre nel discorso al corpo diplomatico del 10 gennaio 2022, abbiamo voluto approfondire l’argomento intervistando la professoressa Anna Bono, sociologa con una lunga esperienza di ricerca in Africa.
a cura di Alleanza Cattolica
In un quadro di dottrina sociale della Chiesa, certamente il cristiano è chiamato a prendersi cura del prossimo, per agevolare il bene possibile, con realismo e senza utopie, né falsi scopi utilitaristici.
Il bene comune coinvolge i singoli come le Nazioni e l’esempio del Buon Samaritano si dipana nella storia e nel mondo. Fornire farmaci ai Paesi che non ne abbiano disponibilità, come aiuti in generi di necessità, è un compito alto e da perseguire. Dopo averne valutato la bontà (che comprende l’eticità, la qualità e l’opportunità), insieme alle “cose” è inoltre necessario garantire anche i mezzi adeguati ad un corretto utilizzo degli aiuti forniti: con una battuta semplificatrice si potrebbe chiosare sulla bontà di regalare frigoriferi al Polo Nord o computer in Amazzonia.
Fatte queste premesse, pur consapevoli che non è possibile semplificare più di tanto una geopolitica così variegata come quella africana, ci chiediamo:
Domanda: Il 30 dicembre 2021 Albert Bourla, ceo di Pfizer ha annunciato con un tweet che la sua azienda aveva appena raggiunto l’obiettivo di 1 miliardo di dosi donate ai paesi più poveri ma, leggendo i giornali, apprendiamo che in Africa la vaccinazione è rallentata da molti fattori, dalla penuria di siringhe e frigoriferi alle capacità logistiche: l’Algeria ha rifiutato una fornitura di vaccini dalla Francia perché su 22 milioni di dosi ricevute ne ha somministrate soltanto 12,5 e le restanti sono prossime alla data di scadenza. Il problema delle vaccinazioni nel continente Africano risiede dunque principalmente nella mancanza di vaccini?
Risposta: Evidentemente no. E agli ostacoli elencati si deve aggiungere l’impraticabilità di territori non solo per mancanza di infrastrutture (strade, ferrovie…), ma perché troppo insicuri, infestati da gruppi armati e organizzazioni criminali. Al 30 dicembre 2021 il continente aveva ricevuto più di 474 milioni di dosi, in gran parte donate da diversi paesi e dal COVAX, un programma creato per garantire l’accesso equo e globale ai vaccini anti Covid-19, ovvero a far sì che i paesi ricchi regalino a quelli poveri dosi di vaccini, o contributi finanziari per acquistarle. Ma decine di milioni di dosi di vaccini non sono state somministrate e una parte di esse è scaduta o sta per esserlo. Secondo l’OMS finora è stato usato solo il 63 per cento delle dosi complessivamente disponibili. Fin dallo scorso aprile hanno incominciato a trapelare notizie di vaccini scaduti che le autorità sanitarie si vedevano costrette a distruggere, insieme ad altri quantitativi inutilizzabili per non essere stati conservati adeguatamente. Tra i casi più clamorosi c’è quello della Repubblica democratica del Congo: aveva ricevuto 1,7 milioni di vaccini all’inizio di marzo 2021; due mesi dopo aveva vaccinato solo mille persone e ha restituito 1,3 milioni di dosi. Tuttora risulta vaccinato solo lo 0,1 per cento della popolazione. Lo scandalo più recente riguarda la Nigeria che il 22 dicembre ha mandato al macero più di un milione di dosi scadute. Come mostrano le riprese effettuate dalle autorità sanitarie, un bulldozer le ha distrutte, ancora contenute in confezioni di cartone e plastica, dopo che erano state portate in una discarica di Abuja, la capitale. Una settimana prima le autorità sanitarie si erano giustificate dicendo che le dosi donate avevano una scadenza troppo vicina. Il direttore esecutivo dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’assistenza sanitaria di base Faisal Shuaib incredibilmente ha dichiarato: “Siamo riusciti a ritirare e distruggere 1.066.214 dosi di AstraZeneca. Abbiamo mantenuto fede alla promessa di essere trasparenti fatta ai nigeriani. La distruzione eseguita oggi fa sì che i nigeriani possano avere fiducia nel nostro programma di vaccinazioni”.
Domanda: Quale è la distribuzione percentuale del personale sanitario in grado di valutare, discernere clinicamente l’appropriatezza profilattica e terapeutica delle condizioni vaccinali?
Risposta: Non lo so e dubito che qualcuno lo sappia. Sono disponibili però, ad esempio, dati sul numero di medici e di posti letto per abitante, paese per paese. Da soli bastano a rendersi conto della drammatica inadeguatezza dei sistemi sanitari africani. Uno dei paesi meglio dotati è il Sudafrica che ha 91 medici ogni 100.000 abitanti. Ma il Mali, ad esempio, ne ha 13; la Liberia ne ha 4; la Repubblica democratica del Congo ne ha 7… la Nigeria, che contende al Sudafrica il primato di più grande economia del continente e che esporta petrolio dagli anni 60 del secolo scorso, ne ha 38.
Domanda: Qual è, realisticamente, l’accoglienza che un farmaco come un vaccino (che non ha effetti immediati di benessere, ma al contrario di possibili disagi) può avere su fasce di popolazione non facilmente informabili? Abbiamo letto della presenza i forti riserve sui vaccini tra la popolazione africana: le risulta?
Risposta: Sì, anche questo è un problema. La riserva è sulle iniziative in generale proposte dai governi di cui molti africani non si fidano ritenendoli, non a torto, corrotti e male intenzionati. L’accoglienza di farmaci e in particolare di vaccini dipende poi molto dalla gravità del problema sanitario e dalla sua percezione. È più facile far accettare i vaccini contro malaria, Ebola, morbillo, polio, meningite… che non un vaccino contro il Covid che al confronto rappresenta un pericolo minore. Ricordo una donna nell’est della Repubblica democratica del Congo che, intervistata durante una epidemia di Ebola, ha risposto a proposito del Covid: “qui si muore di Ebola (di morbillo, di malaria…), di Covid non vedo morire nessuno”. Ricordo che le previsioni OMS per l’Africa erano di almeno tre milioni di morti, praticamente tutta la popolazione infettata. A oggi i casi risultano complessivamente poco più di 10 milioni su una popolazione di oltre 1,3 miliardi e i morti superano di poco i 232.000. Anche mettendo in conto che molti casi e decessi non vengono registrati, al confronto con Asia, Americhe e Asia, il continente finora è stato risparmiato dalla pandemia. Solo di malaria ogni anno muoiono più di 300.000 africani.
Domanda: Per la sua esperienza, le culture tribali che caratterizzano ampie zone africane, oltre a essere in zone particolarmente impervie, con quale strategia comunicativa potrebbero essere indotte ad una buona accoglienza di progetti vaccinali?
Risposta: Come ho appena detto, è l’evidenza della diffusione e della letalità di una malattia il fattore decisivo. Campagne di vaccinazione anche di grandi proporzioni, come quelle contro la meningite e la poliomielite che hanno raggiunto centinaia di milioni di persone, da tempo non incontrano grandi resistenze. Problemi seri in anni recenti sono sorti nei 12 stati a maggioranza islamica della Nigeria dove si era diffusa la voce che le sostanze spacciate come vaccini contro la polio in realtà non lo fossero. Molti musulmani si sono convinti che si trattasse di un piano dell’Occidente (dei cristiani…) per sterilizzare i loro bambini e purtroppo questo ha fatto sì che la malattia si diffondesse in Nigeria (solo da poco dichiarata libera dalla polio) e comparisse in altri stati africani nei quali era stata debellata
Domanda: La necessità, spesso citata, di raggiungere un alto livello di popolazione mondiale vaccinata per debellare in modo consistente i virus del tipo SARS2-CoVid, appartiene ad una reale preoccupazione altruistica o ad un ‘egoismo’ planetario di tipo utilitaristico?
Risposta: Questo non lo so. Non sono nella mente di chi ha facoltà di decidere come e perché affrontare questa o altre emergenze sanitarie. Quale che sia la preoccupazione, ben venga l’obiettivo… io ho fiducia nei vaccini. La letalità di Ebola varia a seconda delle terapie adottate, ma resta molto molto elevata. Il suo tasso di mortalità però crolla quando è possibile impiegare i vaccini finalmente disponibili
Domanda: Una autentica politica di aiuto efficace – immaginiamo che improvvisamente e miracolosamente tutta la governance mondiale si impegni a debellare l’ingiustizia nel mondo, come ogni anno da 55 anni a questa parte i Romani Pontefici chiedono – potrebbe vedere in questa emergenza da CoViD19 una opportunità? Ovvero: raggiungere ampie zone con metodologia efficace significa necessariamente portare, insieme ai vaccini, personale qualificato, strutture (frigoriferi e materiale accessorio), logistica, intermediazione culturale. Quanto è fattibile? E, soprattutto, quanto sarebbe illogico limitarsi a generarlo per il solo CoViD? Altri e più semplici problemi sarebbero a quel punto risolvibili: penso alla somministrazione di sulfamidici, antibiotici, vaccini per noi banali e a costo zero, farmaci antimalarici… Oppure, al contrario, fino a quando tutto questo non fosse già realizzato sarebbe vano sperare in un efficace progetto di vaccinazione?
Risposta: Altre campagne di vaccinazione risultano efficaci anche in Africa, nonostante gli ostacoli. La “governance mondiale”, in realtà più che altro i paesi occidentali (Stati Uniti, Unione Europea e paesi UE in particolare che sono i maggiori finanziatori delle agenzie Onu e di altri organismi di cooperazione allo sviluppo e umanitaria), da decenni realizza progetti intesi a “debellare l’ingiustizia nel mondo”, non senza evidenti risultati. Le risorse riversate nei paesi africani cosiddetti poveri sono astronomiche. Restando ai problemi sanitari, nessun risultato però è sostenibile, cioè duraturo, e nessun problema è risolvibile definitivamente solo continuando a “portare” medicine, tecnologia, finanziamenti, personale… e finché gli stati africani non decidono di aver cura di quanto ricevono in dono e prima di tutto di investire loro in sistemi sanitari efficaci e adeguati, cosa che molti governi africani, anzi forse tutti, sarebbero in grado di fare, se solo volessero, grazie alle risorse di cui dispongono. In sintesi, “debellare l’ingiustizia nel mondo” non è solo questione di “governance mondiale” (anche), spetta soprattutto a ciascun paese, ai suoi abitanti, a chi governa e amministra: vale per l’Italia come per il Burundi o lo Zimbabwe. Se si parla di Africa, i cuori che il Natale dovrebbe rendere generosi (come auspicavaPapa Francesco), affinché tutti ricevano cure e vaccini, sono prima di tutto quelli africani. È importante sapere che I cittadini UE, tramite le loro imposte, solo per il COVAX contribuiscono con un miliardo di euro.
Domanda: Ci sono esperienze significative di strategie sanitarie, proprio in Africa, in occasione delle epidemie di SARS e di Ebola: ho in mente la figura del dottor Carlo Urbani, morto per SARS da lui scoperta e descritta; il Lacor Hospital, fondato da Piero Corti e sua moglie Lucille Teasdale, che ha visto la figura eroica di un medico ugandese, il dottor Matthew Lukwiya, che ha fermato un focolaio di Ebola, una ventina di anni fa, con le sole disposizioni igieniche, uno straordinario intuito clinico e una abnegazione che lo ha portato alla morte. Quanta autorevolezza potrebbero avere gli esempi virtuosi?
Risposta: Di simili esempi virtuosi è piena l’Africa. Penso a tutti gli ospedali e gli ambulatori missionari. Solo che, purtroppo, difficilmente costituiscono “esempi” nel senso di stimoli a fare altrettanto. Sostituendosi alle autorità locali e rimediando almeno in parte alla loro negligenza, per molti governi rappresentano un utile sistema per attenuare il disagio e quindi lo scontento della popolazione. La popolazione vi ricorre volentieri. Gli africani come il dottor Matthew Lukwiya e Denis Mukwege in Congo Kinshasa sono tanti, ma non abbastanza.
L’ospedale del Cottolengo di Chaaria in Kenya, ad esempio, fondato nel 1984, è l’unico presidio sanitario in un raggio di decine di chilometri e serve quattro distretti. Dal 1998 il direttore dell’ospedale è stato il medico missionario Beppe Gaido. Il presidio in media assiste 65.000 persone all’anno. L’ambulatorio, aperto tutti i giorni, 24 ore su 24, accoglie e visita in media 300 persone al giorno. Nessuno viene respinto e a nessuno si chiede del denaro, per costosi che siano interventi e cure e lunghe le degenze. Si invitano i pazienti dimessi a contribuire con offerte se possono, la richiesta, spiega Gaido in un suo libro “Polvere rossa”, è soprattutto per far capire che “se vogliono che queste realtà abbiano un futuro, devono gradualmente contribuire a sostenerle, facendo ciascuno la propria parte”. La sua preoccupazione è per l’ospedale, che continui a funzionare dopo di lui, anche senza finanziamenti e medici stranieri. Pensa a tutti gli ospedali finanziati e amministrati dai missionari, in rovina in pochi mesi dopo essere stati affidati a dirigenti e personale africano. Occorre – dice – impegnarsi per “africanizzare” i servizi – scuole, ospedali, asili, mense… – coinvolgendo nel loro sostentamento la popolazione locale e, nel caso degli ospedali, gli operatori sanitari, i medici, gli infermieri.
Domanda: In alcuni commenti lei fa notare che l’Africa ha già ricevuto in dono centinaia di migliaia di dosi di vaccini, molto spesso sperperandole o addirittura facendole diventare l’ennesima occasione di affari per governi corrotti: ci può dare un quadro preciso della situazione, magari distinguendo i governi “virtuosi”, che si sono attivati come hanno potuto in favore dei propri cittadini, da quelli corrotti o incapaci?
Risposta: Non sono in grado di dare un quadro preciso della situazione. Ci sono paesi che si sono mossi meglio di altri, ad esempio il Senegal e il Sudafrica. Finora però solo sette stati africani hanno raggiunto l’obiettivo fissato di vaccinare il 40 per cento della popolazione entro la fine del 2021: tre arcipelaghi con pochissimi abitanti (Mauritius, Seychelles e Capo Verde) e inoltre Marocco, Tunisia e due piccoli stati, Botwsana e Rwanda. “Dobbiamo concentrare la nostra attenzione sugli ostacoli alle vaccinazioni – ha detto di recente Matshidiso Moeti, direttore dell’ufficio regionale dell’OMS per l’Africa – che includono mancanza di fondi, di apparecchiature, di personale sanitario, della capacità di garantire la catena del freddo e anche di superare la diffidenza che si riscontra in una parte della popolazione”. Io non direi “dobbiamo”, ma “devono”. Quelli elencati sono tutti problemi impossibili da risolvere in poche settimane in grandissima parte imputabili a quei governi africani che dalle indipendenze investono troppo poco in infrastrutture, nei sistemi sanitari e nei servizi sociali, lasciano quel poco in mano a persone spesso inadatte e inaffidabili o permettono che diventi inutilizzabile per incuria e per l’insicurezza che regna nei territori infestati da gruppi armati e organizzazioni criminali. La stessa esitazione di una parte della popolazione a vaccinarsi deriva dall’immagine negativa che gli africani hanno dei loro amministratori e che, come ho detto, li induce a diffidare delle iniziative governative.
Venerdì, 21 gennaio 2022